Psichedelìa e salvezza in Mother Cloud dei Crampo Eighteen
di Giovanni Panetta
Intervista a Nino Colaianni in occasione della pubblicazione di Mother Cloud dei Crampo Eighteen, disco del 2023 per Trulletto Records.
Mother Cloud

Cover di Mother Cloud. Elaborazione di Vanni Sardiello.

Crampo Eighteen è un quartetto proveniente dalla provincia di Bari, formato da Nino Colaianni (voce, testi e chitarra), Luca Stero (chitarra), MIchele Danza (basso) e Vanni Sardiello (batteria), che precedentemente abbiamo interpellato riguardo i primi EP (quando il progetto era solista) e in occasione dell’uscita del primo album Mojo Bag, dalle tonalità più scure. Il progetto di Nino, soprannominato Crampo dai tempi della sua militanza nel gruppo di psych rock That’s All Folks (come batterista e successivamente come chitarrista), è contraddistinto da una psichedelìa asciutta dai toni quasi cantautorali (con testi in inglese), in cui la West Coast statunitense è più che presente attraverso le influenze degli The Screeming Trees di Mark Lanegan e i californiani Redd Kross.

Abbiamo intervistato Crampo in seguito della pubblicazione del secondo album Mother Cloud (uscito quest’anno (2023), per Trulletto Records), lavoro contraddistinto da una luce più chiara e da una forma più levigata. Di seguito la nostra conversazione.

Allora Crampo, il vostro nuovo disco, Mother Cloud, è contraddistinto da un sound più solare, dinamico all’insegna di lucentezza più leggera rispetto il precedente Mojo Bag, tra psichedelìa grunge e glam. Come spesso sono solito domandare all’inizio di ogni intervista, parlaci di come avviene il processo creativo di questo secondo lavoro, e se il songwriting è stato più scorrevole, per un certo imprinting più appassionato all’insegna della melodia.

“Dici bene, Mother Cloud è un disco più luminoso del precedente perché scritto e arrangiato con la band in un periodo prolifico, durante il quale abbiamo suonato molti live e ci siamo divertiti parecchio, per cui in fase di concepimento dei brani mi sono concesso la libertà di spaziare fra i generi, dando spazio anche a composizioni più solari e melodiche. In un certo senso cercavo di allontanarmi dalle atmosfere oscure di Mojo Bag, cosa non facile e scontata, considerando che la dualità tra bene e male, tra luce e oscurità, è sempre stata la mia fonte di ispirazione nonché compagna di vita. Il processo creativo alla base è sempre la forma canzone, sono brani che se spogliati dell’apporto di batteria e strumenti elettrici, puoi anche suonarli in acustico. Il primo approccio alla composizione parte sempre dalla ricerca di una sequenza di accordi su cui costruisco una linea vocale, per me la melodia è fondamentale, sarà colpa dei dischi che si ascoltavano in casa mia quando ero bambino, ahahah! Credo che Mother Cloud avesse bisogno di maturare prima della registrazione, ma abbiamo dovuto affrettare i tempi dopo la proposta della nostra etichetta di farlo uscire questa primavera, ma siamo comunque soddisfatti del risultato.”

JC, il cui titolo mi rimanda personalmente al pezzo dei Sonic Youth su Dirty, dedicato a Joe Cole (roadie dei Black Flag e della Rollins Band, nonché amico intimo dello stesso Henry Rollins), è un intro dall’impostazione più spaziale, in cui l’atmosfera sospesa ci prepara per il seguito dell’album. La successiva titletrack è il pezzo ausiliare alla vostra JC, in cui l’andamento è più risoluto, la cui più marcata dinamicità ci fa prefigurare un album, sebbene abbastanza rarefatto, più scorrevole e luminoso, con melodie agrodolci e catchy. Parlaci di questo aspetto del vostro songwriting più spaziato e per certi versi pop.

“JC è l’acronimo di Jesus Christ, è il pezzo dell’album che prediligo, perché l’unico che è nato diversamente dal processo creativo di cui parlavo prima. In questo caso è nato prima il riff e poi, tutto il resto, è stato costruito coi compagni di band, ma nella mia testa già echeggiava la frase “Jesus move this flame away from me”. Il brano, come giustamente notavi, ha atmosfere rarefatte su un intercedere hard, a sottolineare la dicotomia tra bianco e nero tipica del periodo storico che stiamo vivendo.

“La title track invece nasce da un riff proposto da Luca (Stero 2°chitarra) a cui ho aggiunto tutto il resto. Penso che quello che tu definisci “pop” derivi dal fatto che le nostre canzoni vanno subito al sodo, al nocciolo del brano, sarà perché mi annoio subito, ma per me un brano rock è fatto essenzialmente da strofa, ritornello e assolo, al massimo ci concediamo un intro come nel caso di On My Knees e No One Else.”
Crampo Eighteen

Crampo Eighteen, da sinistra a destra: Luca Stero, Nino Colaianni, Michele Danza e Vanni Sardiello. Foto di Massimo Floro.

