Crampo Eighteen è un quartetto proveniente dalla provincia di Bari, formato da Nino Colaianni (voce, testi e chitarra), Luca Stero (chitarra), MIchele Danza (basso) e Vanni Sardiello (batteria), che precedentemente abbiamo interpellato riguardo i primi EP (quando il progetto era solista) e in occasione dell’uscita del primo album Mojo Bag, dalle tonalità più scure. Il progetto di Nino, soprannominato Crampo dai tempi della sua militanza nel gruppo di psych rock That’s All Folks (come batterista e successivamente come chitarrista), è contraddistinto da una psichedelìa asciutta dai toni quasi cantautorali (con testi in inglese), in cui la West Coast statunitense è più che presente attraverso le influenze degli The Screeming Trees di Mark Lanegan e i californiani Redd Kross.
Abbiamo intervistato Crampo in seguito della pubblicazione del secondo album Mother Cloud (uscito quest’anno (2023), per Trulletto Records), lavoro contraddistinto da una luce più chiara e da una forma più levigata. Di seguito la nostra conversazione.
Allora Crampo, il vostro nuovo disco, Mother Cloud, è contraddistinto da un sound più solare, dinamico all’insegna di lucentezza più leggera rispetto il precedente Mojo Bag, tra psichedelìa grunge e glam. Come spesso sono solito domandare all’inizio di ogni intervista, parlaci di come avviene il processo creativo di questo secondo lavoro, e se il songwriting è stato più scorrevole, per un certo imprinting più appassionato all’insegna della melodia.
JC, il cui titolo mi rimanda personalmente al pezzo dei Sonic Youth su Dirty, dedicato a Joe Cole (roadie dei Black Flag e della Rollins Band, nonché amico intimo dello stesso Henry Rollins), è un intro dall’impostazione più spaziale, in cui l’atmosfera sospesa ci prepara per il seguito dell’album. La successiva titletrack è il pezzo ausiliare alla vostra JC, in cui l’andamento è più risoluto, la cui più marcata dinamicità ci fa prefigurare un album, sebbene abbastanza rarefatto, più scorrevole e luminoso, con melodie agrodolci e catchy. Parlaci di questo aspetto del vostro songwriting più spaziato e per certi versi pop.
“JC è l’acronimo di Jesus Christ, è il pezzo dell’album che prediligo, perché l’unico che è nato diversamente dal processo creativo di cui parlavo prima. In questo caso è nato prima il riff e poi, tutto il resto, è stato costruito coi compagni di band, ma nella mia testa già echeggiava la frase “Jesus move this flame away from me”. Il brano, come giustamente notavi, ha atmosfere rarefatte su un intercedere hard, a sottolineare la dicotomia tra bianco e nero tipica del periodo storico che stiamo vivendo.
I testi risultano leggeri, in cui compare anche una componente pop a tema cosmico, in cui il tutto sembra offrire il giusto omaggio allo stoner rock californiano o glam rock à la Redd Kross, ove il tutto è caratterizzato da una giusta leggerezza da una tipica hit radiofonica. Parlaci dell’idea dietro le tue parole in musica e quali sono i veri e propri riferimenti su questo aspetto.
No One Else Can See risulta interessante per l’effetto timbrico da sitar, convergendo verso le consuete sonorità da ballad rock ‘n’ roll. Il tutto ha sempre un approccio sempre più melodico, ma offrendo il giusto omaggio ai padrini da cui ha avuto origine il tutto, ovvero i sixties con Beatles e Rolling Stones. Parlaci meglio delle idee dietro questo pezzo e come avviene l’utilizzo di questo timbro più etnico che ha caratterizzato molto la psichedelìa storica.
Ocean è una delle ballad migliori dell’album, nonché uno dei pezzi più datati successivo alla pubblicazione dell’esordio Mojo Bag. Il pezzo risulta più compatto ed omogeneo, e risulta interessante per un giro di accordi efficace, anche se ondivago come il resto dell’album, ma, come già detto, Mother Cloud lo vedrei come un ottimo omaggio ai ’60 nonché anche ai Screeming Trees, uno dei tuoi principali riferimenti musicali. Come avviene questa omogeneità?
Per concludere parlaci delle prossime novità a livello di concerti e se siete già a lavoro sul prossimo lavoro.