ALADAR SESSIONS: LA SVOLTA DEI VERONIKA VOSS
di Giovanni Panetta
Intervista ad Arcangelo Lonoce e Gemma Lanzo
Aladar Sessions

Cover di The Aladar Sessions.

Taranto dei ’90. Torniamo a parlare di quella parte dello spaziotempo, e lo facciamo ancora una volta analizzando un’uscita dei Veronika Voss (qui l’intervista ai protagonisti dell’Ovada Records, l’etichetta che ha pubblicato il singolo dei Veronika Voss Frantic/So What), ovvero le Aladar Sessions.
Il gruppo ha avuto due formazioni principali, le quali ruotavano intorno al nucleo centrale di Gemma Lanzo alla voce, Arcangelo “Gipsy” Lonoce alla chitarra e alla voce e Vanni Sardiello alla batteria, e ha visto alternarsi un primo bassista, ovvero il fratello di Vanni di nome Marco, con un musicista già noto nella zona, ovvero Claudio Vozza (Velvet, Gift Of Sin). Dopo due demo (File 001 e Antipop) e Frantic/So What, escono le Aladar Sessions, disco con inclinazioni più pop rispetto l’esordio ufficiale (ovvero il singolo per l’Ovada); nel mini-album Aladar si prendono a piene redini gli insegnamenti trasmessi empaticamente dai loro maestri catanesi Uzeda, prima visti in televisione da Lonoce, e successivamente a quando entrarono con loro in contatto dopo aver condiviso il palco del centro sociale Città Vekkia intorno al ’92 (nel track by track di In A Place Without Name dei Beirut presento meglio questo passaggio; lo trovate qui). Il lavoro fu registrato nel Marzo del ’96, ma fu distribuito solo dopo in CD nel 2004, durante alcuni dei concerti delle reunion occasionali del gruppo che si sono susseguite sporadicamente nel corso del tempo, nei quali fecero da spalla alcuni gruppi del roster Psychotica, ovvero Logan e Beirut. La Psychotica costituisce l’anello mancate tra i Veronika Voss (e insieme in parte all’altra metà delle produzioni Ovada, ovvero i So Fuckin’ Confused (SFC)) all’altro noise (di fine anni ’00 e inizi anni ’10) più progressivo e d’avanguardia caratteristico di etichette ioniche come Lemming, HysM? e Musica Per Organi Caldi; oltre questo c’è un contrasto di luce tra i due estremi del periodo succitato, in quanto la Lanzo e gli altri offrono un immaginario più oscuro e decadente, mentre gruppi come HysM?Duo e Bogong In Action giocano sul concetto del doppio, ovvero tale musica risulta essere a volte intricatamente spensierata, oppure scorretta ma a suo modo divertente. L’etichetta Psychotica (attiva negli anni ’00) è stata partecipativa di questo processo, dove quelle caratteristiche math/post rock, o per lo meno più nuove per quegli anni, stavano cominciando ad emergere e che nella scena successiva o nei gruppi più giovani sarebbero diventati dei tratti più evidenti. Quella voglia di sperimentare avrebbe portato a rivedere il binomio corretto/scorretto, e le Aladar Sessions già partivano con una associabile accoglienza di suono (l’album dei Beirut In A Place Without Name ha in un certo senso portato avanti quel testimone, dove oscurità e luce più tradizionali si uniscono, anche se parliamo di due uscite abbastanza diverse), quindi a livello inconscio potrebbe essere un paragone calzante.

Veronika Voss e Logan

Locandina del concerto di Veronika Voss e Logan del 2004.

 

Articolo Veronika Voss

Articolo di un giornale locale che parla del concerto di Veronika Voss e Beirut del 5 Gennaio 2005.

The Aladar Sessions è un disco a tutti gli effetti guitar pop, ma con un’accoglienza di suono che si dissona in più punti; se Non Song ha un senso della melodia molto più obliquo, tutto il resto è un pop atonale dove si alternano una parte consonante e un’altra dissonante/in disarmonia, e in cui si percepisce una certa imperscrutabilità tra le singole componenti, per poi convergere in parti più cacofoniche ma caratterizzate da una struttura premeditata. In questo senso la musica, insieme ai testi oscuri ma leggeri di (Taking A Shine To A) Jelly Boy e Space Limbo sono un tratto esclusivo degli ultimi Veronika Voss e che molto probabilmente e per quanto detto determineranno il futuro del loro contesto locale.

