LA SCOPERTA DELL’IMMEDIATEZZA DI ANGELO BIGNAMINI
di Giovanni Panetta
Intervista a A. Bignamini e analisi sul concretismo aleatorio del suo Feu De Joie, release che esprime un quotidiano soggettivo.
Feu De Joie

Cover di Feu De Joie (2021), foto scattata da Nicola Giunta.

Nuovo disco firmato da Angelo Bignamini (The Great Saunites, Lucifer Big Band, Billy Torello). Nell’arco di un anno l’artista che spazia tra psichedelìa e elettronica ha fatto uscire tre release, in solo o in collaborazione. La prima, del 2 Marzo 2020, è uscito PGTGS (per Bloody Sound Fucktory, Brigadisco e Il Verso Del Cinghiale), lo split tra The Great Saunites, duo di cui Bignamini fa parte insieme a Marcello Groppi (e ai quali si aggrega per l’uscita citata Makhno (Paolo Cantù)) e Palmer Generator, masterizzato da RaimondoRicoGamondi: un noise lisergico dalla tinte free, piacevolmente disordinato. Per quanto riguarda la seconda release è uscita per la finlandese Lal Lal Lal un lavoro solista a Luglio 2020, ovvero Zimbatò, dove una melodia psichedelica o suoni concreti vengono potenziati attraverso la loro distorsione o scomposizione in nome di un rumorismo elettronico atto a fare la sua parte nel  far evolvere il concetto di musica; l’ultima, Feu De Joie, uscita un anno esatto dopo PGTGS, ovvero questo 2 Marzo per la toscana Ambient Noise Session si incentra su un suono più sospeso e terreno, attraverso un atto di contemplazione del quotidiano, tra field recording alterati, synth e suoni di un violino preparato suonato dall’artista lodigiano. Con la semantica di quel concretismo il suono si trascende in pensiero, acquisendo per ognuno di noi un significato diverso secondo la propria soggettività, facendo in modo che ognuno sia, secondo la propria creatività attiva, parte di quel processo artistico. L’ascoltatore assurge a creatore, non alienandosi dal fenomeno, ma integrandosi ad esso in modo dinamico.

Di seguito l’intervista ad A. Bignamini, che esamina più direttamente Feu De Joie e i temi correlati.

Allora, Feu De Joie unisce rumori concreti che vengono distorti, spezzettati e reincollati, e disturbati da synth. Inoltre è presente un violino preparato, i cui movimenti analogici, soffocati e a volte aleatori accompagnano e legano quegli squarci del quotidiano filtrati da una soggettività attiva. Ma come nasce il concept e come si sviluppa la sua lavorazione?

“L’idea di questo lavoro nasce intorno a Dicembre/Gennaio, quando Devid (Ciampalini di Ambient Noise Session, nda) mi chiese di proporre una mia registrazione per la sua etichetta. Son solito registrare improvvisazioni in qualsiasi momento, con diversi strumenti e in modalità varie. Quindi ho iniziato a selezionare del materiale che poteva aderire alla mia idea di disco, cioè una sorta di ‘studio/rappresentazione/imitazione’ di alcuni suoni naturali legati alla sfera principalmente dei legni e dell’acqua, ma inseriti in un contesto più narrativo ed imaginifico.
“La prima versione, composta da bozzetti e loops solitari, non piacque ad entrambi. Così decisi di elaborarli in un contesto un pochino più complesso”.

Nella release è presente la musica, ma in una forma decostruita; essa è un miraggio, qualcosa di psichedelicamente anti-musicale, dove i suoni, o per meglio dire i pattern concretamente musicali o musicati, hanno quella materialità terrena che accoglie l’ascoltatore più disincantato. Un percorso imprevedibile strutturato a fuga, attraverso il quale si esprime tra musica d’avanguardia e quotidianità, senza essere consci quando inizia o finisce l’una oppure l’altra. Che significato ha per te la dicotomia citata? Per quanto detto, si può parlare di “anti-psichedelìa”?

“Io personalmente trovo musicale ogni manifestazione sonora che in qualche modo tocca le corde del mio vissuto, che è legato indissolubilmente al mio passato, alla mia crescita e quindi mi suscita emozioni. Quindi vivo quotidianamente ed in maniera del tutto naturale questo rapporto/dicotomia tra suono e trascendenza.
“Se la commistione e l’organizzazione in opera di queste chiamiamole “cellule di senso” ha poi un effetto aleatorio, direi che si può parlare comunque di psichedelìa.
“Straniamento che puoi ovviamente riscontrare solo nell’ascoltatore, che è ovviamente estraneo al mio processo di creazione ed identificazione.
“Io personalmente la vivo come un flusso di esperienze sonore organizzate; una cosa molto vicina all’audiolibro o a un certo tipo di cinematografia”.

Si può percepire lo scandire del tempo, con suoni più cadenzati o caotici, forse a seconda degli stati d’animo, e un suono rinchiuso nella noia casalinga. In A si sente il rumore della pioggia e voci automatiche che alludono ad un ipotetica volontà di manipolare il tempo atmosferico a proprio favore. Una battuta per vincere la noia, ma c’è sempre l’intenzione di andare oltre il quotidiano, alludendo forse a questi tempi difficili di pandemia. Inoltre è possibile ascoltare suoni di concerti (suoni di musica classica o simil post-rock) attraverso i quali si ricostruiscono ricordi o desideri in questo caso repressi. La mia è solo un’ipotesi, ma condividi almeno in parte questa mia interpretazione?

