Forza delle basse frequenze, dei colori dell’istinto, della psichedelìa più vitale. Questi sono The Great Saunites, duo costituito da Angelo Bignamini (batteria, proprietario di nausea e successivamente a titolo di diversi progetti come Lucifer Big Band e Billy Torello) e Marcello Groppi (basso, in passato militante negli X-Mary), formatosi intorno al 2008 a Lodi, in cui un suono percussivo organico si fonde con un basso magmatico e dal suono più oscuro, il tutto proiettato verso una ritmica plastica e una versione personale dell’estetica krautrock. Attraverso la loro discografia, interrotta nel 2020 con lo split pubblicato assieme al progetto Palmer Generator, intitolato PGTGS e pubblicato da Bloody Sound Fucktory, Brigadisco, Il Verso del Cinghiale nel 2020, assistiamo a sempre differenti istanze creative per album, in cui figurano la variabilità, seppur periodica, di Delay Jesus ’68 (Hypershape Records, Il Verso del Cinghiale, 2011) e una tendenza alla contemplazione nella “trilogia dei colori”, formata dagli album Nero (Hypershape Records, Il Verso del Cinghiale, Hysm?, Neon Paralleli, 2016), Green (Hypershape Records, Toten Schwan, 2016), Brown (Neon Paralleli, Hypershape Records, Il Verso del Cinghiale, Villa Inferno, Toten Schwan, 2018).
Sebbene il suono psichedelico, che prefigurerebbe in generale un suono più ortodosso, la musica dei The Great Saunites è permeata da sonorità noise e d’improvvisazione libera, nell’ottica cioè di una dinamicità diversificata nel fluire ondivago di una componente ritmica monolitica, in cui ogni album offre una prospettiva diversa nel menzionato approccio lisergico, ove domina metaforicamente un caleidoscopio dalle tonalità ombrose e dallo spessore massivo.
Il futuro di The Great Saunites riserva molte sorprese, e sono imminenti novità ad opera di un nuovo progetto che trova coinvolti Angelo e Marcello. Di seguito l’intervista monografica al duo e un’appendice riguardo altri progetti associati.
Cominciamo con i Great Saunites. Parlateci di come nasce la vostra avventura all’insegna di una psichedelia sghemba.
Marcello Groppi: “Anzitutto un ciao a tutti i lettori di Nikilzine e grazie per lo spazio dedicatoci. Beh, dobbiamo andare indietro ormai di parecchi anni, i primi esperimenti sonori a nome The Great Saunites sono da collocarsi tra il lontano 2008 e il 2010, anno di uscita del nostro primo album. L’avventura nacque, come spesso accade, in seguito alla fine di precedenti progetti musicali, mossa dalla curiosità di percorrere nuove soluzioni e nuovi territori musicali, Angelo passò dalla chitarra alla batteria e la stessa formazione a duo fu per noi all’epoca cosa del tutto azzardata.”
TGS (autoprodotto, 2009), il primo album, è contrassegnato da uno stoner più diretto, in cui si sperimentano le prime distorsioni e aritmie. Nel disco collabora anche un vocalist con il moniker Welles, il cui tono gutturale dà maggiore profondità ai brani. Si smussano gli angoli cercando il proprio stile, anche se le intenzioni di creare meno convenzionalmente sono ben definite. Parlateci degli elementi citati e del componente che poi ha lasciato il progetto.
Marcello Groppi: “I brani del primo album vennero creati nella nostra saletta e composti interamente con basso distorto e batteria. Completate le parti strumentali ci fu l’idea di inserire un cantante, eravamo in contatto con Welles per via di varie esibizioni live condivise e probabilmente si idealizzava un cantato tra Jesus Lizard e Birthday Party, si pensava che Massimo Audia aka Welles fosse cantante dalla spiccata personalità e tale in effetti si rivelò, improvvisando letteralmente in studio senza un reale canovaccio. Le intenzioni di creare qualcosa di non convenzionale come tu stesso sottolinei erano sicuramente ben radicate nella nostra testa, emblematica in questo senso fu la lunga suite Isaiah che venne infarcita di sovraicisioni dal forte connotato psichedelico, forse il primo germoglio del nostro sound da lì a venire. Ricordiamo con piacere anche l’apporto di Michelangelo Roberti, il fonico che mise a disposizione il suo studio e contribuì con idee e suggerimenti al risultato finale.”