Potete ascoltare le Aladar Sessions qui sotto:

Abbiamo contattato Gipsy e Gemma per alcune domande, non solo sulle Aladar ma anche, diciamo, oscillando in una posizione di equilibrio tra prima e dopo. Li ringraziamo per la loro disponibilità.

Cominciamo con la prima domanda. Le Aladar Sessions segnano nel vostro contesto una svolta: il suono si incentra su un pop dissonante che si discosta di più dall’abrasività dei primi demo e dal vostro singolo Frantic/So What, pur esplicando feedback caotici, suoni angolosi e nello stesso tempo accogliente consonanza. Un’osservazione che si potrebbe fare in ambito locale è che la vostra causticità che converge verso un pop chitarristico e a suo modo emotivo ha influenzato i gruppi successivi, in particolare quelli del roster Psychotica, almeno secondo il mio punto di vista; non a caso con Beirut e Logan avete fatto insieme dei concerti nella vostra reunion degli anni ’00, e Vanni ha suonato nei Lillayell. Al di là del vostro lato pop, penso che molto probabilmente il vostro modo di suonare ha fatto sì che gruppi, anche più recenti, furono motivati a creare in contesto autoctono una vera e propria scena underground, o almeno inconsciamente, superando molto spesso certa ortodossia della musica rock. Da parte di alcuni si parla del passaggio Ovada, ovvero Veronika Voss, portavoci ionici dell’indie rock di matrice statunitense da cui in gran parte molto è nato, e SFC con il loro hardcore eterodosso. Quindi, nonostante le Aladar Sessions videro la luce molto più tardi rispetto la loro uscita nel merchandising ai concerti della prima reunion nel nuovo millennio, anche se i suddetti pezzi erano conosciuti nei vostri concerti degli anni ’90 prima di sciogliervi la prima volta, riconoscete di aver dato un contributo alla scena successiva in quel senso?

Arcangelo “Gipsy” Lonoce: “Senza dubbio, ed inconsapevolmente, ma non credo dal punto di vista strettamente musicale, credo piuttosto la cosa sia avvenuta a livello di incoraggiamento, di una esplosione di energia creativa – anche esteticamente parlando – che abbia attratto a sé quelle anime più recettive e fertili che, a mio avviso, comunque avrebbero finito per amare un certo tipo di suono o estetica. La cosa che mi piacerebbe che sia avvenuta, in realtà, è che i Veronika Voss abbiano suggerito ai ragazzi ed alle ragazze del posto che non fosse necessario saper suonare bene lo strumento, essere “musicisti” nel senso molto italiano del termine, e voler comunicare con la moltitudine a tutti i costi, apparire rassicuranti, facilmente inquadrabili, fare assoli di chitarra interminabili, avere il basso sotto il mento, avere i capelli lunghi e “le palle”, suonare con un sorrisino compiacente in faccia dando prova di virtuosismo facendosi l’occhiolino. Io credo che il gruppo a livello locale abbia incarnato un periodo di passaggio generazionale. La scena locale era sempre stata molto recettiva all’underground, negli anni ’80 esemplificato dalla new wave, goth, ecc. A me è successo di entrare alla galleria Archita a 16 anni, durante una due giorni multimediale del Città Vekkia, e trovarmi Lydia Lunch in atteggiamento auto-erotico nel bianco e nero ultra saturato di Richard Kern proiettato sul muro.. i mitici concerti al Tursport dei primi anni ’80 (cui, ahimè, per ragioni anagrafiche sono mancato come la maggior parte dei miei coetanei) erano un tesoro culturale della città che si manifestava nella facilità di scambio di dischi altrimenti introvabili. I membri dei Veronika Voss sono cresciuti nella seconda metà degli anni ’80 con l’idea che i Death in June, gli Einsturzende Naubauten, i Birthday Party, i CCCP fossero gruppi “locali”, nel senso che la musica di queste bands circolava in modo capillare in città. Noi eravamo ascoltatori incalliti di questa musica, tutto ciò quando da qualche parte in testa ci suonavano ancora i Duran Duran, Madonna, i Culture Club, dischi che avevamo consumato fino a un paio d’anni prima, quando eravamo poco più che bambini. I primi anni ’90 ci hanno dunque trovati, neanche ventenni, apertissimi alle evoluzioni che il post-punk ha poi seguito. Ad un certo punto dobbiamo aver sentito che essere punk, metallari, dark, poppettari ecc non aveva più granchè senso, tutte quelle influenze apparentemente inconciliabili e opposte negli anni ’80 sono finite dentro un vortice per giunta molto colorato – tutt’altro che nero, grigio o viola – ed i Veronika Voss non sono stati altro che una incarnazione di quel periodo, un periodo che ci ha colto alla fine dei nostri “teens” o all’inizio dei nostri 20 anni, quindi in un momento di energia e forza propulsiva al limite del patologico. Cioè, i Veronika Voss erano al centro dello zeitgeist, pure in posizione di assoluta marginalità geografica, ma veramente al centro di quel tempo e di quelle istanze. Ecco, credo che alcuni ragazzi e ragazze si siano ritrovati in quella forma, totalmente inedita per il luogo (devo dire anche per tanti altri luoghi – il fenomeno era globale, ma era un fenomeno nuovo ovunque) e ne siano rimasti influenzati in qualche modo”.

