Il percorso dei Djeco, tra prog, no wave ed eterogeneità
di Giovanni Panetta
Intervista ai Djeco (Mattia Betti e Lorenzo Sguanci), duo da Prato tra sperimentazione, ironia ed eterogeneità. Intervista con track-by-track dei loro dischi, ovvero Low Battery e Animambo.
Animambo

Cover di Animambo (2022).

Il 2 Febbraio di quest’anno viene pubblicato Animambo , il secondo album dei Djeco, pubblicato per Troppistruzzi, 1a0 and Santa Valvola Records, in formato digitale, CD e cassetta. I Djeco sono un duo proveniente da Prato e formato da Lorenzo “Blanco” Sguanci (basso, voce) e Mattia Betti (batteria, voce, synth), il cui suono, propriamente di stampo math-noise/no wave e in cui compaiono elementi in comune con Ruins, Burmese e Testadeporcu, è inglobato all’interno di una macro-scena nazionale che ruota intorno alle etichette HysM?, Lemming Production, Santa Valvola Records e altre realtà. Oltre alle precedenti esperienze con Tanz (quartetto di Prato di cui faceva parte Lorenzo) e Umanzuki (originari di Firenze, da cui Mattia è uscito intorno al 2013), nel corso della loro carriera i due componenti anno fatto parte di diversi progetti; infatti Lorenzo ha collaborato nel Collective Nimêl, Mattia ha fatto parte dei Panzanellas, ed entrambi negli Sbrotha.

Approfondendo questi progetti citati, frequenze sonore disparate e magmatiche appartengono a questo corpus complessivo. Cominciando dai Tanz, nel loro primo EP Terracarne (HysM?, Manza Nera, 2013), si ironizza su molti stereotipi delle sonorità più recondite: post-punk (Chi Muore Si Rivede), post-rock (Tanz), minimalismo più all’insegna del pop (Un Atto D’Amore Per Le Cose Del Mondo). Tutti i brani della tracklist fanno uso di dissonanze elastiche, un’attitudine che caratterizza anche le linee di basso eterodosse, violente e dinamiche. Nel secondo EP dei Tanz, Baccanale (HysM?, Technicolor dischi, Edison Box, 2015), tempi dispari e una potenza graffiante (anche se in forma diversa) tornano ad essere protagonisti, attraverso un’articolazione del drumming e della componente ritmica ancora più complessa. Il disco si sussegue in diverse istanze anche all’interno della stessa traccia; Spritze da questo punto di vista è più uniforme attraversando modi e strutture variegate, più orientate verso un math rock magmatico, mentre in Cala Zero e La Stagione Della Caccia appaiono componenti differenziate per consistenza, e l’ultima citata è maggiormente permeata da una singolare astrazione e variabilità. Per concludere, Come Un Eco risulta più lirica e rarefatta, vero outlier dell’album.

Invece, per quanto riguarda il trio in cui ha collaborato Mattia, ovvero Umanzuki, nell’EP Sonic Birds (Brigadisco, Spettro Records, HysM?, Eclectic Polpo Records, fromScratch, Zamzam Records, Charity Press, 2012), vi è un suono lucente e non convenzionale allo stesso tempo, arricchito da una batteria libertaria ed espressionistica, come per esempio nella traccia iniziale Rainbow, in cui il pattern ritmico varia in maniera magmatica e fugale. Una prima testimonianza negli Umanzuki risale al loro primo album, Pipes & Sugar (fromScratch, 2011), in cui la matrice jazz noise ha una forma essenziale, ma in cui si intravedono paesaggi curvilinei e asimmetrici che saranno proiettati in un futuro dall’entropia maggiore. Nella traccia Naak Middagate vi è la presenza di riff jazzcore slabbrati che oscillano intorno ad una posizione di equilibrio, e il tutto viene associato ad una sessione ritmica dinamica e storta; in Wanyamwez viene offerta una cadenza più regolare e rarefatta in alcuni punti da parte della batteria. Absaroka Storm ha un beat math-afro associato ad un effetto fuzz di una chitarra rumoristica e minimale che esplode in una forma libera e caotica verso il finale.

