Palmer Generator, galoppate psichedeliche d’istinto
di Giovanni Panetta
Intervista a Mattia, Michele e Tommaso Palmieri dei Palmer Generator, family band da Jesi. Si ripercorre la loro carriera fino a Ventre, all'insegna di una psichedelìa free-form.
Ventre

Cover di Ventre. Artwork di Mattia Palmieri.

I Palmer Generator sono un trio da Jesi (AN) composto da due fratelli, Tommaso e Michele Palmieri (rispettivamente al basso e chitarra) insieme al figlio di quest’ultimo, di nome Mattia, nel ruolo di batterista. Dopo la pubblicazione di tre album e un EP, esce il 15 Settembre di quest’anno (2023) Ventre, disco completamente strumentale all’insegna della psichedelìa, rilasciato per la storica etichetta marchigiana Bloody Sound (precedentemente Bloody Sound Fucktory), e registrato (nel 2021), mixato e masterizzato da Alessandro Gobbi. Il disco presenta qualche reminiscenza stoner anche se il tutto è plasmato da una forma più astratta in musica, il quale risulta essere chiaramente il leitmotiv del disco. Il tema di Ventre, nonché di gran parte della discografia dei Palmer Generator, è il viaggio centrifugo in fede ad uno psichedelìa istintiva, in cui il tutto si può presentare come un esercizio di libera interpretazione di un metaforico gioco delle ombre, in cui prendono vita organiche asimmetrie ad opera di un recondito inconscio.

Di seguito riportiamo l’intervista alla “band famiglia” che riguarda parte della loro discografia nonché l’ultimo lavoro Ventre, e progetti futuri.

Allora, parlateci di come nasce e si sviluppa il vostro progetto, i cui pezzi sono contrassegnati da cavalcate periodiche e psichedelicamente sghembe.

“Il progetto nasce nel 2010 in famiglia. Chitarrista e Bassista (ovvero i due fratelli Michele e Tommaso) suonavano già insieme in una band psych (i Virgin Iris). Mattia (batterista e figlio di Michele) aveva all’epoca quattordici anni e suonava la batteria da poco. Inizialmente per gioco cominciammo allora a suonare in cantina nel tempo libero, senza che la cosa avesse dei fini precisi all’epoca a parte il divertirci e passare del tempo insieme. Nel frattempo l’altra band in cui suonavano Michele e Tommaso si sciolse e dato che i Palmer avevamo cominciato ad ingranare e a convincerci sempre di più il progetto si è spontaneamente consolidato come nostra band d’appartenenza. Il fatto di viverla in famiglia ci ha sempre poi permesso di dare al tutto una consistenza “particolare””

Il vostro primo album, Shapes (Red Sound Records), ha forme più classiche legate allo stoner, ma non mancano outlier peculiari. Eikasia sembra aver sfumature jazz di tipo armonico all’interno di qualche bridge. La traccia n° 3, senza titolo, è in pratica un viaggio dentro reminiscenze inconsce personali, mentre Dianoia ha inclinazioni di tipo shoegaze. Tutto l’album ha uno stile più oscuro e rarefatto, che più in là lascerà a spazio ad uno sperimentalismo dinamico. Parlateci di questo esordio e di come nascono i succitati elementi.

“Shapes fu il primo album “vero e proprio” e come quasi tutti i primi album rappresenta una fase ancora embrionale anche se fondamentale nel nostro percorso. È un album che sempre apprezziamo seppur oggi ci identifichiamo meno (infatti è l’unico dei nostri dischi che abbiamo smesso di portare dal vivo, seppur qualche idea a riguardo c’è). Il sound vagamente Stoner, genere con cui abbiam dialogato ma nel quale non ci siamo in realtà mai identificati, derivava principalmente dal suonare accordati sotto (cosa che facciamo tutt’oggi, ma in chiave diversa). Lo stile compositivo presentava comunque già, come giustamente notate, elementi di tutt’altra natura. È un disco infatti più “scuro” rispetto ai successivi dove le aperture armoniche anno cominciato a farsi largo sempre più, ma la psichedelia era allora come oggi il filone dominante di tutta la composizione e qua e là si intravedono già alcune delle dinamiche Noise-Rock, Kraut e Post-Rock che poi son venute fuori sempre più. Il concetto di “viaggio” psichedelico è insomma la costante.”

Il pezzo Mandrie, suddiviso in due parti, contenuto nello split con The Great Saunites del 2020, ovvero PGTGS (per Bloody Sound Fucktory, Brigadisco e Il Verso del Cinghiale), è una galoppata periodica dalle venature math permeata da armonie psichedeliche. Vi è nei pezzi un suono classico al tempo stesso compare il rifuggire continuo da sempre diverse istanze, realizzando una metafora in cui mandrie di certi esemplari di animali compiono un lungo viaggio a serrata velocità, cambiando di continuo lo scenario ambientale. Parlateci della massività ondivaga del pezzo e di come avviene la collaborazione con Angelo Bignamini e Marcello Groppi di The Great Saunites.

“Con i The Great Saunites ci siamo conosciuti diversi anni fa, da allora siamo sempre stati affini e in contatto tra noi, incrociandoci a volte nei live e in situazioni comuni. Nel tempo ci è risultato spontaneo sviluppare una qualche collaborazione, e con PGTGS la cosa si è realizzata, anche grazie a Bloody Sound.