Delay Jesus ’68 è uno dei vostri dischi migliori. C’è molta variabilità, energia e dinamicità del suono. C’è l’influsso di un sound noise e dall’impostazione più free o improvvisata. Ogni traccia è una fuga da sé stessa, in cui c’è influsso di uno psych rock di matrice stoner mai ripetitivo o pedissequo. Il suono inoltre è denso di dettagli e particolari tutti da seguire ad ogni rinnovato ascolto. Parlateci di come nascono questi elementi e del contesto relativo alla sua creazione.
Marcello Groppi: “Delay Jesus ’68 segnò una maggiore consapevolezza live della band, nello specifico si voleva ricreare una dinamica diretta, evitando soluzioni da studio che poi non fossero ripercorribili del tutto nei concerti. Questo album vide l’inizio della nostra collaborazione con Luca Ciffo dei Fuzz Orchestra e fu registrato presso la Cascina Torchiera di Milano a cavallo del Ferragosto 2010. I brani avevano delle strutture abbastanza complesse e l’effettistica sul basso risultò il vero punto di rottura rispetto al primo album, diciamo che il suono poteva risultare quasi “fuori controllo” e la registrazione assunse appunto un forte connotato noise con la batteria stessa che si caratterizzava per un approccio più free form. Credo che nell’intero album vi sia una sola sovraincisione di tastiera, a dimostrazione della attitudine diretta di cui si parlava all’inizio.”
Lo split tra TGS e Lucifer Big Band (quest’ultimo un progetto di Angelo), prodotto da Il Verso del Cinghiale nel 2013, anticipa la traccia Medjugorje successivamente contenuta nel successivo The Ivy, in una versione diversa; qui il suddetto pezzo risulta essere una versione più riverberata e spontanea, proponendo un’impostazione più autentica per quanto riguarda sonorità stoner quanto più psichedeliche e anche rumoriste. In Black City emergono atmosfere ondivaghe, magiche ed arcane che richiamano il vostro più conclamato immaginario. Il tutto si districa tra un prima e dopo (momentaneo) che definirà una formula di stoner rock interessante ed eterodossa. Parlateci dei suddetti elementi e di questo status “in bilico” nella vostra poetica.
Marcello Groppi: “Lo split nacque da un’idea abortita di disco Saunites, registrammo tre lunghe tracce in diverse sessioni e sempre con il supporto di Michelangelo, fonico del primo album. I brani furono sviluppati prima dal vivo, come jam, e poi rifiniti in studio. Alla fine si decise di escludere il terzo pezzo, tuttora inedito, e di inserire solo la versione primitiva di Medjugorje e Black City nello split con Lucifer, che poi era Angelo alle macchinette. Fu un esperimento di uscita digitale e venne meno il concetto di disco per l’esclusione di quel terzo brano che sarebbe stato, anche a livello di minutaggio, il giusto completamento. In quella fase più che di stoner eravamo abbastanza influenzati dalla roba Not Not Fun/Holy Mountain e da band come Sun Araw, Magic Lantern, Eternal Tapestry, Wooden Shjips, quel revival lo-fi tra acid rock e kraut che andava molto a livello underground.”
The Ivy (Villa Inferno, Bloody Sound Fucktory, Lemming Records, HysM?, Neon Paralleli, 2013) è il disco in assoluto più sghembo della vostra produzione; un esempio tra tutti è Cassandra in cui un organo free permea il pezzo accompagnato da un tempo poliritmico della batteria. La successiva Medjugorje è contraddistinta da uno stoner ondivago in cui domina l’effetto dissonante della tastiera. Protagonista in Ivy è appunto l’organo, che permea tutte le tracce infondendo una sensazione lisergica in maniera anticonvenzionale ed originale, influenzata in parte dal progetto Lucifer Big Band. Parlateci di questi aspetti e di come prenderà vita la valenza più elettronica nell’arte di Angelo.