Poco prima o intorno la nascita dei Djeco, di sviluppano altri progetti. Nell’intervallo 2013-’14, Mattia prende parte ai Panzanellas, insieme a Francesco Li Puma (Atomik Clock, SUDECO, Atomik Gorillas) al sassofono, e Stefano Spataro (HysM?Duo, Ada-Nuki) alla chitarra baritona e basso. Il suono è più orientato ad un free noise/jazz impetuoso e disomogeneo, più periodico nella parte ritmica (in cui il tuo drumming ha i suoi elevati gradi di libertà energici) è un espressionismo naïf nelle linee di sassofono. Nella tua collaborazione dell’EP Aggression (nella traccia omonima) i movimenti sono più quadrati, mentre in Cometa (lo split con i Putridissimi) vi è un suono più lisergico, denso, per l’appunto spaziale; Far East gioca con sonorità extra-europee, ovvero ritmi tribali e linee quasi mediorientali/indiane; in Spataro Loves That Tiny Tail il ritmo all’inizio è più rarefatto per poi convergere in una percussività bianca; mentre in Betti Walking Galaxies i pattern sembrano essere di matrice jazz con variazioni al tema astrattiste. Un suono che convergerà in perturbazioni più caustiche e magmatiche.

Intorno all’intervallo 2014-’16 Lorenzo fa parte del Collective Nimêl, insieme a Tommaso Galione, Diego Pinna, Tommaso Diana e Valerio Orlandini. Il progetto è basato sull’improvvisazione libera accompagnata da reading carnalmente violenti, sarcastici e nichilisti. La registrazione del live al No Cage di Prato, del 20 Maggio 2016, è flusso di coscienza sonoro, e più strutturato, seguito da parole ironiche caratterizzate da black humor (in questa registrazione al basso vi è Tommaso Diana). Invece Santa Croce sull’Arno (un esibizione registrata cinque giorni dopo, ovvero il 25 Maggio 2016, pubblicata attraverso un autoproduzione, e in cui vi è il tuo contributo al basso e effetti) è un racconto claustrofobico dal suono più fisico nell’evocare quelle parole raccontate da Valerio Orlandini. Il modo di suonare di Lorenzo è più periodico, marziale, meditato, ma in ogni modo astratto. Un’idea di improvvisazione libera più energica e viscerale, che si discosta dalla dinamicità complessa di Djeco.

Una parentesi di Djeco, più urbana, è sicuramente Sbrotha, progetto in collaborazione con Gaetano Sciacca (precedentemente in Les Spritz e proprietario del Dalek Studio a Messina, qui alla chitarra, batteria elettronica e voce). Questa versione dell’offerta di Djeco, insieme a Sciacca, è permeata da una maggiore sinteticità, e un utilizzo estremamente rumorista di pattern liberi di batteria, linee di sampler e voci caotiche determinerà la tendenziale stasi meditativa precedente al successivo album dei Djeco. Nel finora unico disco degli Sbrotha, Bbellissimo, del 20 Ottobre 2018 e autoprodotto, lo sviluppo delle tracce è lapidario in tanti sensi, un suono più urbano, quasi di ispirazione gabber, che stava cominciando ad emergere in altri contesti associati. Porno Soft in the End, più cadenzata, possiede un lisergismo nelle linee vocali campionate che vengono alterate. Viale Giostra incr. viale Regina Elena è più rarefatta, sviluppata attraverso uno sperimentalismo organico e fugale. Una tendenza alla periodicità con maggior lirismo è presente in Sague di Bue e Acqua Ossigenata, che viene successivamente modulata in senso ironicamente classicista. Albania è più oscura e lisergica, estemporanea nella traccia vocale. Ritardato è un interessante gioco plastico di sample accompagnati dalla musica. Inferno Todisco, che ha dei pattern di batteria potenti e minimali nell’articolazione, e manifesta di rimando una vitalità dinamica nelle linee di basso e sampler. Infine Caffé Unbordello (traccia quasi omonima a quella presente nell’ultimo full-length dei Les Spritz (2015), e influenzata da Gaetano stesso (qui la fonte)) ha una melodicità più propriamente gabber ma in maniera ironica, giocando con gli associati stereotipi sonori.

Per concludere, e passare all’intervista, il duo Djeco risulta essere ludico e libertario degli altri progetti, sapendo cambiare registro sonoro con elastica creatività; se Low Battery, il primo disco, è più oscuro, con sfumature brutal, Animambo risulta essere meditato, barocco in senso lato, maggiormente influenzato dalla musica prog; ma nella visione complessiva, i pattern e gli stili risultano essere diversificati e originalmente ben strutturati, tra dissonanza, poliritmia, potenza di derivazione di metal estremo e molta ironia.