“Il nostro brano “Mandrie” rappresenta appunto una onirica cavalcata psichedelica che metamorfizza attraverso diversi mondi. Dal vivo è uno dei pezzi che siamo più contenti di suonare e a livello compositivo è stata realizzata appunto come un viaggio continuo dentro il quale piano piano son venuti fuori differenti paesaggi a partire dall’amalgama inziale. Il pezzo parte aggressivo e lentamente metamorfizza fino all’apertura finale che getta il tutto entro spazi siderali. L’idea delle “mandrie” si rifà appunto a questa idea di galoppata, ma rimanda anche a quello che le mandrie erano nell’educazione spartana, difatti la tematica dello Split è la grecità.”

Parlando del vostro nuovo album, Ventre, il suono è permeato da trame ondivaghe contaminato da una psichedelia sghemba e matematica. C’è una certa classicità nell’armonia ma il ritmo risulta essere asimmetrico, addensato di climax che si sospendono, dando un’insolita attrazione per il suono. Ventre I sembra essere uno stoner matematico e vorticoso, mentre Ventre II appare più diversificata, una galoppata che attraversa ogni volta scenari nuovi. Parlateci di questa periodicità psichedelica e del processo creativo dell’album.

“Come tutti i nostri dischi, Ventre nasce dall’improvvisazione; anche per questo tutti i nostri brani e dischi risultano essere un’esperienza immersiva e come tali vanno vissuti, dato che noi stessi li componiamo in totale immersione. Come giustamente notate una delle nostre caratteristiche è il giocare con il tempo e le armonie: ci piace lasciare che tempi e controtempi, sincopati e passaggi sghembi giochino con impalcature armoniche a volte vicine alla dissonanza, il tutto a ricreare un’atmosfera di suoni che va vissuta nel suo complesso e appunto in immersione, nella sua totalità. Non esistono tendenzialmente strofe e ritornelli da evidenziare; quando componiamo ci piace tuffarci in un magma che è un tutt’uno, dentro al quale poi realizziamo delle nicchie. Spesso infatti il lavoro di composizione parte dall’intero del pezzo o addirittura del disco intero, che viene fuori semplicemente lasciando andare il suono, poi dentro, ritornandoci e ritornandoci, a volte ripetendo un mood per ore, piano piano si disegnano dei paesaggi quasi “a caduta”.”

Palmer Generator

Palmer Generator. Da sinistra a destra: MIchele, Mattia e Tommaso Palmieri. Foto di Sara Paolucci.

Più autoconclusiva in una prima parte per poi divergere in un viaggio sospeso più astratto è sicuramente Ventre IIII, ultimo pezzo del vostro album. Sonorità matematiche, dalla tonalità quasi agrodolci, caratterizzano questo pattern disomogeneo sonoro. Nel corso del pezzo infatti assistiamo ad una sempre più implementata frammentazione, in cui le linee del pezzo centrale si ripetono come se fossero un vago ricordo che inconsciamente risale, in cui all’interno di quella scomposizione i riff e i ritmi si smorzano, conducendo energia nel mezzo aerostatico fino ad annichilirsi al termine del pezzo. Infatti sembra curioso come l’elemento psicologico che viene simulato in questa composizione rifletta l’aspetto pratico o psico-acustico; in un certo senso è come se l’inconscio giochi un ruolo centrale in questa jam meditata ed austera. Ma quali sensazioni volete far suscitare con l’ascolto di questo pezzo, che tra l’altro chiude il pezzo come se fosse una vostra firma quasi indelebile?

“Riguardo le sensazioni da suscitare non cerchiamo mai di determinarle in maniera determinata. Non vogliamo forzare l’ascolto entro reazioni volontaristicamente stringenti. Come detto, quando componiamo entriamo in una sorta di flusso e il gioco è di trasportare l’ascoltatore entro questo flusso insieme a noi. In questa chiave ci vediamo più come dei veicoli per alcune sensazioni che “vogliono uscire”: più che vedere noi stessi come manipolatori o realizzatori di sensazioni, vediamo queste sensazioni stesse come volontà che si fanno strada tramite noi nel momento in cui improvvisiamo e componiamo. Ovviamente poi, soprattutto in fase di studio di registrazione, a tutto ciò si dà una direzione, ma questa sempre cercando di assecondare quello che esce senza determinarlo troppo. Il finale, e in generale l’ultimo brano è venuto fuori così, possiamo al massimo provare a riferire cosa in noi suscita quando lo suoniamo e quando lo ascoltiamo. Ma ciò è difficile da esprimere, anche per questo esiste la musica.”

Per concludere, parlateci delle prossime novità a livello di concerti o tour, e se state già raccogliendo nuove idee per il futuro.

“Attualmente stiamo organizzando una serie di date col nuovo album da qui ad anno nuovo ed oltre, per ora in zona centro-nord Italia. Siamo sicuri che raggiungeremo belle situazioni, e come sempre conosceremo bella gente e bella musica.

“Per quanto riguarda il futuro ovviamente non ci fermeremo e nei mesi passati abbiamo già cominciato a stendere bozze di nuovo materiale e buttare giù nuove idee. Vediamo poi cosa se ne concretizzerà. Ma per ora siamo concentrati, naturalmente, su “Ventre”.”

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