Marcello Groppi: “The Ivy è un album a cui restiamo senz’altro affezionati, se non altro perché vide la luce in un periodo storico abbastanza vivace in ambito underground, riviste di settore e non dedicavano infatti spazio al fenomeno della cosiddetta “occult psichedelia”, filone che abbracciava realtà se vuoi anche abbastanza distanti tra loro. Senza volerlo fummo etichettati all’interno di quella scena e il disco ne beneficiò senz’altro in termini di visibilità. Musicalmente cercammo di dare vita ad un lavoro abbastanza vario e caratterizzato da una buona dose di improvvisazione in studio, Ciffo curò registrazione e mixaggio, contribuendo anche con una parte di chitarra alla canzone Cassandra. Parlando di Lucifer Big Band, non so quanto i due progetti si influenzassero a vicenda ma inevitabilmente si potevano cogliere dei richiami, in particolar modo il primo capitolo della trilogia Lucifer e i relativi sporadici live si svilupparono parallelamente al periodo The Ivy dei Saunites.”
In Nero comincia una piena immersione in un suono psichedelicamente lisergico, risentendo l’influenza volontaria o meno degli Om, il duo capitanato da Al Cisneros, ma nel tutto è presente una variabilità di matrice noise e più sperimentale, oltre che da una maggiore velocità nelle dinamiche di esecuzione. Ogni traccia è strutturata a fuga, ma convive una certa oscurità e rarefazione rispetto le precedenti produzioni, dervato anche ad un utilizzo più massiccio dell’elettronica. Inoltre i pezzi sono più lunghi, aspetto che può derivate da una maggiore dilatazione dei pattern sonori o al fine di rendere i pezzi più malsanamente psichedelici. A detta vostra, da dove possono derivare queste caratteristiche, e il cambio di politica per quanto riguarda la vostra poetica?
Marcello Groppi: “Nero nacque come idea di primo capitolo per una particolare trilogia “cromatica”, ciascun colore caratterizzante un suono e uno stato mentale. Si diede particolare risalto all’interno della struttura dei brani alla componente elettronica degli arrangiamenti, la scelta di Rico Gamondi (Uochi Toki) in cabina di regia fu infatti dettata dall’idea di avere una pasta sonora meno settantiana e più moderna. Nello specifico, i riff di basso potevano forse avere dei rimandi Om, se non altro per il clean e la ciclicità, ma il fulcro dell’album venne dato dagli arrangiamenti, per i quali ci imbarcammo in un lavoro decisamente certosino. La componente psichedelica che riteniamo fosse già radicata nel nostro sound qui assunse un mood più cerebrale e claustrofobico, emblematica in tal senso la lunga traccia omonima che forse già da sola avrebbe potuto esaurire l’idea di “abisso sonoro” che si voleva creare. Potremmo col senno di poi dire che, a dispetto delle notevoli energie confluite nella sua realizzazione, Nero fu un lavoro nell’insieme abbastanza imperfetto, potrebbe essere il suo bello oppure no… a ognuno la sua interpretazione!”
In Green dominano suoni eterei e spaziali, contrasegnati da uno stoner/doom più disteso dei dischi precedenti. Se Dhaneb è una cavalcata più notturna con elementi che fungono da outlier, in Antares il ritmo è più dinamico e sincopato, anche se entrambi i pezzi evocano qualche rito pagano di una civiltà remota. Tale poetica raggiunge il suo apice con questo disco, per poi far convergere il vostro progetto verso qualcos’altro. Parlateci di questi elementi e del vostro contemplare sonorità lisergiche fino per un lungo periodo.
