L’IMMAGINARIO TATTILE DEI FILTRO
di Giovanni Panetta
Intervista ad Luca De Biasi; percorso su Filtro e il suo passato prossimo di Vhd Vhd e quello lontano dei Satantango. Dalla sperimentazione più pop a quella concreta del duo lodigiano.
Forma.

Cover di Forma dei Filtro, uscito per nausea. in digitale e CD-R.

La musique concréte manipolata dei Filtro, duo lodigiano nato nel 2016 e formato da Angelo Bignamini (The Great Saunites, Lucifer Big Band, Billy Torello) e Luca De Biasi (Vhd Vhd, Satantango, Playground) è un idea basata sulla contemplazione e alterazione, soprattutto analogica, del reale, in cui il silenzio rende centrale l’espressione del quotidiano in maniera diretta e mai incantata. Una propensione ad utilizzare strumenti disparati, come synth modulari con moduli per la gran parte analogici, sampler, registratori reel to reel, motori DC, rullanti, dove molto spesso si rincorre la qualità di un suono puro, nel senso di realisticamente autentico, in cui la plasticità tattile, in riferimento alla manipolazione fisica di oggetti e strumenti, è centrale.

Nel loro più recente disco, ovvero Opifici, uscito quest’anno per la Hemisphäre in formato CD e digitale, viene realizzata quell’idea più organicamente, descrivendo un corso sonoro o sonorizzato (anche se più sporadicamente, viene meno il suono realista con la presenza di linee melodiche più familiari); sembra che Filtro voglia descrivere una storia, in maniera quasi cinematografica, come se quei suoni di incastrerebbero nella vita di tutti i giorni, la cui percezione viene distorta dai nostri sentimenti, terreni e ultra-terreni. In più come approfondiremo più avanti, realizzazione sonora della dicotomia, in maniera più nitida, del concetto uomo/macchina, dove gli elementi acustico/elettrico/elettronico si rincorrono in diversi modi nella cornice di una natura selvaggia e crepuscolare che invade idealisticamente la vita umana, e dove parti meccanicizzate, industrialmente obsolete, sono animate da un naturalismo selvaggio; un suono tecnologico, meno autonomizzato, che prende le distanze da un futuro sempre più invadente, e legate più indirettamente all’immaginario distopico di Philip K. Dick.

Filtro

Set-up di un conerto a Piacenza dei Filtro (registratori a cassetta, modulare e registratore a nastro).

Per analizzare meglio il lavoro di Filtro, abbiamo intervistato Luca De Biasi. Un tandem attraverso il quale è stato possibile confermare o smentire quanto ipotizzato da noi sui quattro dischi di Filtro finora pubblicati.

Come premessa a questa intervista indiretta, Luca mi manda il messaggio che compare qui sotto, manifestando allo stesso tempo una estemporaneità che caratterizza Filtro, nei suoni e non solo.

“Giusto per contestualizzare: è sabato pomeriggio e sono seduto al tavolo della cucina con un mangia cassette ed un lettore cd; la finestra è aperta e si sentono le voci dei bambini che giocano e le auto che passano; mi apro una bottiglia di vino rosso; fumo una sigaretta e comincio a leggere le tue domande; comincio dalla prima, poi la terza, la quinta e così via in ordine sparso…”

Qui sotto l’intervista a Luca De Biasi.

Allora, parlaci di come nasce e si sviluppa Filtro; un progetto che realizza un’idea radicale di sperimentazione, e permeato da una dicotomia, ovvero l’apporto tuo in senso digitale e quello di Angelo Bignamini atto a manipolare il suono analogico. Come avviene l’idea di tale dualismo?

