VELVET, GIFT OF SIN, VERONIKA VOSS – TARANTO VERSO LO SPERIMENTALISMO
di Giovanni Panetta
Intervista a Claudio Vozza.
Claudio Vozza Velvet

Claudio Vozza in un’esibizione dei Velvet a Bari intorno al 1989.

La scoperta dei gruppi tarantini, o se vogliamo meridionali, stupisce sempre. Claudio Vozza, cantante, bassista e chitarrista di Taranto, verso la fine della sua esperienza nei più classicisti Velvet (ovvero intorno il 1991), comincia ad essere attratto dal lato sperimentale di certa musica per poi essere risucchiato nel vortice lisergico e eterodosso dei Gift Of Sin e in quello del noise pop angoloso dei Veronika Voss, entrambi esordienti agli inizi degli anni ’90 nella capitale ionica. Suoni che non tutti conoscono, e che infatti non hanno avuto molta risonanza nazionale, ma che hanno espresso tutto il loro florido potenziale e che hanno goduto di un ristretto e fortunato pubblico.
Per quanto concerne i Veronika Voss, ne abbiamo scritto approfonditamente su Nikilzine quiqui e qui. Un gruppo poco conosciuto di cui ci piace svelare gli aspetti più nascosti e interessanti.

A riguardo della militanza di Claudio Vozza nei Velvet (come cantante), nei Gift Of Sin (nei quali, oltre a cantare, imbraccia la chitarra), e Veronika Voss (in veste di bassista), abbiamo rivolto a lui delle domande per far emergere quel passato della Taranto musicale che più ci interessa.

Velvet

Velvet (Pino Pagano a sinistra e Claudio Vozza a destra), di spalla ai Christian Death al Teatro Ressa, Statte, il 29 Aprile 1990.

Allora Claudio, oltre che a suonare nei Veronika Voss, hai militato nei Gift Of Sin e prima ancora nei Velvet; in merito al tuo ruolo di cantante qualcuno ti ha definito una “pop-star locale”. Dal momento che il materiale rintracciabile in rete è poco, sono curioso di conoscere i due progetti, i loro componenti e la loro piccola storia.

Claudio Vozza: Intorno al 1987 un amico comune (Ciro Merode, poi fondatore dei Gift of Sin) mi presentò al chitarrista Enrico Cifaldi, noto virtuoso malmsteeniano jonico, di lì nacquero i Velvet insieme al batterista Giancarlo De Marco e al primo bassista Angelo Pernisco, poi sostituito da Pino Pagano. La band subiva indubbiamente il fascino dei primi lavori dei Litfiba e dei Cure e questo si riscontrava soprattutto nella mia vocalità e nell’elaborazione dei testi. Cominciammo quasi subito ad avere un certo seguito in città, ricordo alcune esibizioni in Piazza della Vittoria e in vari locali e discoteche in Puglia in cui il pubblico rispondeva con entusiasmo. Suonammo anche di spalla ai Timoria. Dopo qualche tempo il Cifaldi dovette allontanarsi dal gruppo e lo sostituimmo con un imberbe ma talentuoso Marco Schnabl la cui sapiente chitarra contribuì sicuramente a creare un sound più compatto. Nel frattempo i miei ascolti diventavano sempre più oscuri e “dark”, cosa che probabilmente portò ad un inevitabile conflitto con gli altri membri del gruppo. Nel 1989 ci esibimmo di spalla ai Christian Death di Valor al Teatro Ressa di Statte, durante il concerto eseguimmo alcuni nostri brani e una cover di Siouxsie And The Banshees (Night Shift). Probabilmente fu un punto di non ritorno, io ero sempre più addentro la musica dark, il garage rock e la psichedelia mentre gli altri mi proponevano cover di Vasco Rossi… ci salutammo senza rancore. Loro continuarono con altri membri e io mi avviai per altri lidi suonando con diverse persone e diverse formazioni.
Era una Taranto molto febbrile dal punto di vista musicale, gli anni ’80 volgevano al termine e la nostra città era una specie di avamposto decadente della musica “alternativa”, probabilmente a causa della nefanda cultura industriale imposta come una condanna, ma anche grazie all’intraprendenza di personaggi, come Marcello Nitti e più tardi Franco Battafarano, che in quegli anni ci avevano portato in riva allo Jonio gruppi del calibro di Bauhuas, Siouxsie, Simple Minds, Ultravox, Cult, Sound, Litfiba, Christian Death e Soundgarden. Avevo una fame atavica di musica, respiravo continuamente aria di sale prova e l’unica cosa che mi interessava era produrre suoni mesmerizzanti e ritornelli apocalittici. Tra le varie esperienze, sempre più lisergiche, una delle più interessanti fu proprio quella dei Gift of Sin (nome preso dal testo di Cavity dei Christian Death), progetto dadaista nato con estrema naturalezza insieme a due amici per la pelle, Ciro Merode e Fabio Del Vecchio.

Gift Of Sin

Cover di Gift Of Sin, uscita amatoriale del trio tarantino, le cui registrazioni si sono spalmate tra il ’90 e il ’94.