Marcello Groppi: “Green è stato il secondo capitolo della trilogia che si potrebbe forse identificare con lo spazio e il viaggio in generale. Le due suite furono composte per essere suonate dal vivo e in quel periodo infatti costituivano parte integrante della nostra scaletta live. A livello compositivo non c’è molto da dire se non che ci eravamo prefissati di scrivere un album pesante, un tributo agli Sleep e a quel concetto di monolite alla Jerusalem per intenderci, la lunghezza dei due brani portata quasi all’eccesso andava appunto in quella direzione. Il disco ha avuto un ottimo riscontro a livello di recensioni nel circuito metal, personalmente crediamo che il senso del lavoro vada cercato all’interno della trilogia, non come album a sé stante. Ci teniamo anche a menzionare Stefano Gerardi, artista lodigiano che ha curato le copertine dei tre album.”
Brown è un po’ la svolta in The Great Saunites. Se gli altri dischi appaiono più uniformi ed omogenei, Brown appare maggiormente diversificato ed originale, richiamando musica prog ed in primis krautrock con idee avvincenti e nuove. Uno dei pezzi vostri più famosi è Respect the Music, pezzo la cui voce parla della fruizione attuale della musica, vista come mera forma di consumo con poca empatia verso chi la crea (sarei curioso di sapere da dove è preso il sample vocale, sempre se vi va di dirlo). Ago invece è un pezzo molto più sghembo e magmatico che potrebbe ricordare sonorità di Faust, Cluster o (di altra area) This Heat, con qualche elemento di improvvisazione libera o minimalismo. Controfase ha un carattere più da pezzo post-rock, in cui appaiono elementi ondivaghi tra progressive e psichedelia, o di leggera, agitata alterazione rimanendo in una posizione di equilibrio. Parlateci della fase di produzione e di come sono nate le associate idee che trovo davvero interessanti.
Marcello Groppi: “Brown è il disco che a posteriori ci lascia più soddisfatti. Registrato da Luca Ciffo, è stato composto in un periodo in cui iniziavamo ad approcciarci alla musica concreta, field recordings, etc. È un lavoro poco suonato a livello di struttura basso e batteria e molto colorato nel contorno, si può quasi dire che basso e batteria fossero gli arrangiamenti e i sample-field recordings la base portante. Sicuramente si sente l’influenza di gruppi kraut e dei This Heat, il miscuglio tra rock e “nastri” è proprio quello che cercavamo perché in un certo senso suona vagamente retrospettivo ed avvolgente nella sua imperfezione sonora. Quanto a Respect The Music, è in effetti uscito come una sorta di “singolo” senza la reale intenzione che lo fosse, basti pensare che il sample è stato scovato su internet casualmente e non ricordiamo nemmeno a cosa fosse associato, il significato ovviamente era convincente ma più col senno di poi. In conclusione, questo album chiude la trilogia nella maniera più free possibile e rispecchia quello che in quel momento ci identificava, un approccio abbastanza “anarchico” alla musica rock.”
L’ultima uscita di The Great Saunites è lo split con i Palmer Generator, PGTGS. La vostra unica traccia, Zante, sembra un pezzo all’inizio di library music, tra ambient e una forma leggermente dancefloor, per poi sfociare in una parte più free e cupa, in cui i suoni, lignei o metallici, percussivi o soffiati (grazie al contributo di Paolo Cantù (Makhno, A Short Apnea) al clarinetto), offrono un tocco giocoso o a più forte impatto al pezzo, creando un puzzle interessante ed originale in musica. Come nasce il suddetto pezzo e la collaborazione con i Palmer Generator?