“Quando sia nato il progetto non lo ricordo esattamente. Dopo essermi avvicinato dalla musica improvvisata e stufo di dover fare e rifare brani sempre uguali a se stessi, avevo messo su un gruppo con un amico (il Follet, il gruppo si chiamava/si chiama Sukkia) con cui ci trovavamo a sperimentare con oscillatori ed effetti vari. A questo progetto si aggregavano ogni volta persone diverse e tra queste c’era Angelo. Abbiamo approfondito la cosa davanti ad una birra gelata e sono nati i Filtro.

“Il dualismo di cui parli non è poi così marcato. Il modulare che uso è un mix di moduli analogici (generatori di suono) e moduli (effetti principalmente) più o meno digitali. Francamente non sono un grande fan del digitale. Angelo invece, pur lavorando principalmente in analogica spesso viene tentato del digitale e su questo nascono lunghe discussioni.”

La prima release, ovvero Riflesso, pubblicata il 12 Marzo 2017 per Upside Down Recordings, domina una maggiore essenzialità; i suoni sono più rarefatti, e fanno da sfondo riverberi e primitivismo analogico e aleatorio, che sembrerebbero realizzati con field recording manipolati di oggetti cavi e metallici o gommosi, esordendo in un gioco con il tattilismo, che verrà più volte ripreso. Parlaci del contesto e del corso di quest’uscita. Inoltre, che ruolo ha il tatto umano che viene sonorizzato nella vostra poetica?

“Devo ammettere che per rispondere a questa domanda sono dovuto andare a riascoltami la cassetta. Difficilmente riascolto il materiale registrato se non per selezionare le parti da pubblicare.

“La pubblicazione è merito di Angelo che è in contatto continuo con mille realtà in giro per il mondo. È difficile dire se ci fossero delle scelte precise dietro a questa cassetta. Penso che il risultato dipenda molto dalle esperienze vissute in quel momento. Dai libri, lai film ed ovviamente dalla musica che ascoltavamo in quel preciso momento ma soprattutto dalla quotidianità/mediocrità delle nostre vite. Nella mia personale ricerca mi piace inserire suoni concreti, quotidiani e lo stesso cerco di fare con i moduli, riproducendo suoni reali.

“Molti degli oggetti che risuonano nel nostro disco (oltre a quelli generati dal modulare) vengono manipolati, percossi, strisciati ed effettivamente la tattilità è molto presente. Come nel Manifesto di Marinetti c’è il tentativo di riportare l’idea attraverso il tatto.

“In Riflesso, in particolare nella prima parte, è molto importante la presenza della voce umana. Ho chiesto ad un amico, dopo una buona cena e diversi bicchieri di vino, di scrivere un racconto e di leggerlo. La sua voce registrata è stata poi manipolata nel tentativo di renderla più dinamica.

“Ammetto di avere un debole per il delay/riverbero anche se nell’ultimo periodo sto cercando di usarlo il meno possibile per rendere i suoni più reali. Nel secondo lato ci sono anche inserti melodici che vengono affondati da suoni concreti.”

Materia invece, pubblicato il 22 Gennaio 2018 per Dokuro, è permeata da interferenze prolungate per quasi tutto il primo lato, e da rumori concreti per il secondo. I suoni sembrano comunicare qualcosa di lirico in forma ideale, riproducendo e ribaltando in forma concettuale regole prestabilite. Una release basata su un suono disteso, espresso grosso modo sul dualismo elettrico/acustico attraverso le due facce della cassetta, ma in cui tutto sommato domina un concept elettronico elastico alla base. Come è nata questa release? Raccontateci inoltre con quali criteri dosate il suono elettrico insieme a quello acustico.

“È difficile dire come nascano le nostre pubblicazioni. Di solito lavoriamo singolarmente sulla ricerca dei suoni e poi, una volta raccolto abbastanza materiale, lo suoniamo assieme facendo molta attenzione sull’interazione dei suoni. L’ascolto l’uno dell’altro è fondamentale nella nostra musica.

