L’ELETTRONICA VIVA DEGLI ARCHERS OF LOAF
di Giovanni Panetta
Discorso su White Trash Heroes; come il mondo fervido dell'elettronica, potenzialmente ricco, incontra quello vitale del DIY/alternative rock.
White Trash Heroes

Cover di White Trash Heroes (ristampa del 2012). Disegno e grafica di Cole Gerst.

La musica elettronica è sempre stata contrassegnata da una certa attitudine alla sperimentazione; nata come musica d’avanguardia attraverso personalità come Karlheinz Stockhausen, Delia DerbyshireBernard Parmegiani e Luciano Berio, sarebbe in parte trasmigrata nella musica popolare in un primo tentativo attraverso gruppi come Silver Apples, oppure con il krautrock di Popol Vuh, Tangerine Dream, Kraftwerk e altri, e in una forma ancora più accessibile e ballabile attraverso la discomusic, dove I Feel Love di Donna Summer, e dei produttori Giorgio Moroder e Pete Bellotte rappresenta un primo fulgido esempio. Si può dire che tutti questi fermenti sono confluiti, direttamente più o meno, nella nascita del DIY musicale a cavallo tra la fine dei ’70/inizi ’80, trasfigurando quelle idee della musica pop in maniera distorta, e molto spesso nichilista, celando dietro un intento di propositività o di critica di società e politica.

Gli anni ’90 è il periodo in cui l’elettronica da club (c’è da dire che il confine con la sfera del punk è comunque grosso modo sfumato, e non è un caso che la fruizione dei pezzi post-punk avveniva anche nelle sale da ballo) ha uno sviluppo sia in formato mainstream che nel sottobosco underground; infatti esordisce in particolare la techno, l’hardcore, l’acid, la breakbeat con i loro rave party fuori le città.
Questo comunque non è un articolo sull’elettronica tout court; esso vuole focalizzare un aspetto specifico di come nella sfera punk/DIY stava prendendo piede un attitudine maggiore alla sperimentazione e verso l’elettronica, e che ha sempre permeato quel genere. Ci concentreremo sugli Archers Of Loaf.

Archers Of Loaf

Archers Of Loaf; da sinistra a destra: Matt Gentling, Eric Bachmann, Eric Johnson e Mark Price.

Gli Archers Of Loaf sono un gruppo di Chapel Hill, North Carolina, attivo dal 1991 al ’98, e che ha prodotto quattro album, un EP, tre split e vari singoli. La band è formata da Eric Bachmann (perlopiù chitarra e voce), Matt Gentling (basso), Eric Johnson (chitarra) e Mark Price (batteria). La band, dal suono catalogabile “alternative rock” ma con una forte componente “sonica” relativa all’American indie, appartiene ad una triade di gruppi principali appartenenti alla stessa città in quel periodo (buona parte dei ’90), ovvero Superchunk, Polvo e per l’appunto Archers Of Loaf, con le loro trame angolose ma contraddistinte (in maniera diversa) da una forte apertura melodica, e che hanno delineato il suono di quella scena. Se i Superchunk guardano ad un power pop grezzo (che spicca per la sua attitudine lo-fi in No Pocky For Kitty, prodotto non a caso da Steve Albini), e i Polvo arricchiscono il loro suono con dissonanze e cambi di tempo, guardando per questo alla scena washingtoniana, negli Archers Of Loaf prende piede un suono sì dissonante, ma al tempo stesso più armonico; la voce di Bachmann ha un timbro caldo e le linee sono di impronta blues, mentre il suono degli strumenti è spontaneo, viscerale, veloce, caotico ma al tempo stesso meditato, pianificato, che rimanda ad un certo suono come abbiamo accennato indie (Sonic Youth e Dinosaur Jr dovrebbero dirci qualcosa) e che si sa adattare a quelle linee blues della voce. I primi due album, Icky Mettle (1993) e Vee Vee (1995) sono più legati alla tradizione indie, e sviluppano un suono angoloso e pop, mantenendo inalterate il prototipi di canzone a cui di solito in quel contesto si fa riferimento.