Di seguito l’intervista ai Djeco, più due track-by-track relativi a Low Battery, ovvero il primo album, e Animambo.

Cominciamo dagli inizi. Come nasce il vostro percorso all’insegna di un math-noise spigoloso e antisimmetrico che ha caratterizzato quasi analogamente anche i vostri precedenti progetti, ovvero Tanz e Umanzuki?

“Il passaggio è stato piuttosto lineare, perché ci siamo portati dietro dai nostri precedenti progetti un’attitudine alla composizione che ricercasse la maggiore libertà possibile, giocando con gli schemi dei tempi complessi.”

Moseca

Cover di Moseca (2015).

La prima uscita discografica di Djeco, Moseca, per JazzcoreInc e Santa Valvola Records e del 2015, è permeato da una energia ritmicamente complessa, in cui il suono è più essenziale, concepito sia come presenza/assenza di parti che nel cogliere una componente intensa di quella potenza free. Bella Ma Anche Complicata Come Questo Esagono ha una caoticità libera attraverso una struttura più cadenzata in senso astratto, strutturata a fuga, con elementi growl. Un math rock più caldo è evidente in Perfect Risotto, in senso fugale e non-euclidea e con caratteristiche brutal nelle linee di basso e nella voce. In Sanguisugo, incorniciata da campioni che rimandano a suoni grotteschi (e che richiamano il titolo) compare un brutal-math pungente, più eterodosso nel contesto. Buona Camicia A Tutti ha un suono più uniforme (nel contesto) e scanzonato, ironico anche attraverso i campioni presenti. Come si nasce e si sviluppa questo suono e l’EP, che sembra rievocare in senso più lato la no wave (americana ma anche italiana), o più propriamente i Ruins e i Lighting Bolt?

“L’EP nasce dalle nostre prime prove insieme; il suono del disco è volutamente grezzo per accentuare un’idea di ambiente rustico, tipico della sala prove. Come succede spesso, nei primi attimi di vita di un gruppo la voglia di fare e di comporre è tantissima, da qui le strutture molto “spezzate” e irregolari delle canzoni. No-wave, noise e jazzcore (italiano e internazionale) sono stati il punto di partenza per lo stile di composizione.”

La successiva release e primo album di Djeco, Low Battery, pubblicata nel 2017 per HysM?, Santa Valvola Records e JazzcoreInc, il suono brutal è più marcato, permeato da maggiore ironia e sarcasmo, attraverso un dinamismo e una causticità più aggressive, dissonanti e arabescate. Come nasce e si sviluppa il concept di Low Battery?

“Low Battery non è propriamente un concept, ad ora non abbiamo trovato un pensiero o concetto a cui dedicare un intero disco. Ogni canzone del disco ha una sua storia e una personalità differente e Low Battery è il contenitore che serve a raccoglierle tutte. Il titolo “Low Battery” nasce da un errore di traduzione inglese di “basso-batteria” (riferito appunto a un progetto musicale) letto su un commento di Facebook, per cui non c’è nessun concetto comune che collega le canzoni.”

Low Battery

Cover di Low Battery (2017).

Per esaminare meglio Low Battery seguirà un track-by-track del lavoro. In Ho Fatto Sparire La Mia Famiglia l’aspetto math-rock acquisisce tinte funk e leggermente jazz, soprattutto attraverso le linee e gli accordi di basso, e grazie il contributo alla tromba di Fabio Velotti, dalle tonalità più rotonde. Come nasce il pezzo e il suo comunicare con più stili e forme?

“Premettiamo che dopo 5 anni dalla sua registrazione, lo consideriamo ancora uno dei nostri pezzi preferiti. Il pezzo nasce già con l’intenzione di aggiungere un terzo strumento; il contributo di Fabio è stato casuale e last minute ma è riuscito, nonostante abbia un background più jazz di stampo classico, a entrare da subito nell’atmosfera del pezzo, dandogli un senso di continuità e di amalgama. Tra parentesi, Fabio al tempo era il barbiere di Mattia, e la proposta di collaborazione è nata mentre gli stava tagliando i capelli.”