Nei Gift Of Sin sono rintracciabili i vostri ascolti, come David Bowie e Pixies, nel loro essere rumoristi e fluidi su più piani. La scrittura è incentrata su un melodismo lisergico, però al tempo stesso il sound è disarmonico, in quanto le varie voci sembrano alternarsi tra dissonanza e consonanza, disarmonizzando per l’appunto. Inoltre il sound divaga in fraseggi che fungono da ornamento rispetto al pezzo vero e proprio, ovvero degli interessanti divertissement che sono un valore aggiunto rispetto al discorso musicale. Penso che la release omonima, autodistribuita e da cui ho tratto queste osservazioni, ha dei punti di interesse che non sono passati inosservati nel suo contesto locale. Ci vuoi parlare come sono nati i pezzi e quali erano le vostre intenzioni in quanto band? Inoltre com’è stata l’attività concertistica? Se non sbaglio avete partecipato alle selezioni di Arezzo Wave; ce ne vuoi parlare?

Claudio Vozza: “Al contrario di tutte le altre esperienze musicali che avevo vissuto e che avrei vissuto dopo, quella coi Gift Of Sin era caratterizzata dall’assoluto disinteresse per l’attività live. Era un progetto/non-progetto con l’unico intento di procurare piacere malsano a noi tre e ai malcapitati che si avventuravano ad assistere alla nostre prove. In effetti più che di prove potremmo parlare di happening sabbatici, dall’approccio totalmente free, ogni ospite era libero di portare il suo contributo purché idoneo a provocare una catarsi artistica, nel senso più lato del termine.
Di base Fabio si occupava di comporre basi di drum machine e tesserci sopra un tappeto sonoro di chitarre e bassi, componeva inoltre i testi in inglese che io poi cantavo. Registravamo tutto su un 4 piste. Io solitamente inserivo le mie idee con chitarre e tastiere, cantavo e cercavo insieme a Fabio di dare un senso all’impasto sonoro che veniva fuori. Eravamo giovani e musicalmente irruenti, dovevamo in qualche modo domare la nostra voglia di sfondare i timpani al prossimo. Ciro era un po’ il guru del gruppo, aveva l’ultima parola sul brano ed era solito suonare oggetti adattandoli a strumenti percussivi, ricordo con commozione un suo bellissimo assolo di ombrellone. Un vero rumorista. Eravamo tutti e tre grandi amanti di Bowie, Velvet Underground, King Crimson, Camel, Cure, Pink Floyd, Syd Barrett e tutto ciò che di turbativo poteva passare per le nostre orecchie.
Come ti dicevo non ci interessava affatto suonare dal vivo nei locali, ma non so come riuscirono a trascinarci nell’unica esibizione pubblica per le le selezioni provinciali di Arezzo Wave al teatro Ariston. In quell’occasione ci affiancarono Gypsy al basso e Vanni alla batteria (Arcangelo “Gypsy” Lonoce e Vanni Sardiello dei Veronika Voss, ndr) ed eseguimmo due brani: Greetings e The Right Tune. Ci divertimmo molto. Anzi, a pensarci bene, una volta ci invitarono a suonare a una festa al teatro dei Salesiani e suonammo per 20 minuti in mutande Mi ami? dei CCCP (Un’erezione, un’erezione. Un’erezione, un’erezione triste. Per un coito molesto…), giusto per farci cacciare”.

(Da questo link potete scaricare tutto l’album dei Gift Of Sin, comprendente altri due brani rispetto la versione streaming che si può trovare sulla pagina Bandcamp di Ray Rec; il relativo playing qui sopra).

Nel 1994 entri a far parte dei Veronika Voss, suonando in due uscite (il singolo Frantic/So What e l’EP The Aladar Sessions), stabilendoti nella formazione definitiva del gruppo; questo non è un caso in quanto, rispetto al precedente bassista Marco Sardiello, il tuo tratto è decisamente più minimale e potente, armonizzandoti in questo modo al resto della band attraverso quella particolare attitudine dalle caratteristiche punk. Ma in riferimento a ciò, ci vuoi parlare della tua entrata nel gruppo, nonostante il diverso background manifestato attraverso gli altri tuoi progetti?

Claudio Vozza: “In realtà sono presente al basso già nel demotape Antipop. Seguivo Gypsy, Vanni e Gemma (Lanzo, cantante e autrice dei testi, ndr) da quando li vidi suonare dal vivo al centro sociale Città Vekkia di spalla agli Uzeda con i Querelle, band dalle cui ceneri nacquero i Veronika Voss. Assistetti a un loro live con la formazione definitiva per la prima volta alle Grotte di Massafra e fu un vero colpo di fulmine: non avevo mai visto dalle nostre parti una band così quadrata, compatta e consapevolmente addentro le sonorità che arrivavano dal Regno Unito e dagli USA. Non ricordo se feci i complimenti alla band in quell’occasione.
Sta di fatto che qualche tempo dopo, per puro caso, incontrai Gypsy e Gemma nella stazione di Reggio Emilia, avevamo appena assistito a un concerto dei Sonic Youth a Correggio (presentavano Experimental Jet Set, Trash And No Star, supportati dai Blonde Redhead). Loro riconobbero me e io riconobbi loro, di lì cominciò un breve, ma magico corteggiamento bilaterale che mi portò a diventare un membro della band. Io avevo qualche anno in più, ma ero totalmente affascinato dalle nuove sonorità che i ragazzi portavano avanti col loro progetto. Con Gypsy fu immediato il feeling musicale, ma anche mentale. Anche con Gemma e Vanni fu amore. Porterò sempre nel cuore questa esperienza; anzi, non l’ho mai considerata definitivamente chiusa”.