“L’utilizzo di un suono in un particolare momento può stravolgere completamente l’idea iniziale (nel bene e nel male). L’utilizzo di suoni elettronici e suoni acustici è probabilmente alla base della nostra musica. L’elettronica creata con il modulare si incontra/scontra con i suoni reali (field recordings) e viceversa. In base alla situazione mi piace marcare determinate differenze piuttosto che minimizzarle.

“Il mio approccio è spesso più minimale. Suoni lunghi e ripetitivi. Quello di Angelo, più dinamico. Comunque non è una regola, anzi, spesso i ruoli si invertono. Il fatto che un nostro disco suoni più o meno disteso. Dipende da molti fattori. Sicuramente dallo stato d’animo di chi ascolta ma anche dai suoni che vengono utilizzati e dal luogo in cui questi suoni vengono registrati.”

Filtro

Set-up di un concerto dei Filtro a Reggio Emilia (registratore a nastro e modulare).

Per quanto riguarda Forma, uscito il 27 Novembre 2019 per Nausea (un’etichetta di elettronica di cui è proprietario Angelo), sono presenti field recording con l’aggiunta di rumori sintetici eterodossamente eterei. FormA, la prima parte, è caratterizzata meglio dal dualismo sintetico/analogico, dove una perturbazione caotica digitale è in contrasto con il suono aleatorio di una campana. In fORMa, la traccia successiva, c’è un’idea plastica di rumorismo, dove compaiono suoni sabbiosi, liquidi, non-newtoniani, o che simulano linee rette. Nella release dominano infatti manipolazioni attraverso un sampler e un registratore reel to reel, manifestando un’idea di musica che abbraccia l’universale tra passato e presente. Inoltre il disco rappresenta quello che avverrà nel prossimo futuro, dando un incentivo ulteriore per quanto riguarda una sperimentazione più organica; qual è quindi la storia di Forma? Inoltre confermi le mie parole?

“Non penso che in Forma ci sia un approccio eterodosso, quanto piuttosto il tentativo di esprimere un’opinione chiara e precisa. Il dualismo, come dicevo prima, è sicuramente presente in tutte le nostre registrazioni ma in questa registrazione in particolare è al servizio di un’unica visione che vorrebbe esprimere la mediocrità delle nostre vite quotidiane. Questo per noi è un concetto molto importante. Riuscire ad accorgersi di suoni straordinari nell’ordinario è un esercizio molto complesso e sicuramente assimilabile al tatticismo di Marinetti (per tornare ad una delle tue domande precedenti).

“L’idea di base di Forma era quella di simulare la ricerca. Rovistare in una scatola alla ricerca di vecchi ricordi, senza la vera intenzione di trovare qualcosa. L’azione in se è importante. Sicuramente la tua è “una” delle possibili interpretazioni dei nostri suoni. Mi piace pensare che ogni persona che abbia la curiosità di approfondire la nostra musica, possa avere una visione personale che può differire totalmente o in parte dall’idea originale del suono. Questa è forse la vera aspirazione della nostra musica, suscitare emozioni.”

Opifici, pubblicato il 4 Gennaio 2021 per l’australiana Hemisphäre, raggiunge un importante traguardo, relativo al contesto. In esso è presente l’elemento di una natura plumbea da contemplare, e l’associata invadenza del suono artificiale e quindi della macchina. Ci vuoi parlare di questo aspetto e di come è nata la release?

“Ultimamente mi sono reso conto che il contesto in cui suoniamo influisce molto sul suono finale. Abbiamo preso l’abitudine di registrare in un piccolo casolare sulle colline di San Colombano dove intorno non c’è nulla ed abbiamo la possibilità di passare intere giornate a discutere e sperimentare. Ogni tanto facciamo una pausa per immergerci nei suoni della natura. Questo ovviamente influisce sul risultato finale. Field recordings si mescolano alla purezza della curva sinusoidale generata dagli oscillatori. L’intento è quello di ridurre il più possibile la distanza tra suoni reali e suoni generati elettricamente.”