Gemma Lanzo: “Taranto ha sempre avuto una scena musicale locale molto attiva e ricettiva, è come se in qualche modo avesse la capacità di rigenerarsi e fosse sempre lì, anche se in certi momenti solo in maniera latente. Poi i Veronika Voss hanno avuto la fortuna di nascere in un periodo, parliamo dei primissimi anni ’90, in cui il fermento era globale e nonostante non ci fossero le possibilità di connessione di oggi il potere del circuito era molto forte. Si suonava tantissimo dal vivo, in Puglia ogni provincia aveva una sua rete. Era il periodo dei centri sociali occupati e autogestiti. Gypsy ha citato il Città Vekkia, fu proprio lì che facemmo il nostro primo concerto. Non ci chiamavamo ancora Veronika Voss ma Querelle e in quell’occasione incontrammo per la prima volta gli Uzeda. In questo senso la marginalità geografica non ha impedito la formazione di una scena, anzi forse l’ha rafforzata”.

Mettiamo una lente d’ingrandimento sull’EP succitato. Il genere, come abbiamo spiegato, rientra in un pop dissonante, e si esplica attraverso il chitarrismo di Gipsy che attinge allo sperimentalismo di artisti indie rock delle sei corde come Thurston Moore e Paul Leary, i testi e la voce di Gemma, a tratti oscuri e a tratti infuocati e la sezione ritmica cadenzata, e dai suoni più netti, di stampo motorik. Elementi che nelle Aladar Sessions si amplificano convergendo verso qualcosa di in un certo senso diverso. Magazine Pasta, Shell, Spermspit sono piccole gemme nascoste da (ri)scoprire dell’underground musicale visto anche macroscopicamente, e (Taking A Shine To A) Jelly Boy è così piacevole con quei stop and go che sono così emblematici nella vostra produzione. Vorrei che vi esprimeste su cosa vi ha fatto sentire ispirati in tale senso nella fase di pre-produzione e in quella di registrazione del disco.

