MARE APERTO: PAROLE SENZA FRENI DEI BEIRUT
di Giovanni Panetta
Track by track dell'album In A Place Without Name
Beirut live

Beirut live, 2009. Da sinistra a destra: Francesco Laterza, Massimo Lucchese e Vincenzo Gigantelli. Foto di Graziano Attanasio.

Gli anni 2000 non furono solo un’epoca di transizione, ma anche di comunicabilità aldilà le Cheradi. All’inizio di quel decennio Michele Maglio, in arte Psichic e chitarrista/cantante dei Logan, e nei quali militavano anche Giorgio Maniglia alla batteria (successivamente in Ada-Nuki, Microwave With Marge e Capase), e Massimo Calò al basso, fonda a Taranto la Psychotica Records, che tesse rapporti con realtà extra-joniche, anche aldilà dei confini italiani (come Velma e Ex-Models), ma in particolare con la controparte siciliana della propria terra natale. Taranto infatti era già influenzata dal noise pop onirico degli Uzeda, ed esemplificativo è il rapporto tra il gruppo catanese e i Veronika Voss, a tutti gli effetti allievi dei primi in territorio bimare. Agli inizi dei ’90 i membri del gruppo di Taranto e provincia rimangono impressionati dalle canzoni degli Uzeda, infatti Gypsy Lonoce aveva scoperto questi ultimi agli inizi dei ’90 su un emittente televisiva chiamata VideoMusic (infatti intorno al ’92 rimane intrigato dal video di Hallucinated Games, tratta dal primo album Out Of Colours dei siciliani). Passerà qualche mese e, una prima volta, il gruppo (in una forma embrionale chiamata Querelle) suonerà con gli Uzeda nel centro sociale Città Vekkia, rimanendo estasiati quando assisteranno alla performance del gruppo venuto da fuori, e inoltre i due gruppi si scambieranno parole di ammirazione; mentre nel 1995, e con la formazione definitiva a nome Veronika Voss, suonarono con i loro maestri a Tito, nel potentino, dopo un viaggio spossante dalla loro città, e a seguito del concerto Giovanna Cacciola, vocalist degli Uzeda, chiese a Gypsy di entrare a far parte della Indigena Management, l’agenzia di management gestita dai siciliani. Ciononostante qualche anno dopo il gruppo pugliese si scioglierà, ma il dardo era già stato tratto. Lo spettro noise pop della Sicilia Jonica verrà metabolizzato da altri protagonisti della scena tarantina, e gli ultimi anni di attività concertistica del gruppo di Gyspy Lonoce fecero da tramite, e infatti in quei set venne meno l’angolosità sonora dell’inizio, per dare spazio ad una fluididà melodica a più ampio respiro ma comunque distorta. E da lì infatti nascerà la Psychotica Records di Michele Maglio, che non a caso pubblicherà l’unico album dei Theramin, nel quale suona la batteria Sacha Tilotta, ovvero il figlio di Agostino Tilotta e Giovanna Cacciola degli Uzeda. La Psychotica permise di far esordire un altro gruppo tarantino negli anni ’00, ovvero i Beirut, attraverso un mini-album omonimo uscito per l’etichetta nel 2002. Dopodiché, a seguito di complicanze che verranno poi accennate, pubblicheranno nel 2009, per la siciliana Wild Love Records, il loro unico album col nome In A Place Without Name registrato e missato da Sacha Tilotta e masterizzato da Bob Weston. Il suono dell’album è frammentato dalle sue componenti, ovvero la voce e il basso di Francesco Laterza, la chitarra di Vincenzo Gigantelli e la batteria di Massimo Lucchese, dove rumorismo e atmosfere sognanti sono confondibili. La voce, le melodie eteree e dissonanti, i beat non convenzionali e pieni, tutti suoni, e anche visioni evocate dall’artwork minimale dell’album e in cui compaiono cancellature a penna tra i crediti, che trasmettono una certa introspezione caustica e una sensazione di sospensione; una malinconia contemplata che emana una spiritualità palpabile, al passo coi tempi. Ma allo stesso tempo elaborando quelle influenze caratteristiche del loro contesto attraverso uno sperimentalismo tagliente molto probabilmente unico nel suo genere, maturato tra lunghe jam dissonanti e forse anche dallo stesso ambiente provinciale della loro città. Quindi un lavoro che va scoperto e compenetrato.