Marcello Groppi: “L’ultima uscita fu il frutto di un rapporto di stima e amicizia con la band marchigiana dei Palmer Generator, rapporto sviluppato negli anni sulla scia di vari live condivisi e della nostra partecipazione al Festival organizzato dai Palmer stessi a Jesi, il Field Fest. Purtroppo la promozione dello split venne pesantemente condizionata dal polverone Covid che ci impedì di promuoverlo in maniera adeguata. Zante fu un’improvvisazione libera con batteria e tastiere, la collaborazione al clarinetto di Makhno andò ad impreziosire il tutto, adeguandosi alla struttura free del brano. A quel punto si può dire che TGS fosse un’entità del tutto slegata da qualsiasi paletto o struttura ben precisa, non c’era inizio o fine, l’approccio assolutamente libero e volutamente aleatorio.”
Angelo, parallelamente o dopo a TGS si sono avvicendati diversi progetti, come Lucifer Big Band e Billy Torello, tutti progetti originali l’uno rispetto a l’altro, una sempre interessante e autentica evoluzione del tuo sound. Ma come avviene questa tua vulcanica ed entusiasta esplorazione in musica, e come si combacia col tuo progetto in cui collabora anche Marcello?
Angelo Bignamini: “I miei vari progetti identificano sempre un territorio musicale che desidero approfondire e con il quale voglio entrare in un rapporto diretto. Fu così con Billy Torello, nel quale volli cimentarmi con il fingerpicking americano, e anche per la big band di Lucifero in cui mi misuravo con le prime sperimentazioni elettroniche. Il tutto nasce forse dalla mia voglia di esplorare a fondo i suoni ed i dischi che ascolto, essendo, sia io che Marcello, due accaniti ascoltatori e fruitori di musica di ogni genere. Solitamente funziona che quando scopro qualcosa che mi piace, mi invento un nome e provo a rifarlo, tutto qui. I TGS purtroppo o per fortuna hanno risentito spesso di questi miei “cambi di umore”.”
Marcello, so che hai collaborato in We Inherit A World At The Seams (Brucia Records), progetto dei Formalist. Il disco è un dark metal molto ruvido, molto riverberato granularmente, il cui il tuo basso si esprime con note potenti, incisive e lente, in stile doom. Parlaci di come avviene questa tua collaborazione, e se sarai membro stabile nel progetto, visto che nelle linear note di Bandcamp gli altri, ovvero Ferdinando Marchisio, Michele Basso, Riccardo Rossi, appaiono come membri principali.
Marcello Groppi: “Ho iniziato a suonare con Formalist credo nel 2018/19, inserendomi al posto del precedente bassista. Sono sempre stato amante delle sonorità più estreme in ambito metal, pur non avendo mai avuto un progetto di questo tipo, aggiungo inoltre che l’amicizia con Mike dei Viscera/// (già collaboratore TGS in veste di musicista e di boss dell’etichetta Hypershape) ha sicuramente agevolato il mio inserimento.
“We Inherit A World At The Seams è stato il frutto di questa collaborazione, uscito appunto l’anno scorso per Brucia Records, abbiamo anche avuto modo promuoverlo dal vivo nei ritagli di tempo dai rispettivi gruppi. In generale sono molto contento dello scambio reciproco con musicisti di livello come Michele, Nando e Riccardo e penso di potermi sentire in pianta stabile nella band allo stato attuale.”
Per concludere, vi chiedo quando possiamo rivedere e ascoltare la vostra presenza sui palchi a novità nella vostra discografia.
Marcello Groppi: “Stiamo lavorando da qualche mese ad un nuovo progetto musicale, sarà una creatura distinta dai Saunites sia come nome che come formazione, includerà oltre a noi due anche un sassofonista. Al momento non possiamo dire molto di più, essendo i tempi ancora non del tutto maturi, ma sicuramente c’è già tanta carne al fuoco e contiamo di poter presentare qualcosa live verso l’estate. Grazie per lo spazio che ci avete dedicato e un saluto a tutti i lettori di Nikilzine!”
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APPENDICE
Breve monografia parziale di progetti secondari di Angelo Bignamini e Marcello Groppi.