Una Crisi Sul Religioso, più un intermezzo, ha uno stile matematico più energico e periodico, quasi magmatico. Come avviene il suo essere “lapidario”?

“Questo è il primo dei tre intermezzi all’interno del disco. Volevamo omaggiare uno dei nostri film preferiti, Berlinguer ti voglio bene, ed in particolare il personaggio di Bozzone interpretato da Carlo Monni. Il pezzo vuole rispecchiare la natura appunto “lapidaria” del poeta campigiano, nel film un sordido muratore.”

Lorenzo Sguanci

Lorenzo Sguanci. Foto di Enrico Berretti.

Patate Riso E Cozze risulta essere disomogenea, con un growl aperto e cacofonico. Il pezzo ha un andamento fugale, e in certi punti è presente un certo melodismo malsano. Il finale è pura potenza: un mix tra basso e batteria infuocate e growl blaterante. Come nasce il pezzo e la sua eterodossia?

 “Patate riso e cozze è un incredibile piatto pugliese a cui siamo affezionati come alla regione stessa. Ci andava quindi di dedicargli un pezzo, e la sua attitudine deriva dal piatto stesso: le discussioni sulla vera ricetta sono infuocate e addirittura sul nome stesso, riguardo la sequenza degli ingredienti.

“Secondo noi la zucchina non ci va.”

I Said I Love You, You Said OK è più lirica, esprimendo il tema suggerito dal titolo. Dopo una prima parte vi è un campione sul tema, confluendo in un climax in cui la batteria risulta quasi fuori tempo con tutto il resto. Inoltre in questo pezzo vi è il richiamo, in un qual modo, dell’offerta dei Tanz, attraverso linee melodiche più introspettive, distese, ma dissonanti. Come nasce questo pezzo e il suo lirismo storto?

“Il pezzo è stato composto liricamente e per la maggior parte della sua struttura da Lorenzo, il quale si è ispirato a un episodio accadutogli realmente, che però ha cercato di raccontare dal punto di vista dell’altra persona. Mattia ha poi contribuito all’atmosfera disperata, specialmente nel finale, con del drumming caotico all’interno di una sequenza fissa di accordi.”

In Pippo Franco Is Our Giorgio Gaslini, con un reading estemporaneo di Paul Sintetico (Paolo Pierattini di Santa Valvola Records), compaiono linee aleatorie di basso molto simili a quelle di chitarra, per poi confluire in un caos più cadenzato. Come nasce l’aleatorietà del pezzo all’interno del disco?

“Questo è il secondo intermezzo del disco, in cui avevamo già idea di inserire un ospite alla voce. L’unica cosa che avevamo era il tappeto ritmico e il titolo; abbiamo mandato il materiale a Paolo che in una sera ha scritto il testo. Il mattino dopo ci ha mandato una prova del cantato e quella è stata poi la versione definitiva.”

4/4 Gatti allude sia al tempo che ad un certo nichilismo nei suoni e nelle immagini che vuole evocare. Dopo l’inizio, più spigoloso, il pezzo assume una forma lisergica, che viene arricchita da voci spettrali e un groove di batteria che da free diventa motorik. Le linee di basso assomigliano a quelle di una chitarra e sono caustiche, psichedelicamente cacofoniche. Come nasce il pezzo e la sua eterossia anche all’interno del progetto Djeco, finora in quel periodo?

 “Il riff iniziale è nato per scherzo; nella parte centrale del pezzo abbiamo provato a cambiare il nostro approccio tenuto fino a quel momento inserendo un blocco ripetuto, provando a sperimentare parti più ipnotiche rispetto al frammentato (cosa che abbiamo poi approfondito poi in Animambo). La parte finale nega tutta frase precedente.”

Djeco live.

Djeco; Lorenzo Sguanci (sinistra) e Mattia Betti (destra). Foto di Enrico Berretti.

La Spensieratezza Va Stroncata Alla Nascita, che ha come inizio un campione di uno spettacolo di Antonio Rezza, ha un andamento più lineare in maniera obliqua all’inizio; successivamente diventa più pulsante dopo una pausa (alla fine di un sample del pianto di un bambino), per poi convergere in un climax moderato di free music, affievolendosi con elementi di periodicità. Come nasce questo pezzo e il suo più accentuato clima temperato?