Nel primo lato del vostro quarto album, per l’appunto Opifici, è presente all’inizio un field recording di sospensione, formato da un motivo fischiato e riverberato; successivamente dominano interferenze e il concetto di suono automatizzato, ma attraverso una tecnologia che si manifesta in maniera concreta, sinusoidale e obsoleta; è presente infatti nell’uscita un motore DC, azionato da Angelo, attraverso il quale viene realizzato un suono naturalista, per la sua origine non di segnale, e allo stesso tempo industriale, ovvero legata ad una macchina, seppur analogica e elettrica. Nel complesso c’è l’idea di una naturalità tecnologica che domina in mezzo ad un ambiente selvaggio imperturbabile. Domina infatti il concetto di una natura senza l’uomo, o inversamente di una tecnologia naturale, ovvero di uno spazio con delle tracce umane ma non completamente antropizzato. Mi chiedo, come nasce in voi questa concezione in musica?

“Il modulare che utilizzo è principalmente analogico e la generazione del suono è dovuto alla velocità con cui la corrente che attraversa i circuiti elettrici dove la velocità viene regolata tramite resistenze regolate con potenziometri. Da questo punto di vista questo procedimento ci lega ad un approccio concreto, quasi industriale (citi il motore DC) alla musica.

“L’intento però è quello di una industrializzazione più umana, meno automatizzata. Anche le sequenze che sembrano automatizzate in realtà sono riprodotte manualmente intervenendo direttamente su potenziometri o creando loop in continuo divenire. Anche per quanto riguarda i suoni di Angelo, sono fondamentalmente field recording o una rielaborazione dei suoni generati dal mio modulare.”

Filtro

Filtro in sala prove (in foto Angelo Bignamini). Set-up formato da modulare di spalle, rullante e speaker.

Per quanto riguarda il sencondo lato di Opifici, ci sono figure più nette e non addensate omogeneamente; il suono è più digitale da una parte, e contraddistinto da un dinamismo vario che simula pioggia e spari verso la fine, dove il tutto termina con qualcosa di maestoso in senso lato, di sospeso, attraverso rumori di passi che escono di scena. Un’idea più a chiazze in musica, più dicotomica. Come concepite la distribuzione del suono sintetico nelle vostre release? Inoltre tale processo è diventato effettivamente più organico in Opifici, ovvero atto a descrivere una natura extra-umana complessa?

“L’idea originale era quella di creare un pezzo dilatato, con uno sviluppo ben preciso. Un prologo, uno svolgimento ed un finale. Quasi un racconto sonoro che durante il suo svolgimento mandasse degli input ben precisi. Dei suoni riconoscibili ed altri semplicemente suggestivi. Ha probabilmente una matrice più industriale rispetto ad altri pezzi.

“Francamente la distribuzione dei suoni non viene stabilita a priori, è l’improvvisazione dell’istante; la scelta del suono viene decisa nel momento stesso in cui viene emesso il suono. L’interazione con quello che l’altro propone in quel momento, selezionando i suoni, elaborandoli. L’accenno melodico finale è un tentativo di alleggerimento. Un suono riconoscibile, famigliare. Una sensazione piacevole, di tranquillità.”

Parlando degli altri progetti, in quello solista Vhd Vhd c’è un’idea più entropica del suono elettronico, attraverso la release Registrazioni Su Nastro Vol.I (uscita l’1 Ottobre 2015), e una più pseudo-filmica, che sembra accompagnare movimenti del reale, in T (pubblicata il 21 Settembre 2020 per la francese Falt). Uno sviluppo del suono in nome della libertà creativa rispetto a Filtro, quest’ultimo basato su strutture più riflessive, e un passaggio da un suono ambient a suo modo melodico a uno pseudo-melodico e in libertà attraverso più parametri. Come nasce questo progetto e da quali esigenze sei stato mosso?