Lucifer Big Band
Atto I by Lucifer Big Band
Atto I, primo capitolo di uno dei progetti più datati di Angelo, ovvero Lucifer Big Band, ha una forma più aliena rispetto le altre e successive produzioni del batterista dei TGS, idee che verranno catalizzate in forma più distesa nelle future produzioni. Ritmi tribali si susseguono in una forma lisergica e ossessiva, da una componente ritmica plasmata da influenze techno, in cui il suddetto rumorismo appare in una versione più pre-processata ed eterogenea.
Atto II by Lucifer Big Band
Atto II appare come l’anello di congiunzione tra The Great Saunites e, per l’appunto, Lucifer Big Band. In questo caso, l’elettronica magmatica associata ad un leitmotiv più psichedelico, aspetto che smussa gli angoli della forma più harsh del suono, sembra il ponte tra due periodi più caratteristi e a pari merito della produzione di Angelo. Allo stesso modo, in Atto II, una maggiore plasticità sembra essere associata ai movimenti della no/now wave tra elementi di Confusional Quartet (in parte e in forma più aggressiva) e in parallelo con quelli dei Yellow Swan.
The Great Saunites/Lucifer Big Band by The Great Saunites & Lucifer Big Band
Lo split tra The Great Saunites e Lucifer Big Band contiene Rakshasa Chant di LBB, pezzo più insolito nella tua produzione con quest’ultimo progetto. Esso infatti risulta essere più disteso ed omogeneo, al contrario del leitmotiv più conclamato in cui ricorrono ritmi magmatici ed obliqui, in cui la dinamicità risulta essere protagonista nella sua appartenenza del movimento molto attivo all’inizio degli anni ’10 Italian Occult Psychedelia, sebbene il suono risulta più sintetico (anticipando per certi versi il movimento figlio dell’IOP, ovvero il Post-Internet soprattutto con le etichette ArteTetra e Pampsychia).
Atto III by Lucifer Big Band
Una maggiore diversificazione segna l’ultimo capitolo di Lucifer Big Band, in cui assistiamo ad una lunga sequela disomogenea di istanze sonore. I suoni che albergano questo Atto III appaiono come materia manipolabile secondo vincoli di aggregazione sonora metaforicamente associati ad un fluido non-newtoniano, in cui, ancora una volta, è possibili trovare confronti (ovviamente non intenzionali) laterali o più diretti con la futura poetica Post-Internet.
Billy Torello
Il Passato Ha gli Zoccoli by Billy Torello
Con il secondo album di solista Billy Torello, progetto solista di Angelo Bignamini, Il Passato Ha Gli Zoccoli, in cui suoni predomina la chitarra acustica con uno stile più consonante attraverso la tecnica fingerpicking, tra il sognante e il bucolico, si riesce a dare nuova linfa alla fervida personalità del suddetto artista. Quanto Può Mancare Una Catena, la titletrack, La Natura Del Ciclismo sono pezzi più che efficaci, con un apparato melodico interessante, probabilmente ispirato a Pink Moon di Nick Drake, con una componente atonale che rende originale il tutto.
Filtro
Delucidazioni su Filtro nell’intervista a Luca De Biasi a cura di Nikilzine che potete trovare qui.
ATRX
Phase One by ATRX
ATRX, progetto solista di Marcello Groppi di impronta elettronica/field recording con tracce acustiche, con Phase One, release pubblicata per la texana Gipsy House Recordings nel 2019, utilizza un approccio all’insegna di un post-punk sperimentale di impronta This Heat (nel periodo del primo album omonimo del 1979), in cui un’oscurità claustrofobica ed aliena emanata dalla parte sintetica fa da sfondo a groove dilatati delle linee del basso. Sicuramente un possibile collegamento tra The Great Saunites e l’attitudine elettronica che si svilupperà successivamente, anche in altri progetti come Dart Drug.