Arcangelo “Gipsy” Lonoce: Intanto grazie per le belle parole. Inoltre, non so chi sia Paul Leary – o almeno non lo sapevo fino alla tua domanda ahah. Ovviamente sapevo chi fossero i Butthole Surfers, e ancora grazie per il parallelo, anche se non lo condivido ahahah. Aladar Sessions è nato da un periodo in cui stavamo scrivendo a manetta, con una facilità mai vista. In quei pezzi si sente molto la mano del nostro bassista Claudio Vozza, che era entrato nel gruppo nel ’94 (era un nostro fan, oltre ad essere una pop star locale) e che, dopo un periodo di amalgamazione iniziale, è entrato in modo prepotente (nel senso buono) nelle dinamiche di scrittura. Ancora, questi siamo noi a 22, 23 anni, e suoniamo diversi da noi a 20 anni (o a 18, nel caso di Gemma!). Vanni aveva imparato a suonare la batteria e giocava con ogni timbro e colore gli capitasse a tiro, io stavo godendo una specie di matrimonio creativo, conflittualissimo ma altrettanto fruttuoso, con Claudio, e Gemma aveva preso completo controllo della voce e dei testi, e dipingeva melodie e sensazioni sulle nostre tele. , Inoltre, in quel periodo eravamo molto influenzati dagli Uzeda. Come forse sai, abbiamo passato un bel po’ di tempo con gli Uzeda a quei tempi, non ci perdevamo un concerto, eravamo (e siamo) amici ed eravamo gratificati del loro interesse e del loro supporto. Ad ogni modo, in quel periodo, il ’95, un paio d’anni dall’inizio della band, credo fossimo totalmente ossessionati dall’idea di essere una macchina da guerra dal vivo. Cioè, lo siamo sempre stati anche all’inizio, quando proprio non sapevamo suonare, e quindi facevamo un casino assurdo sul palco, rumore rumore e più rumore, invece un paio d’anni dopo ci si è aperta questa magnifica porta Uzeda (pun intended, come direbbero gli anglosassoni), in cui abbiamo cominciato a sperimentare la dilatazione della forma canzone attraverso l’uso di impianti ritmici e melodici molto più sofisticati rispetto alle nostre prime uscite. Pur restando una pop band, è evidente che abbiamo cominciato a giocare con tutto quello che avevamo a disposizione in quel periodo, che fossero influenze, istanze, capacità nuove di espressione. Alla fine della fiera, comunque, l’idea che teneva insieme il tutto era quella di essere ancora più situazionisti che in passato, cioè creare qualcosa che, quando confrontata davanti al palco, avrebbe dovuto lasciare tracce profonde sulla pelle o meglio nella carne degli astanti. Per quanto mi riguarda non sono mai stato contento del risultato di quelle registrazioni, per quanto farle fu uno spasso, e ci aiutò a conoscerci meglio – come succede ai gruppi in transito. Dopo quelle registrazioni, dal vivo eravamo veramente una cosa devastante. Ma credo nessuna registrazione avrebbe potuto restituire l’energia e la forza del gruppo dal vivo in quel momento, se non il concerto stesso”.

Gemma Lanzo: “Ovviamente le influenze di ciò che ascoltavamo si sentono tutte! Siamo sempre stati tutti e quattro dei consumatori seriali di musica, dei fanatici. Non ci fermavamo mai di ricercare e di comprare vinili. NME, Melody Maker, Rockerilla, Rumore e Planet Rock! Devo ammettere poi che non siamo mai stati degli integralisti, ahah. Abbiamo sempre ascoltato di tutto. I nostri ascolti andavano dai Chapterhouse ai Jesus Lizard, dai Beatles a John Zorn e Glenn Gould. Poi per noi “ascoltare” significava anche andare a vedere le band live. Se ci fosse Vanni qui ti racconterebbe quanti chilometri abbiamo macinato in giro per l’Italia (e non solo). Comunque dice bene Gypsy, quello che veramente ci riusciva era suonare dal vivo, non credo che siamo mai stati un gruppo da studio. Quando abbiamo deciso agli inizi del 2000, e poi nel 2018, di fare una serie di concerti è stato indescrivibile. Abbiamo davvero solo cominciato a suonare e si è ricreata la magia”.

Urusei Yatsura.

Foto della locandina del concerto degli Urusei Yatsura all’Hype! di Trani nel 1997.

Negli anni ’90 erano molto frequenti i concerti in Puglia. Infatti all’Hype! di Trani si esibirono tante realtà interessanti come Unwound, Ganger, Teengenerate, Unsane e altri. In particolare suonarono gli Urusei Yatsura, altro gruppo noise pop, molto diverso dal vostro sound, ma che ha dei punti in comune con i Veronika Voss. Gli UY hanno pubblicato il loro primo album nel 1996, We Are Urusei Yatsura per l’appunto, quando quella potenza sonica è stata sublimata in una forma con colori ancor più saturati, creando un nuovo paradigma che ha caratterizzato i ninties. Penso che la vostra e l’altra band citata rappresentano il culmine di questo processo, sebbene in un contesto ristretto (le due band praticamente due meteore che hanno brillato stroboscopicamente). Dando la parola a voi vi sentite parte di questo processo o trovate degli aspetti di non-appartenenza a quella poetica?

Arcangelo “Gipsy” Lonoce: “Continuiamo coi complimenti e coi ringraziamenti! Ho amato quella band, anche se i Veronika Voss erano già finiti quando loro sono emersi fuori dai loro confini. Li ho visti una volta a Londra in un posto minuscolo, nel ’96, e mi fecero pensare ai VV, cosa che non avrei mai immaginato. Anche io noto delle similitudini tra le due bands, da molti punti di vista. Credo noi fossimo più situazionisti e più sperimentali, loro un po’ più pop e decisamente più famosi ahah”.