 “La canzone comprende vari sample estratti da diverse opere di Antonio Rezza, di cui siamo grandi fan. La composizione è stata molto lineare, per cui una parte si è naturalmente susseguita alla precedente.”

Alex Webster’s Right Hand AKA Pussy Destroyer (il titolo fa riferimento al bassista e componente storico del gruppo death metal Cannibal Corpse) è un intermezzo in senso brutal e cacofonico secondo quella struttura suggerita. Come nasce il pezzo? In generale, parlateci del tuo rapporto con il metal estremo e in che modo, da come si può naturalmente immaginare, ha influenzato Djeco, la vostra scrittura e attitudine.

“Questo è il terzo e ultimo intermezzo del disco, in cui omaggiamo il mondo del metal e cerchiamo di inserirci tutti i possibili cliché del genere. Come hai giustamente detto, siamo cresciuti col metal e tutt’ora siamo dei metallari puzzolenti. Come dice Fat Ed di Fur TV nel sample all’interno della canzone, “Not everyone like metal. Fuck them!””

Neomelodicore, in cui compare un sample di uno sketch comico di Vittorio Gassman, ha pattern ritmici tribali arricchiti verso la loro conclusione in un crescere di voci e suoni aleatori; successivamente il suono assume una cadenza metal, più periodica, potente, strutturata. Come nasce il pezzo? In riferimento al titolo, come nasce la vostra ironia in musica più in generale all’interno nella vostra estetica? Sicuramente un modo di giocare con due strutture più popular, quella commerciale (in maniera sarcastica) e anche quella legata al metal (più sperimentale), che molto spesso in generale fa uso di strutture più tradizionali (diversamente da noise e avanguardia). Ce ne volete parlare?

“Il pezzo si compone principalmente di due macro-strutture ritmiche, unite dalla cassa dritta. La canzone è stata composta da Mattia che ha sviluppato degli esercizi di coordinazione di natura tribale, traendo ispirazione dal drumming di Antonio Zitarelli (Mombu, Neo).

“Lorenzo ha poi inserito vari sample che seguono il ritmo nella prima parte, e ha aggiunto l’aspetto più metal nella seconda.”

Speed Nano, l’ultima traccia, è un esperimento più aleatorio che chiude l’album in maniera più sospesa e rumoristica. Come nasce questo pezzo e la sua idea all’insegna di uno sperimentalismo estemporaneo?

 “Questa è una cover del gruppo jazzcore Testadeporcu contenuta nell’album I Hate Music, che abbiamo cercato di riprodurre il più fedelmente possibile. Tra l’altro, l’unica canzone dei TDP che riusciamo a riprodurre. Per dubbi sulla natura di questa canzone, bisognerebbe rivolgersi direttamente a loro.”

Low Battery viene pubblicato anche dalla HysM?, attraverso la quale si consoliderà un forte rapporto con quella scena locale – HysM?Duo, Atomik Clock, Les Spritz, La Confraternita Del Purgatorio, ma anche Superfreak, i corregionali Helka WU?, Alexander De Large, etc… – asse tra la Toscana e la Puglia; Come abbiamo già potuto approfondire, una parte di voi Djeco confluirà in un associato collage musicale, ovvero Panzanellas, ed inoltre, come già detto, Umanzuki e Tanz hanno collaborato con l’etichetta tarantina. Come nasce l’incontro e come si rafforza la collaborazione con Jacopo Fiore e Stefano Spataro, ovvero le menti di HysM? e HysM?Duo?

“Grazie ai nostri progetti precedenti (Umanzuki, Tanz) siamo entrati in contatto con Stefano e Jacopo con cui negli anni siamo diventati amici. Il riuscire a organizzare anche un tour insieme nel 2017 non ha fatto altro che aumentare la tensione sessuale tra i due gruppi, per cui ora non riusciamo a fare a meno gli uni degli altri.”

Il vostro suono attinge dal noise europeo, sulla scia a Haossaa, Daikiri, DuasSemiColcheiasInvertidas, Don Vito, Stig Noise Soundsystem, Testadeporcu tra gli italiani e ovviamente anche Le Singe Blanc, in cui ciascuno sfrutta un registro diverso, ogni volta fervido. Tra Ottobre e Novembre 2017 vi è stato un tour europeo che ha toccato città dalla Francia, Svizzera, Belgio e Italia. Vi chiedo, vista l’internazionalità del vostro suono, come vedete il pubblico straniero e se ci saranno prossime novità da questo punto di vista. 