Infatti il gruppo ha preso la parola in merito al loro unico album e al suo background, attraverso questo track by track e rispondendo a due domande introduttive, e in cui verrà approfondito meglio l’argomento sopra sintetizzato. Ringrazio quindi i Beirut e vi auguro buona lettura.

Ragazzi, parlateci dei Beirut, il vostro progetto storico: come è nato e qual è stato il suo sviluppo? So che eravate un gruppo a respiro nazionale, vedasi il vostro rapporto con la scena noise catanese (il vostro lavoro del 2009 In A Place Without Name è stato registrato e missato da Sacha Tilotta, militante o che ha militato nei Three Second Kiss e Theramin, nonché figlio di Agostino Tilotta e Giovanna Cacciola degli Uzeda; inoltre so che avete fatto delle date con i Three Second Kiss, un altro progetto di Sacha). Ce ne volete parlare?

“I Beirut nascono alla fine degli anni ’90, dalla voglia di tre amici di staccare la spina dalla solita routine fatta di sala giochi, alcool e poco altro…e provare a mettersi in gioco. La musica è sempre stata una passione abbiamo sempre frequentato i concerti e conosciuto i protagonisti della scena tarantina dell’epoca (Zero Tolerance For Silence, Mind Vortex, Ozio, Veronika Voss, Ain’t)
Dopo varie vicissitudini, inclusa una denuncia per disturbo alla quiete pubblica, trovammo il nostro spazio/mondo in una sala prove sulla strada per Taranto dove poi sono nati tutti i brani.
L’approccio è sempre stato molto diretto e se vogliamo libero da schemi, molto punk, rispetto a quello che scrivevano nelle recensioni dell’epoca (e cioè che eravamo influenzati molto dagli ascolti), in realtà all’inizio ascoltavamo poca musica, giusto quello che si riusciva a reperire su cassetta, molti gruppi della scena noise post-punk li scoprimmo successivamente.
I brani sono nati tutti da improvvisazioni lunghissime ed alcoliche, spesso registrate su cassetta, poi riascoltate e le migliori venivano successivamente sviluppate. Così è nato il primo EP ed anche tutti gli altri brani.
Nel corso degli anni abbiamo conosciuto tantissimi musicisti, condividendo spesso il palco con i Logan abbiamo avuto modo di conoscere la Psychotica Records e collaborare con Psichic, abbiamo conosciuto anche molti artisti siciliani dove c’era una scena musicale molto importante negli anni ’90, spesso venivano a suonare anche nel tarantino, vedi Uzeda, Bellini (progetto parallelo di Giovanna Cacciola e Agostino Tilotta [ndr]), Jasminshock….in una di queste occasioni conoscemmo Sacha e da subito c’è stato un feeling importante e la voglia di collaborare. Con i Three Second Kiss, grande realtà consolidata della scena musicale math/indie rock italiana e non solo, abbiamo avuto il privilegio di condividere il palco in alcune manifestazioni”.

Ma veniamo al dunque; parliamo del vostro album In A Place Without Name del 2009, che presenta una ricca diversificazione tra le componenti di basso, chitarra e batteria; tu Frank sembri avere un approccio più spontaneo con il tuo strumento accentando il maniera diretta le note più gravi, insieme alla tua voce disperata e sognante allo stesso tempo; mentre la tua chitarra, Vincenzo, fa ampio sfoggio di arpeggi caustici e nei picchi dei pezzi viene percossa da accordi cacofonici, senza considerare gli intermezzi degni di nota arricchiti da effetti dello strumento; mentre il sound di Massimo è massiccio e pieno, tanto da levigare l’aria attraverso beat complessi. Penso che questo vostro unico album è un degno rappresentante del noise italiano che va oltre la tradizione classica del rumorismo statunitense, denotata da un sapiente sperimentalismo ma anche da un certo lirismo. Forse sul fronte ionico settentrionale al quale appartenete c’è stata un’ulteriore claustrofobicità nella poetica musicale, da come ho osservato ascoltando anche altre band del luogo. In ogni modo voi Beirut come giudicate questo vostro lavoro? E già che ci siamo ci volete parlare della genesi e del suo contesto anche geografico?