Gemma Lanzo: “Gli UY erano davvero forti. Anche io li ho visti live. Follia pura. Devo dire che non avevo mai pensato a delle similitudini tra i VV e loro però come dicevo prima in qualche modo in quel periodo eravamo tutti interconnessi”.

Qual è l’origine di “Aladar” delle Aldar Sessions. Se non sbaglio è una tua idea, Gemma. Ce ne vuoi parlare?

Arcangelo “Gipsy” Lonoce: “Era una fissazione mia a dire il vero. Aladar è il ragazzino in quel cartone animato ungherese piuttosto popolare negli anni ’80 in Italia, La Famiglia Mezil. E’ un personaggio che mi ha ispirato molto da ragazzino e le cui caratteristiche – quello di essere piuttosto alienato ed incompreso dal resto della famiglia, e di andarsene in giro per lo spazio nottetempo insieme al suo cane su una astronave gonfiabile che aveva progettato e teneva sotto il suo letto – ho sempre sentito mie”.

Gemma Lanzo: “Aladar è il protagonista della Famiglia Mezil che è sempre stato anche uno dei miei cartoni preferiti. Parliamo di animazione di fantascienza ungherese, ha in sé un’estetica così diversa dai cartoni giapponesi, c’è tutta quella sospensione così tipicamente est europea… è onirico e strampalato allo stesso tempo. Un bel binomio”.

Parliamo dell’origine dei Veronika Voss. Come nasce l’idea di creare una band così innovativa in un luogo di provincia? Eravate incoraggiati dagli ascolti di quel tempo e da un clima migliore che si respirava a Taranto? Nonostante fosse vivo ancora molto provincialismo e, diciamo, microdelinquenza, penso che vi sentiste stimolati a dare una svolta almeno culturalmente, o sbaglio?

File 001

Cover del demo File 001 del 1993.

Arcangelo “Gipsy” Lonoce: “Sbagli! A Taranto non si respirava alcuna aria nuova e non volevamo dare nessuna svolta. Certo, Taranto era una città piena di energie, da tempo, ed era un po’ che io Vanni e Gemma, insieme ad altri, tra cui i nostri compianti Augusto Petruzzi e Marco Nanni, giocavamo con l’idea di fare scalpore attraverso rumore e strani vestiti. Eravamo a Taranto, ma avremmo potuto essere ovunque. Il nostro immaginario non aveva confini. Non avevamo ancora scoperto il potenziale meraviglioso del pubblico locale, quello dei nostri coetanei e dei ragazzini più giovani di cui ti parlavo prima. Quello lo abbiamo veramente scoperto solo con la band, e per quanto mi riguarda è stata una delle scoperte più belle ed entusiasmanti della mia vita intera.
Personalmente la mia idea era quella di bruciare tutto, tutto quello che c’era stato, tutto quanto senza nessuna eccezione, e vedere cosa succedeva. Successe che una sera, nel ’92, io e Gemma andammo al cinema a vedere una rassegna su Fassbinder, eravamo a Bari dove studiavamo all’università, e uno di quei film era Veronika Voss. Ne uscimmo completamente inebriati, e ricordo come fosse ieri di averle detto, mentre tornavamo a casa, “questo film merita una band”. E’ cominciata così. Avevamo la band senza avere i musicisti né le canzoni. Io scrissi un paio di cose (Evol, Transmission Lost che si trovano rispettivamente sul nostro primo demo File 001 e in quello successivo, ovvero Antipop) su una chitarra classica sgangherata, così io e Gemma registrammo un demo su cui io suonavo tutti gli strumenti e lei cantava. Da lì poi Vanni (che fino ad allora aveva solo suonato sui libri con le penne e le matite) e suo fratello Marco – che a differenza nostra, il suo strumento lo sapeva suonare sul serio – furono reclutati per suonare quei pezzi e quasi per miracolo, nell’estate del ’93, la band venne fuori veramente! Provavamo a casa dei miei a mare, chiusi per ore in un caldo terrificante a produrre un rumore altrettanto terrificante, per la gioia dei vicini, per prepararci al nostro primo concerto, sulla veranda di casa mia. Finita l’estate io me ne andai a Bologna con l’idea di restarci e la band sembrava finita, ma dopo un po’ tornai giù e venne fuori un concerto, quasi per caso. Decidemmo di farlo, e da quello ne venne fuori un altro, e quest’altro che venne fuori, a Talsano, fu una serata epica. In un garage, pieno di ragazzotti del posto, che persero letteralmente la testa per noi. Da lì le cose si mossero molto velocemente, molto più velocemente di quanto ci rendessimo conto. Ma lì, a Talsano, successe un miracolo. Quei ragazzini, a Talsano, ci aprirono porte più grandi e luminose di quanto avessimo fatto noi per loro. Avemmo davvero la sensazione di contare qualcosa per loro, qualcosa che stavano aspettando da tempo. Per noi fu una cosa energizzante, ci cambiò la vita. Non c’era solo il piacere di sentire musica e di pogare lì dentro. Lì c’era un’energia pagana, fortissima, una compenetrazione tra la band e il pubblico quasi orgiastica. L’essenza di tutto… i muri sudavano. La cosa cominciò a ripetersi altrove, ed è stato in quel momento che i posti occupati e autogestiti cominciarono a spuntare come funghi, e noi ci suonavamo. Serate indimenticabili piene di gente meravigliosa. Il Città Vekkia a Taranto contò moltissimo in questo frangente, e se mai c’è stata una svolta a Taranto in questo senso, essa è arrivata durante la nostra attività e certamente non a causa nostra. Era un clima che cominciò a respirarsi mentre noi eravamo in circolazione, e la cosa riguardò l’Italia intera, non solo Taranto. Anzi, come dicevo in precedenza, Taranto era un posto molto sensibile a certe istanze, il posto in cui siamo cresciuti, tra le storie mitiche dei concerti dei Sound, di Siouxsie e dei Bauhaus, i concerti dei Litfiba e dei CCCP, il Città Vekkia, Dischi Blu e poi Stage, le scritte “Confusion is Sex” a via Dante già a metà anni ’80 (c’era gente che amava i Sonic Youth a Taranto a metà anni ’80…), lo scenario variopinto in piazza della Vittoria la sera, dove i vecchi e nuovi punks e darks si trovavano e si guardavano con una diffidenza tutta dei nostri luoghi (vecchi e nuovi si passavano di 2 o 3 anni, ma sembrava una vita), e chissà cos’altro dimentico. Altro che svolta. Quella era una città piena di spinte, oltre che di spine”.