“Il tour europeo è stato ovviamente una bomba, il pubblico che abbiamo trovato era molto ricettivo e partecipe. Anche in piccole situazioni l’entusiasmo era fortissimo e abbiamo notato che anche la mentalità e l’approccio fuori dal palco sono molto aperti. Al momento purtroppo non ci sono novità sul fronte estero, aspettiamo la graduatoria del prossimo Eurovision.”

Come nasce il trio Sbrotha e come si sviluppa nella scrittura e produzione di Bbellissimo? Da dove prende spunto il suo suono sintetico e irregolare? Può essere vista effettivamente come una voce del suo tempo?

“Abbiamo conosciuto Gaetano alla Corte dei Miracoli di Siena, in un concerto Djeco + Les Spritz ed è stato amore a prima vista (anche con Peppe). L’idea della collaborazione è nata via Whatsapp e, dopo l’invio di brevi sketch e frammenti i idee, siamo volati al Dalek Studio di Messina dove in un tour de force di una settimana abbiamo composto, registrato e mixato il disco. Ad oggi continuiamo a ritenerlo il nostro “Quarto Potere”.”

Il 2 Febbraio (2022) esce il vostro secondo album, Animambo, dalle sonorità più progressive, lisergiche, e austere in maniera interessante, guardando a King Crimson e in parte a Frank Zappa allo stesso tempo, senza perdere la vostra attitudine fervidamente math-noise. Parlateci della genesi dell’album e delle sue intenzioni.

“Questo disco con un disco nasce con la volontà di variare il nostro approccio compositivo verso strutture più lunghe e ossessive, delle sorte di mantra asimmetrici, mantenendo comunque l’approccio alla musica che abbiamo sempre avuto dall’inizio. King Crimson e Frank Zappa molto belli.”

Mattia Betti

Mattia Betti. Foto di Enrico Berretti.

Nella parte seguente vi sarà una parte di track-by-track riguardo Animambo. In Ouverture Avec Passion Et Force De Lucidité il vostro suono progressivo, che fluisce attraverso un andamento ritmico dispari con un pattern di batteria complesso, sviluppandosi poi in sonorità progressive più quadrate attraverso una periodicità che varia in più punti. Ponti e parti soliste sono lisergiche, oscure e minimali, tra cui un finale in quel senso, più disteso, novità della vostra poetica. Come nasce l’eterodossia di Ouverture Avec Passion Et Force De Lucidité?

“La canzone nasce su un unico pattern di batteria, che subisce variazioni di dinamica a seguito delle variazioni che inserisce Lorenzo con il basso. Nonostante il ritmo serrato della canzone, le durate delle singole parti sono in realtà molto free, per cui la durata del pezzo suonato live varia ogni volta. E’ la canzone simbolo del nuovo approccio compositivo che abbiamo voluto sperimentare.”

Sorry For My Can’t, più spensierata all’apparenza per via del cantato, ma con una forte valenza di plasticità nel ritmo, ha una struttura legata a sonorità più disparate, attraverso math, sprazzi di funk e momenti più rarefatti verso la metà, con un cantato ad estrema variabilità. Qual è l’idea del pezzo e la sua impostazione varia, più storicizzata?

“Questa canzone, a livello lirico, fa da sequel a “I said I love you, you said Ok” di Low Battery; il protagonista non riesce a liberarsi della figura dell’ormai ex partner e genera psicosi dovute all’overthinking. Anche questo pezzo è stato scritto prevalentemente da Lorenzo, su cui Mattia ha poi lavorato per alleggerire la tensione.”

Za Warudo, all’inizio, ha un suono progressive più marcato, dai tratti lisergici, e prosegue nella seconda metà con un cantato growl quasi etereo e un suono brutal che caratterizza le vostre prime uscite. Come sono scaturiti in Animambo questi elementi che hanno segnato di più il vostro passato? Inoltre suoni astratti, periodici ed eleganti sono un’altra caratteristica riscontrabile, che ho associato in un qual modo ai King Crimson di Lark’s Tongue In Aspic (legandosi alla now wave). Quanto vi ha influenzato il gruppo inglese capitanato da Robert Fripp?

