Giuseppe Galato in SOLO, insolito sound tra prog, psych e avanguardia
di Giovanni Panetta
Intervista a Giuseppe Galato in arte SOLO sul debutto "The Importance of Words (Songs of Love, Anti-Capitalism and Mental Illness)" e prossime novità.
SOLO album

Dettaglio dell’album di SOLO intitolato “The Importance of Words (Songs of Love, Anti-Capitalism and Mental Illness)”.

Giuseppe Galato, in arte SOLO, naviga tra psichedelia e rumore con il suo debutto autoprodotto intitolato The Importance of Words (Songs of Love, Anti-Capitalism and Mental Illness), in collaborazione dei batteristi Nico Saturno (il quale collabora nella traccia “Hypocrisy (it’s all I see)”) e David Garofalo (in tutte le altre); inoltre danno il loro contributo vocale anche Nobody (in “Something (you don’t need)”) e Alidavid (in “What’s the topic of the day? (forget the rest)”). L’approccio di Giuseppe è in parte incentrato sulla musica d’avanguardia come anche sul mainstream, e in entrambi i casi attraverso un approccio eterodosso ed espressionistico, dando un’impostazione sommaria di suono progressive anni ’70 ma contaminata da generi ed idee più disparati. Altro elemento interessante è l’uscita del fisico del disco su penna USB che sarà ricco di inediti non rintracciabili sul web sia in versione studio che live.

Michele Ruggiero per Nikilzine ha intervistato tempo fa SOLO per l’occasione del singolo “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)”. Qui il link dell’intervista.

Di seguito l’intervista a Giuseppe riguardo il suo primo album e prossime novità.

SOLO è un progetto ideale per immergersi in più generi. La musica appare lineare, ma linee di chitarra, basso o beat di batteria appare inusuale con l’apparente intenzione di fondere più linguaggi. Il suono potrebbe derivare da Beatles o Syd Barrett, oppure qualcosa dai Genesis; sta di fatto che una certa psichedelia progressive è centrale nell’album omonimo. Parlaci della genesi e delle effettive ispirazioni per SOLO.

Ma magari solo avvicinarmici ai Genesis! (ride) Se parliamo dei Genesis del periodo con Peter Gabriel. Per me è comunque un grandissimo complimento! I Beatles e Syd Barrett (ma credo i Pink Floyd in generale, nelle loro varie vesti) credo siano molto preponderanti nel mio modo di scrivere, sì. Così come i primi Muse e i Radiohead più chitarristici. Quindi, in linea di massima, ho una forte predisposizione a miscelare elementi della psichedelia e del progressive, della musica sperimentale, con un approccio molto melodico, come facevano e fanno questi artisti. Ad ogni modo, ascoltando di tutto, sono influenzato da un sacco di altri linguaggi, che in questo album emergono in alcuni casi, quando mi spingo verso il punk e il grunge: di sicuro mi sento di dover citare i Nirvana, fra le altre fonti di ispirazione, fino a compositori di musica colta come Karlheinz Stockhausen o Pierre Schaeffer.

“Hypocrisy (it’s all I see)” appare come un pezzo pop convenzionale apparentemente; infatti tale impressione può non essere realistica nemmeno un po’, in quanto un basso organico dà un’impronta più up-beat ed organica che i semplici e “bianchi” fraseggi di chitarra; in più un effetto delay (o qualcosa di simile) combinato alla batteria conferisce un carattere peculiare ed obliquo al pezzo, tradendo del tutto la mia prima impressione. Parlaci di come avvengono tali elementi nel pezzo.

“Hypocrisy (it’s all I see)” l’ho sempre accomunata più a un certo grunge di quello che però tende alla neopsichedelia, non al metal o al punk. Sono molto fiero dell’arrangiamento del brano, perché la batteria (filtrata in un flanger) è atipica, non si limita al portare il tempo, ma diventa uno strumento espressivo e non semplicemente ritmico; il basso è melodico, potremmo quasi dire che mi fa un controcanto, piuttosto che accompagnare il brano; ed il tutto risulta molto “heavy”, nonostante non ci sia ombra di distorsioni (se non nell’assolo).

Altro pezzo lineare è “Propaganda in my eyes, again (you’re erased)”, in cui un suono più legato all’heavy metal (dalla forma più tenue) si districa attraverso un basso ancora una volta complesso ed energico. Sebbene la natura più veloce ed aggressiva, il pezzo appare come una hit in stile radio-friendly, con una componente ritmica più peculiare. Parlaci delle tue intenzioni dietro questo pezzo.

Amo sia il pop mainstream che la sperimentazione; nei miei ascolti ho un forte bisogno di canzoni cantabili, melodiche, ma mi piace anche ascoltare prodotti che vadano “oltre”. La band che più mi ha influenzato sono stati di sicuro i Beatles, e loro sono stati dei maestri nel miscelare melodia e sperimentazione, senza per altro mai risultare pomposi o “pesanti”. Diciamo che punto a quello: una musica melodica ma non banale che possa sottolineare che non c’è bisogno di scrivere canzoncine da nulla per poter essere orecchiabili.

“In the end (nothing matters)”, la “last track”, è il pezzo più enigmatico che conferisce sospensione al finale dell’album. Si potrebbero evocare in particolare Genesis o anche lo storico gruppo di prog italiano Semiramis, con un approccio più minimale negli elementi e nella scrittura. Parlaci della tua intenzione nell’evocare tale carattere di incompletezza.

Visto che citi i Semiramis, band dove ha militato un giovanissimo Michele Zarrillo, e ricollegandomi al discorso di prima, ad esempio Zarrillo mi piace molto: trovo sia un grande compositore e un grande interprete (oltre che grande musicista), purtroppo un po’ “affossato” da una produzione mainstream non propriamente eccelsa, a mio avviso. Tornando alla domanda, “In the end (nothing matters)” è un brano “appeso” già dalla scelta dell’accordo-non-accordo (l’unico) su cui si muove: un mix di Mi maggiore e Mi minore. Mi piaceva l’idea di chiudere l’album con questo senso di “sospensione” (anche un po’ ansiogena), come a voler sottolineare che possa esserci dell’altro.

Per concludere parlaci delle prossime novità a livello di concerti. Inoltre, cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo disco?

Per i live mi sto ancora organizzando: non ho una band, quindi uscirò in acustico, probabilmente con un set un po’ “sperimentale”, dove utilizzerò molta effettistica per dare vita a un concerto dove è la psichedelia a farla da padrone. Per quanto riguarda il prossimo album, prima di tutto sarà in italiano; sarà (relativamente) meno sperimentale; e penso che abbandonerò quasi totalmente le tematiche socio-politiche per dare spazi a testi più intimi e personali.

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