“I brani sono nati tutti da lunghissime improvvisazioni, abbiamo sempre inteso la musica come un divertimento ed anche come mezzo di sfogo, i brani sono molto spontanei e rappresentano involontariamente la nostra personalità e umore del momento, credo siano stati composti dal 2005 al 2009.
La genesi del disco non è stata semplice, registrato due volte per dei problemi tecnici durante la prima registrazione, è stato registrato a Catania con l’aiuto di Sacha. In fase di registrazione approfondimmo diverse conoscenze e stretto amicizia con molte band della scena prima citata, scambiato contatti e condiviso palchi.
Abbiamo consolidato i rapporti con D’indie Booking e Officine With Love, (già militanti in band come Entrofobesse, Mashrooms e Jackpine), importanti riferimenti sul territorio siciliano per organizzazione concerti e diffusione di musica, fondarono nel 2009 l’etichetta discografica Wild Love Records, con cui decidemmo si pubblicare In A Place Without Name, anche perché secondo Psichic il disco era troppo melodico e pop per la Psychotica Records (questa cosa ci fa ancora sorridere)”.

Cover di In A Place Without Name (2009)

Facciamo ora un track by track. Parlateci un po’ dei vostri pezzi volta per volta, raccontateci qualsiasi cosa di inerente, o se volete anche delle vostre impressioni durante la scrittura o l’esecuzione.

Beneath the yellow fisherman elusive look
“Nel nostro immaginario abbiamo sempre pensato che fosse come un’onda, una barca a largo sorpresa da una tempesta, nulla di positivo ad aprire un album scuro e malinconico”.

In a place without name
“Un luogo privato del suo nome, senza personalità, morto. Praticamente la nostra rabbia rispetto alla situazione e realtà vissuta in un paese di provincia del sud Italia, dove regna ignoranza e poco altro, il tutto tradotto in musica (questo concetto si ripeterà in tutto il disco). Rispetto alla versione originale in studio abbiamo collaborato con Sacha che ha inciso una parte parlata molto bella”.

Forget it
“Impetuoso e acido nelle sonorità, rabbia repressa che esplode nel ritornello gridato, per aprirsi a melodie distorte”.

Orrible worm
“30 secondi presi da una vecchia tape che racchiudeva un’improvvisazione sperimentale di un’ora”.

Sooner or later
“Uno dei primi brani dei Beirut, molto spontaneo, una poesia alcolica e tempi dispari alla ricerca di sonorità fuori dall’ordinario”.

Metropolitan quite daily
“Brano tratto da una vecchia tape del 2002”.

Noisy air conditioner
“È come prendere una boccata d’aria mentre si sprofonda nell’abisso. Malinconico ma “positivo”; anche in questo brano c’è la collaborazione di Sasha che ha scritto e cantato alcune parti vocali”.

Despair or delight
“Forse il brano più complesso ed elaborato del disco, frutto di una lunga improvvisazione; tenace e introspettivo, alterna momenti di gioia e disperazione appunto. È da interpretare come un piccolo viaggio attraverso una tempesta, che esplode nella parte centrale per poi ricadere in sonorità più rassicuranti e melodiche nel finale”.

Liscivia
“Noise anni ’90, vecchia tecnologia”.

Long times
“Sicuramente il brano a cui siamo più legati, a nostro modo di vedere, è il migliore del disco e il più rappresentativo dei Beirut, si sente l’improvvisazione e quello che facevamo in sala prove ogni giorno…strumenti scordati e melodie sbilenche, amore odio rabbia malinconia e sogni; è tutto racchiuso in questo brano, per anni abbiamo sempre chiuso i concerti con questo brano, molto apprezzato dal pubblico”.

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