Gemma Lanzo: “Sì, in realtà, come quasi sempre accade, le cose nascono spontaneamente senza nessuna reale consapevolezza. Nel mio caso fu proprio così. Gypsy mi propose di mettere su una band, ricordo che mi disse: “ma tu canti come Morrissey!” ahah. Cambiammo un po’ di formazioni e poi con l’arrivo di Vanni, Marco prima e Claudio poi, nacquero i Veronika Voss. Non abbiamo mai smesso di suonare. È anche vero che abbiamo sempre avuto un gruppo consistente di pubblico molto affezionato a noi e non solo a Taranto ma anche in giro per la Puglia. Credo che avessimo l’urgenza di suonare e questo veniva percepito da tutte le ragazze e i ragazzi che all’epoca ci seguivano. Poi si respirava quell’aria che ha così ben descritto Gypsy. C’era un fermento che non è facile da ritrovare oggi. Inoltre non era un fermento solo musicale, c’era l’arte, il cinema, i libri. In questo anche io non posso far a meno di ricordare il nostro carissimo amico Augusto Petruzzi e le grandi conversazioni, i grandi scambi avuti con lui. C’è tutto un immaginario di quegli anni che è anche estetico. Curavamo noi stessi la grafica, facevamo le locandine, le copertine. I Veronika Voss forse piacevano anche per questo. C’era la musica ma ci portavamo dietro pensieri, immagini, ideali, attitudine che riuscivamo a comunicare in modo molto diretto”.

Veronika Voss, 1996

Veronika Voss nel 1996, da sinistra a destra: Claudio Vozza, Vanni Sardiello, Gemma, Lanzo, Gipsy Lonoce. Foto scattata da Augusto Petruzzi.

Per quanto riguarda il vostro singolo già citato Frantic/So What, ho fatto alcune domande inerenti a Vanni in una mia intervista sempre su Nikilzine di questo Febbraio 2020; è stato per l’appunto detto che il singolo ha avuto un ottimo responso positivo in Italia. Per quanto riguarda voi, in che modo vedete quell’uscita? Inoltre, la vedete determinante per le registrazioni delle Aladar Sessions?