C’è da dire che compare anche un elemento di continuità. Nella cassetta dei Gift Of Sin si nota una certa inclinazione verso il post-punk, ma anche verso il noise, come si può notare in alcuni fraseggi di chitarra, più evidenti in Fy & Fm. Sembra esserci da quel punto di vista un fil rouge tra i GoS e il periodo dei Veronika Voss insieme a te, e per quanto mi risulta le due fasi sono praticamente contigue; non è un caso che il suono del quartetto tarantino diventa più limpido, meno istintivo e lo-fi, come già avveniva nei Gift Of Sin, dove quei pezzi sembrano avere un’impostazione più meditata. Pensi che ci fosse un qualche rapporto simbiotico tra di voi o è pura casualità?

Claudio Vozza: “Diciamo che io ammiravo tantissimo i Veronika Voss e loro erano molto attratti dagli esperimenti sonori che portavamo avanti coi Gift of Sin. Quando mi proposero di suonare con loro, Gypsy mi confessò più tardi che era piuttosto scettico riguardo la possibilità di allontanarmi dai Gift of Sin. Tuttavia avevo molto tempo a disposizione (beata gioventù) e riuscii a suonare con entrambe le formazioni. Sono sempre stato molto attratto dalla dimensione live, dal palco, e coi Veronika Voss sarei potuto tornare a fare parecchi concerti, in più con una band che adoravo…
Dal punto di vista musicale, dici bene, c’era una comunanza di ispirazione rumoristica. Forse coi Gift of Sin più legata alla tradizione anni ’70 e ’80, Fabio era un grande amante di Robert Fripp e Adrian Belew e io di Bowie e Barrett (oltre a essere sempre più attratto da gruppi emergenti d’oltreoceano come Pixies e Primus), mentre coi Veronika Voss assimilabile alle band più vicine all’epoca di cui parliamo (Sonic Youth e tante altre influenze dettate dall’impressionante mole di ascolti di Gypsy, Vanni e Gemma)”.

Gift Of Sin

Gift Of Sin, da sinistra a destra: Claudio Vozza, Ciro Merode e Fabio Del Vecchio.

Claudio, sei stato un volto noto nella musica locale a Taranto in un momento abbastanza cruciale all’interno di quel contesto ristretto; cosa pensi di quell’ottimo fermento che non è mai emerso del tutto in ambito nazionale? Inoltre vari gruppi o personalità hanno preso sicuramente il testimone, oltre ad essere spinti a fare musica da altri ascolti più personali, ma comunque conoscevano anche la vostra storia, e non hanno agito indifferentemente in merito. Ti chiedo se sei a conoscenza della scena successiva (Beirut, Logan, Ada Nuki, Microwave With Marge, HysM?Duo, Bogong In Action…) e cosa pensi di quegli ultimi sviluppi. Pensi che ci siano state delle ottime situazioni anche in quel caso?

Claudio Vozza: “In effetti non ho mai capito perché non sia mai emerso da Taranto un gruppo che potesse arrivare ad alti livelli, come ad esempio a Firenze (Litfiba, Moda, Diaframma), visto il grande fermento musicale che si respirava in quel periodo. Siamo stati definiti la “Firenze del Sud” e ci sarà un motivo. A Taranto molte cose non vanno come dovrebbero andare in una città “normale”, probabilmente per questo nessuna realtà è riuscita a un certo punto a far convergere gli sforzi per fare il salto di qualità. Parlo sia di artisti che di strutture, sia di imprenditori locali che di “scena” vera e propria. Certo, le eccezioni non mancavano, vedi il miracolo di Primavera Radio, ma evidentemente erano troppo isolate per creare una piattaforma di lancio per poter decollare veramente.
Riguardo i nomi di band che mi hai fatto devo essere sincero, conosco solo i Logan e i Beirut, forse perché più vicini al mio periodo, gli altri solo di nome. Tra l’altro coi ragazzi dei Beirut oltre alla condivisione di palchi è rimasta una bella amicizia, sono persone veramente deliziose oltre che talentuose. Mi riprometto di ascoltare gli altri gruppi che colpevolmente non ho ancora approfondito. La speranza è che Taranto si risollevi dal torpore culturale ormai veramente opprimente che l’attanaglia (leggi cultura dell’acciaio) e le nuove generazioni trovino la forza di proporre qualcosa che vada fuori dagli schemi. Ormai vivo a Bologna da più di 10 anni, ma sono sempre attento a ciò che succede nella mia città natale”.

Share This