I testi risultano leggeri, in cui compare anche una componente pop a tema cosmico, in cui il tutto sembra offrire il giusto omaggio allo stoner rock californiano o glam rock à la Redd Kross, ove il tutto è caratterizzato da una giusta leggerezza da una tipica hit radiofonica. Parlaci dell’idea dietro le tue parole in musica e quali sono i veri e propri riferimenti su questo aspetto.

“I testi sono come sempre semplici e funzionali alla linea vocale. Mi piacerebbe scrivere di più e meglio ma sono pigro e quindi scrivo le prime parole che si sposano bene con la melodia che ho in testa, la definirei una personale interpretazione della tecnica cut-up. Da lì in poi cerco di non uscire fuori tema ma non sempre ci riesco e quindi nell’insieme il risultato é piuttosto ermetico e in fondo questo mi piace, perché così ognuno può dargli il significato che vuole. In questo disco il concept delle liriche è fondamentalmente una richiesta d’aiuto ad una entità superiore, affinché salvi la terra dall’apocalisse verso cui l’umanità sembra andare incontro a folle velocità. La Madre Nuvola del titolo è colei che laverà con la pioggia tutte le storture del nostro tempo. I Redd Kross che citi nella domanda sono una band che adoro e con cui sono stato a cena prima di un loro concerto in Italia, sulla pizza io bevevo vino e loro cappuccino.”

No One Else Can See risulta interessante per l’effetto timbrico da sitar, convergendo verso le consuete sonorità da ballad rock ‘n’ roll. Il tutto ha sempre un approccio sempre più melodico, ma offrendo il giusto omaggio ai padrini da cui ha avuto origine il tutto, ovvero i sixties con Beatles e Rolling Stones. Parlaci meglio delle idee dietro questo pezzo e come avviene l’utilizzo di questo timbro più etnico che ha caratterizzato molto la psichedelìa storica.

“Lo strumento di cui parli è in realtà una Tampura, è simile al sitar. Mi hanno sempre affascinato le sonorità orientali coniugate con la musica rock, nel solco della psichedelia figlia delle sperimentazioni anni ’70. L’idea era quella di utilizzarla come bordone, come fecero i Beatles negli anni del loro soggiorno in India. In pratica l’intro è strutturato secondo i cicli temporali, tipici dei Raga indiani!
Crampo Eighteen

Crampo Eighteen, da sinistra a destra: Vanni Sardiello, Michele Danza, Nino Colaianni e Luca Stero. Foto di Massimo Floro.

Ocean è una delle ballad migliori dell’album, nonché uno dei pezzi più datati successivo alla pubblicazione dell’esordio Mojo Bag. Il pezzo risulta più compatto ed omogeneo, e risulta interessante per un giro di accordi efficace, anche se ondivago come il resto dell’album, ma, come già detto, Mother Cloud lo vedrei come un ottimo omaggio ai ’60 nonché anche ai Screeming Trees, uno dei tuoi principali riferimenti musicali. Come avviene questa omogeneità?

“Sono contento che ti piaccia, perché Ocean è il brano su cui nutrivo più dubbi, infatti ultimamente dal vivo non lo abbiamo in scaletta. Il fatto è che suonava diverso nella mia testa, ma poi in arrangiamento con la band ha preso un’altra direzione, come sempre accade quando propongo i brani ai compagni di band. Questo però è il mistero della musica, la magia che si compie nel suonare insieme ad altri musicisti e amici, ognuno apporta il suo contributo figlio della propria sensibilità. Devo dare atto ai miei compagni di band Michele, Luca e Vanni che il loro coinvolgimento nel suonare i brani composti da me con apprezzamento ed entusiasmo, è stato fin da subito uno stimolo per andare avanti. È un percorso che non so dove ci porterà musicalmente, per ora ci basta fare quello che ci piace. Per quanto riguarda gli Screaming Trees che citi nella domanda, posso dirti che hanno segnato i miei ascolti di gioventù, venderei l’anima al diavolo se in cambio mi donasse la voce di Mark Lanegan.”

Per concludere parlaci delle prossime novità a livello di concerti e se siete già a lavoro sul prossimo lavoro.

“Ho già un paio di brani nuovi allo stato embrionale ma è presto per parlare di un nuovo disco, anche se registrare materiale è una delle cose che ci piace di più. Nel frattempo un po’ di live in giro fuori regione. Ora mi sto dedicando alle registrazioni di alcuni brani dei dischi pubblicati, in versione solo voce e chitarra acustica, stessa cosa per alcuni inediti che pubblicherò solo in streaming.”

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