“Potrebbe essere che inconsciamente sia stato influenzato dagli eventi ma non c’era nessuna specifica volontà di trattarli. Ho toccato la tematica della pandemia solo una volta in un mio lavoro radiofonico chiamato Vita Spericolata, in programmazione per un breve periodo su Radio On Berlin, ma ho archiviato la cosa perché lo trovo un argomento molto noioso. Mentre rispondo a queste domande sono ai domiciliari per tampone positivo, quindi, ci tengo a precisare, nessuna piega negazionista nella mia affermazione.
“A livello di significato ha esaurito la sua forza per quel che mi riguarda.
“Rimane una spina nel culo e basta”.

La B è decisamente più complessa, dai suoni addensati, è sembra esserci un epilogo in quel senso. Sembra che quel quotidiano si esacerbi con qualcosa di caotico, e in merito è possibile ascoltare suoni ad alte frequenze. Qualcosa di caotico viene concretizzato nel reale sviluppandosi dall’inizio regolare di A fino, per passare attraverso un quotidiano terreno, fino a quell’elemento preponderante di B, in un processo gaussiano di crescita-decrescita (quel caos perde d’intensità nel finale di B). Parlaci quindi di come si sviluppa questo percorso. È comunque un viaggio nella psiche umana per quanto detto prima?

“È un viaggio sicuramente molto personale. Come già accennato si tratta di un breve racconto fatto principalmente di ricordi sonori pescati qua e là. Ci sta un torrente, dei grilli, una registrazione pirata in un bar a Perugia, pioggia ripresa con un registratore in una scatola di latta e quant’altro. Tutti questi elementi son combinati in un modo che ha ovviamente un senso per me, ma allestiti in una maniera che spero sia abbastanza fruibile anche per l’ascoltatore. C’è sicuramente alla base il concetto di una riscoperta dell’immediatezza, dello stupore e un ritorno (per quanto possibile) ad uno stato primigenio delle cose che ci stanno attorno che ci influiscono ed influenziamo, e sul modo di viverle ed interrogarci. I suoni del legno e dell’acqua vogliono richiamare per l’appunto questa cosa, come il breve estratto di un corso di Italiano/Inglese alla fine del primo brano, o la musica classica presa in auto con un registratore a cassetta. Il caos che spesso invade la purezza di alcune registrazioni è dovuto al feedback con il quale mi piace spesso lavorare per creare un effetto electroshock ed a un montaggio spesso dinamico e senza dissolvenze”.

Angelo Bignamini

Angelo Bignamini live.

Parlaci del violino preparato; il suo uso si esprime attraverso diversi intermezzi e come abbiamo già detto il suo suono è praticamente aleatorio, come se si volesse mostrare la realtà con un microscopio (sub-)atomico la realtà di quel quotidiano, che in questa analisi potrebbe essere formato da stringhe. Ma in tal caso come nasce il suo uso e chi o cosa hai preso come ispirazione?

“Comprai quel violino qualche anno fa per curiosità ed a parte qualche primordiale abbozzo lo tenni praticamente sempre su un ripiano. Lo ripresi in mano dopo un ascolto di un disco che mi piacque molto che era String Noise di Alvin Lucier, e cercai di riproporre a modo mio le sensazioni ed alcune sonorità che mi avevano tanto incuriosito in quel lavoro. Improvvisai per circa trenta minuti davanti a un microfono e accantonai la registrazione fino a qualche mese fa. Ho pensato che potesse ben incorporarsi in questo progetto”.

Feu De Joie è un rito di celebrazione militare, qualcosa di grandioso a cui quei suoni convergono e in cui probabilmente la concretezza di quel suono si sospende. Sospensione che si può imputare ai due lati della cassetta praticamente anonimi. La cassetta è infatti un flusso che riflette sul quotidiano, anti-psichedelico e caotico attraverso un catartico, ipotetico percorso di nascita-vita-morte. Ma come mai quel titolo, e quella volontà di dare continuità radicale alla release?

“Non do mai titoli alle singole composizioni che compongono un mio disco, per pigrizia ma anche perché non voglio suggerire una qualsivoglia interpretazione all’ascoltatore o aggiungere un piglio narrativo a quello che è già insito nella musica.
“”Feu de Joie” perché è stato un lavoro particolarmente faticoso; non so perché ma ci ho addirittura dedicato alcune notti insonni, che non è da me.
“Quindi dopo tre settimane di lavoro intenso mi è parsa una celebrazione doverosa. Poi il titolo in francese fa tanto “musique concrète””.

Per concludere, parlaci di prossime tue novità in cantiere e dicci cosa dobbiamo aspettarci.

“Ho alcune uscite programmate per quest’anno ed alcune in arretrato; vedremo!
“Grazie dello spazio dedicatomi”.

 

Feu De Joie.

Foto promozionale di Feu De Joie, scattata da Angelo Bignamini.

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