Arcangelo “Gipsy” Lonoce: “Non credo il responso positivo ci influenzò affatto, anche se fummo sorpresi e certamente felici del fatto che il disco fosse apprezzato da gente che a nostra volta apprezzavamo molto, gente che eravamo cresciuti leggendo o ascoltando in radio. Certamente l’elemento di influenza principale su Aladar dipese dal fatto che, con il singolo, per la prima volta sentivamo la nostra musica registrata in modo decente e, come succede a tutti, si sviluppò un processo di vita indipendente della canzone: una volta che l’hai registrata, ne puoi apprezzare le sfumature. La cosa si riflette poi nel modo in cui la canzone la suoni dal vivo, è quasi come se la coverizzassi a quel punto. E’ un fenomeno molto interessante, come se la creazione prendesse il sopravvento su chi l’ha creata. E’ un processo di crescita essenziale che a quel punto influì sulla scrittura dei pezzi che si trovano su Aladar. Aladar non è mai uscito allora come ben sai, ma come ti dicevo la band non fu più la stessa dopo quelle registrazioni. Quelli che seguirono alle registrazioni di Aladar furono senza dubbio i nostri miglior concerti di sempre. Era veramente una goduria suonare nei Veronika Voss in quel periodo, e si vedeva che la gente dopo il concerto aveva facce diverse che prima. Troppo bello”.

Gemma Lanzo: “Naturalmente ci fece molto piacere ma non credo fu determinante per le registrazioni delle Aladar Session, come accennavo prima secondo me non abbiano mai trovato una vera dimensione da studio”.

Per concludere, che messaggio volete dare alla città di Taranto in questo periodo altrettanto particolare per via dell’emergenza COVID-19? Le attività concertistiche saranno annullate per chissà quanto tempo, ma noi speriamo per il meglio; c’è stata da quel punto di vista una ripresa negli ultimi anni dei concerti di grossi nomi da fuori; negli anni a cavallo tra i ’00 e i ’10 c’è stato un periodo di fulgore tramite band come Bogong In Action, HysM?Duo, Cannibal Movie, IONIO, Beirut, Occhio Trio, Ada-Nuki etc. Capisco che sia presto per parlarne sotto certi punti di vista ma, vista la vostra storia, che messaggio volete dare alla città affinché cresca musicalmente e più in generale culturalmente nei prossimi anni?

Arcangelo “Gipsy” Lonoce: “È una domanda difficile. Come detto, io non percepisco di aver influenzato Taranto in alcun modo. Piuttosto, sono certo che Taranto mi abbia influenzato enormemente e che l’esperienza dei Veronika Voss sia anche frutto di quello che Taranto era negli anni della nostra adolescenza e poi dei nostri primi 20 anni, appunto quando abbiamo interagito con la città in modo attivo attraverso la band. I Veronika Voss si sono sciolti nel 1996 perché alcuni di noi decisero di trasferirsi a Londra, tra cui il sottoscritto. Manco da Taranto da allora, a parte le sporadiche visite ai famigliari, e non ho proprio la minima idea della composizione sociale, culturale ed artistica della città. Quindi, non sono nella posizione di poter dare messaggi. Spero solo che, come accadde a noi, nella difficoltà – in questa città sembra piovere sul bagnato – fiorisca quello stesso desiderio di prendere i propri destini per le mani e mettersi in gioco che si respirava allora, quando il “disagio” e la “noia” diedero vita ad alcune interessanti forme di espressione – e di fruizione, l’una senza l’altra è mutilata. Io ho sempre trovato che Taranto fosse una città veramente unica, per esperienze e identità. Ho tante volte sognato che i tarantini se ne rendessero conto ed esprimessero sempre questo carattere senza filtri e senza disagi identitari. L’ho visto succedere, ed è stato bellissimo”.

Gemma Lanzo: “Taranto è una città ricchissima che attualmente frequento e che suscita in me una grande attrazione. Posso dire senza ombra di dubbio che si sta facendo molto e percepisco un buon vibe! Stanno aprendo nuovi spazi culturali e per testimonianza diretta posso dire che chi visita questa città ne rimane totalmente affascinato. Taranto avrebbe tutte le carte in regola per diventare un vero e proprio punto di riferimento per la musica ma non solo, un luogo che non subisce ma crea”.

 

Veronika Voss

Veronika Voss nel 1996, da sinistra a destra: Claudio Vozza, Arcangelo “Gipsy” Lonoce, Vanni Sardiello, Gemma Lanzo. Foto scattata da Augusto Petruzzi.

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