“Vhd Vhd ha avuto vari mutamenti nel tempo, il progetto è sempre andato di pari passo con l’approfondimento sul modulare ed in un secondo tempo con la ricerca e l’inclusione di suoni reali attraverso i field recording. L’interazione tra suono reale e suono sintetico è alla base della mia ricerca. Vhd Vhd non è molto prolifico, preferisco lasciare sedimentare il suono, faccio molte registrazioni per la maggior parte su un 4 piste a cassetta (come anche molte registrazioni dei Filtro) o direttamente su Walkman, poi le abbandono in un cassetto.

“Registrazioni Su Nastro voleva essere la prima cassetta di una lunga serie basata sull’elaborazione delle varie forme d’onda. Si tratta di pezzi molto lunghi che sono stati poi ridotti all’osso. Solo oscillatori e filtri. Mi affascina come la sovrapposizione di diverse forme d’onda aggiunge o toglie armonici al suono finale.

“In T la ricerca è principalmente basata sul silenzio, sull’assenza di suono. Consiste in varie registrazioni fatte con un Walkman mentre portavo il cane a passeggio di notte. Mi affascinava il silenzio delle strade a quell’ora. Successivamente ho inserito suoni creati random.”

Inoltre non si può non citare il tuo lavoro alla batteria con i Satantango, contraddistinto da un garage-pop-punk angolare, dove le frasi idiosincratiche della parte strumentale vengono avvolte dal calore acido, pungente, energico e con venature blues della voce di Anna Poiani. In Satantango domina l’elemento analogico-sperimentale, avvicinandosi ad un “krautblues”, dove il tuo apporto percussivo conferisce una stuttura elastica che rimanda in forma ovviamente molto diversa ai tuo lavori elettronici. Ti chiedo se Satantango riprenderà mai vita, e se lo vedi in un certo senso correlato nelle intenzioni con Filtro e Vhd Vhd, ovviamente per vie indirette; più specificatamente in che modo hai sublimato l’attitudine a lavorare analogicamente nella manipolazione anche sintetica del suono?

“Nella musica ho sempre avuto la fortuna di lavorare con persone stimolanti, propositive e di larghe vedute. Così è stato con i Satantango e così è con Angelo. Mi piace confrontarmi con le persone per trovare nuovi stimoli.

“Non penso che i Satantango torneranno. È stata un’esperienza fantastica che mi ha permesso di crescere come persona e come “musicista”, che rappresenta però un passato irripetibile.

“L’evoluzione da batterista rock a sperimentatore è stato molto lungo e sofferto. È passato attraverso mille ascolti. Fondamentale è stato un laboratorio di improvvisazione che ho frequentato per un paio d’anni. Questo mi ha portato ad ascoltare in maniera diversa i suoni e ad interagire con essi. Di pari passo mi sono appassionato al suono sintetico, dapprima con tastiere e poi con il modulare. Col passare del tempo ho perso interesse al ritmo, alla melodia e mi sono concentrato principalmente sul suono: l’essenza del suono. Chissà quale sarà il prossimo passo.”

So che Filtro in questo periodo sta lavorando a nuove sessioni, quindi ti chiedo quando approssimativamente sarà pronto il prossimo album, di Filtro o di altri progetti, e se sono previste delle date live tue o in compagnia.

“Al momento purtroppo non sono previsti concerti, speriamo che la situazione migliori e che si possa tornare a suonare live. Abbiamo fatto diverse sessioni di registrazione, l’ultima un paio di settimane fa, che stiamo elaborando. siamo in contatto con alcune etichette per la pubblicazione del prossimo lavoro ma al momento non è ancora stato definito nulla. Anche Angelo con il suo progetto solista sta organizzando nuove uscite ma non si sa ancora quando.”

L’intervista è conclusa, ti ringraziamo per la tua disponibilità.

“Grazie a te per l’intervista. Mi ha dato la possibilità di riascoltare le nostre pubblicazioni con orecchie diverse, nel tentativo di capire la tua visione.”

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