“Za Warudo è strutturata per la maggior parte sullo stesso ritmo in 11, che viene rimaneggiato in diversi modi durante il pezzo, ma sempre con attitudine molto heavy. La parte centrale invece è un intermezzo che vuole richiamare un’atmosfera di tempo sospeso con richiami al funeral doom.

“Za Warudo” è la pronuncia giapponese di “The World” contenuta in “Le bizzarre avventure di JoJo” a cui siamo teneramente ma virilmente legati, così come a Robert Fripp.”

Legri, con Marco Balducci, il quale fa uso di un registro jazz e plastico nei suoi fraseggi di chitarra (poco ricollegabili a quelli di Granprogetto, nei quali fa/ha fatto parte), ha come sfondo un paesaggio familiare e astratto allo stesso tempo, in cui un riff di basso, ipnotico, che esprime quasi sinesteticamente la sospensione di un dubbio, si ripete caratterizzato da un’armonia cromatica, facendo scivolare un’elastica creatività. Parlateci di come nasce questo pezzo e il suo andamento oscillante.

“Il pezzo, dedicato al luogo dove abbiamo registrato il disco, è nato dall’idea di eseguire un unico blocco basso-batteria ripetuto,  variando solo la dinamica. Inoltre già dall’inizio c’era l’intenzione di aggiungere la chitarra jazz di Marco, dandogli carta bianca sulla composizione della sua parte.”

Morte è in collaborazione con Serena Altavilla (alla voce), Marco Oriolo (voce, ed entrambi dai Mariposa) e Marco Balducci (ancora alla chitarra). L’inizio è contraddistinto da una parte più musicalmente tradizionale e dalle sonorità pop, per poi convergere in un  progressive rock eterodosso e massivo. Come nasce il pezzo e l’associata collaborazione?

“L’idea del pezzo, composta da Mattia, è divisa in due parti a livello di atmosfera ma non di ritmo. Nella prima parte la Morte, impersonata da Serena, si lamenta con i due evocatori Marco O. e B. della mancanza di gratitudine per il suo lavoro quotidiano. Nella seconda parte muoiono tutti.”

No Fallo Italiano segue linee fugali di diversa consistenza, diversificandosi tra linee ritmiche funk e progressive, con tempi a variabilità plastica. Come avviene la sua dinamicità in senso ogni volta diverso?

“Questa è la canzone che può fare da tramite tra questo e il disco precedente, visto che l’approccio compositivo è molto simile a Low Battery, infatti è stata composta poco dopo l’uscita di quest’ultimo. L’intenzione della canzone è quella di proporre più parti e variazioni possibili in un unico pezzo.”

Bandaloña, caratterizzata da sample, effetti e dalla voce di Serena Altavilla, è nel segno di una fuga in senso prog e artistico in modo alieno, attraverso istanze diverse ma singolarmente familiari rispetto, per esempio, la traccia precedente. Da cosa scaturisce questo distacco e, ovviamente, come nasce il pezzo?

“La settima traccia del disco sviluppa il concetto del poliritmo 7 contro 4 in diverse sfaccettature. Sicuramente è la traccia più progressive del disco; composta principalmente da Mattia, ha voluto dedicare questa canzone a chi, come lui, soffre di coliche intestinali e ha spesso la sensazione di non riuscire a trattenere le proprie deiezioni, rischiando di compromettere i propri calzoni. Visto l’argomento, Serena non si è voluta tirare indietro.”

Infine, Videodrome, cover de La Confraternita Del Purgatorio, in cui in realtà alcuni elementi della versione originale vengono estrapolati e combinati insieme ad altri più personali nell’ottica del vostro duo, generando un apporto complessivo originale. Il risultato è un sound matematico (che per certi versi ricorda il Frank Zappa dei ’70) tendenzialmente barocco in senso obliquo. Parlateci di questi pezzi e come avviene l’idea del riadattamento del pezzo de LCDP.

“Come ormai da tradizione, anche questo disco si chiude con una cover. L’idea è stata quella di riarrangiare una canzone di un gruppo di amici che ci piaceva molto, provando a cimentarci anche con ritmiche latine. Ovviamente non abbiamo chiesto alcun permesso al gruppo pugliese ma l’abbiamo suonata live davanti a loro. C’è una denuncia in corso, ti aggiorneremo.”

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