Per i due dischi successivi la situazione cambia, e il suono si avvia ad avere inclinazioni elettroniche e più complesse. Mentre in All The Nations Airports (pubblicato nel 1996) viene espresso un suono più introspettivo, attraverso l’uso disteso e meno convenzionale degli effetti, tale suono notturno ricade di meno in White Trash Heroes, pubblicato il 22 Settembre 1998 per la Alias Records e prodotto dagli Arcers Of Loaf e Brian Paulson. Ma cominciamo dall’inizio. Da qualche anno nel contesto indipendente/alternativo stava maggiormente prendendo piede il suono elettronico in maniera impetuosa e magmatica simile alle trame della rave, soprattutto sul versante europeo. Negli USA emblematici furono i casi dei Girls Against Boys, Beck e Brainiac. Soprattutto questi ultimi, nati a Dayton, Ohio, per il loro sound dinamico e tutt’ora fervido, tramite l’uso eterodosso di intersecare la sfera indie/punk con le tecnologie digitali (almeno in maniera più raffinata), possono essere considerati le pecore nere dell’alternative rock; il gruppo brillò per fervore, ma rimase di nicchia fino alla sua effettiva fine, il 23 Maggio 1997, ovvero quando il leader Tim Taylor scomparve in un incidente stradale. Quello dei Brainiac è un suono sperimentale che trova le sue ispirazioni nel movimento elettronico beat di origine inglese, ma che affonda le sue radici nel krautrock tedesco.

White Trash Heroes

Cover di White Trash Heroes (1998).

White Trash Heroes va in quella direzione, e il suono Brainiac ha il suo influsso, come per esempio nella traccia Banging On A Dead Drum, dove la voce, urlata e in falsetto, si districa molto bene, generando un substrato caotico, (in senso però più analogico) che rimanda alla band di Dayton. Slick Tricks And Bright Lights è un altro pezzo ondivago in falsetto che cela qualche chitarra in phasing permeata da un feedback che cresce e decresce, e rende più evidente quell’intersezione tra le due polarità che abbiamo accennato sopra. Dead Red Eyes è protagonista un suono notturno attraverso i synth costanti, con tutta la band che in medias res attacca facendo crescere di più il pezzo. One Slight Wrong Move, più dinamica e futuristica attraverso l’uso del vocoder, conferisce attrattiva all’album per un efficace uso dell’elettronica, e dell’immancabile suono del sintetizzatore. Effetti e synth dominano anche nella titletrack, ovvero la traccia di chiusura, maggiormente sospesa, sia come suono che come attrattiva dell’attenzione. In Fashion Bleed, Perfect Time e After The Last Laugh hanno impostazioni classiche rispetto alle altre tracce, e rimanderebbero al precedente All The Nations Airports, se non fosse per il suono più complesso e per certi versi progressivo.

 

Ad Agosto del 2012 sono stati ristampati, per Merge Records e Fire Records, All The Nations Airports e White Trash Heroes. Entrambi, nei formati CD, contengono i rispettivi demo registrati su un 4-track più dei singoli. In quello di White Trash Heroes è contenuta Jive Kata, dove il suono automatico e periodico dei synth incontra le chitarre energiche, una batteria in stile motorik e ancora una volta il falsetto di Eric Bachmann. Il pezzo è contenuto in un singolo del ’97 e fu registrato e missato da Bob Weston; esso rappresenta un avvio verso quei suoni più elastici prima di White Trash Heroes, ma che non avranno seguito, in quanto il gruppo si sciolse in quello stesso 1998. Nella successiva avventura, ovvero i Crooked Fingers, Eric Bachmann esplorerà territori completamente diversi, affini ad una poetica acustica e cantautorale, simile a quella di Tom Waits.

Quello di White Trash Heroes è per certi versi un suono diverso da quello più propriamente elettronico (vedasi Brainiac), ma ne assimila le strutture, le idee, e soprattutto l’uso di quella strumentazione. Qualunque siano i reali riferimenti gli AOL sono condizionati da quella poetica di sperimentazione: l’elettronica, che sia concettuale o da club, che ha sempre affascinato in tutti i sensi, e che non smetterà mai di ammaliare, qualunque sia il contesto.

Share This