Third Report by ATRX
Incentrato su alcuni collage di sample differenti ritrattati con distorsioni, Third Report consiste in un lavoro in cui dominano outlier, interruzioni e vuoti che rendono caratteristico ed anche originale il fluire centrifugo dei campioni presenti, in cui ogni parte è volta per volta funzionale all’ascolto. Third Report è stato prodotto dalla siberiana Zaimka nel ’21, confermando un’apertura verso un pubblico internazionale da parte di Marcello, ed infatti l’uscita successiva, A Glimpse Of Melody (del 2022), uscirà per la marsigliese Paravision Music.
Angelo Bignamini
Feu De Joie by Angelo Bignamini
Delucidazioni rintracciabili all’intervista ad Angelo Bignamini che potete leggere da questo link.
Autoregistratore Due Cavalli by Angelo Bignamini e Cristiano Carosi
Maggiori informazioni a quest’intervista rivolta a Cristiano Carosi.
8 Doublings by Angelo Bignamini
Gli otto pezzi di 8 Doublings, un lavoro di Angelo del 2021 per la giapponese Kirigirisu Recordings, sembrano riprodurre, attraverso manipolazioni glitchate, suoni della natura, come versi di uccelli, rumore d’acqua o fruscio di foglie. Sembra che si giochi con l’elemento del doppio, in cui l’artificiale si proietta sul naturale, attraverso quello che sembra un “collage pseudo-naturalistico”.
Abbuio by Angelo Bignamini
Abbuio, album completamente acustico e strumentale di Angelo Bignamini, per la bolognese Spettro, è formato da cinque pezzi più introspettivi alla chitarra acustica, nati da notti insonni. Il songwriting strumentale sembra essere più immediato, e appare confondersi nelle tonalità nere e blu della notte, in cui il tutto è permeato da tempi rallentati. Sembra ci sia una netta differenza con i due album di Billy Torello, tutti e tre con analogie timbriche, ovvero Il Passato Ha Gli Zoccolli e il più dinamico ed eterogeneo Ultime Notizie dalla Tartaruga – Chitarra Vol.2.
Giacinto
Rise Of The Inner Slave by Giacinto
Con Giacinto Angelo Bignamini si muove verso pattern più adrenalinici e claustrofobici, e, più in particolare, con Rise Of The Inner Slave (Table Scraps), il suono diventa letteralmente un film dell’orrore in cui ogni suono risulta ansiogeno (in maniera inconsueta) e inaspettato allo stesso tempo. Una versione solista di Angelo di tipo soundtrack con sfumature post-internet.
Altre release per Nausea
Recovery Tapes Vol. 1 by Dart Drug
Dart Drug (pubblicato per la Spettro, mini etichetta noise/di libera improvvisazione con owner Angelo Bignamini) è un progetto che vede i due membri di The Great Saunites collaborare in una versione musicale più avanguardista ed elettronica. La release Recovery Tapes Vol. 1 è caratterizzata da field recording distorti che sembrano provenire da film d’epoca, in cui il tutto ha in una forma oscura ed onirica allo stesso tempo, metabolizzando sogni e incubi in una sola volta.
The Bender by Ines Wiarda
Nella release di Angelo Bignamini The Bender, a nome di Ines Wiarda, vi è ancora una manipolazione di nastri simile a quella che avviene in Dart Drug, ma questa volta in maniera più eterogenea; nastri più diversi, da film o field recording presi dalla vita reale arricchiscono la release in maniera più diversificata, espletando sonorità al tempo stesso più ambient e monocorde in certi punti. Sicuramente una delle uscite più eterodosse della produzione di Angelo.
God Bless This Mess by CMM Collective
God Bless This Mess (Spettro), album che prevede la collaborazione di più artisti di Lodi e Piacenza (tra cui Angelo e Marcello) a nome di Cascina Mulino Magnani Collective (CMM Collective), vi è una celebrazione situazionista ed oscura, tra glitch, synth casuali e sample di trasmissioni radiofoniche che ricordano Immaginary Landscape n. 5 di John Cage. Il suono, aleatorio e diversificato ricorda un’atmosfera di riti arcaici con lo sfondo uno scenario futuristico, offrendo nonostante ciò spazio ad altre più plausibili interpretazioni.