Immaginario claustrofobico e sintetico in Die Uranmaschine
di Giovanni Panetta
Intervista a controlvoltage.org, progetto dietro cui si cela l'artista elettronico svizzero Roberto Raineri-Seith, il quale ha pubblicato l'ultimo album di nome Die Uranmaschine.
Die Uranmaschine

Cover di Die Uranmaschine. Photo e artwork di Roberto Raineri-Seith.

Controlvoltage.org, progetto attivo dalla fine degli anni ’00, e dietro cui si cela l’artista elettronico Roberto Raineri-Seith, pubblica l’album Die Uranmaschine – An Alternate Chernobyl Soundtrack a Maggio 2023 grazie all’etichetta elvetica DDDD. Roberto, autore svizzero di origini tedesche, ha esordito con un progetto solista, nato intorno al 1984, di nome WUR (sigla del titolo tradotto in tedesco del dramma teatrale “R.U.R. Rossum’s Universal Robots“, dello scrittore ceco Karel Čapek), caratterizzato da un utilizzo intenso e dilatato di synth analogici. Per quanto riguarda l’ultimo lavoro del suo progetto più recente, Die Uranmaschine vuole essere idealmente una colonna sonora immaginaria della serie TV Chernobyl, diretta da Johan Renck e uscita nel 2019, la quale ripercorre tutte le tappe del disastro nucleare avvenuto il 26 Aprile del 1986 alla Centrale Nucleare di Černobyl’, a quel tempo in Unione Sovietica e adesso in Ucraina, in prossimità col confine con la Bielorussia. Raineri-Seith in quest’occasione ripercorre un immaginario claustrofobico ed adrenalinico fatto più di suoni che di parole, che riflette l’ambiguità dell’URSS, ovvero di uno stato forte con i subordinati e al tempo stesso debole con sé stesso.

Ne parliamo meglio con Roberto Raineri-Seth, nella seguente intervista rivolta a lui.

Parlaci dell’excursus, a livello di preproduzione e produzione, del progetto Die Uranmaschine, insieme al suo suono soundtrack curato nei minimi dettagli, in cui domina un approccio digitale per certi versi imprevedibile nel fluire adrenalinico e plastico dei synth.

In realtà l’album è stato realizzato interamente con sintetizzatori analogici vintage, in particolare con alcuni dei grandi classici come il modulare Moog 15, l’ARP 2600 e il Korg MS20 (quest’ultimo è stato usato ad esempio per il suono degli elicotteri e del contatore Geiger) ma in effetti è presente anche un Microwave prima serie della Waldorf, un ibrido digitale-analogico che ha fornito le sonorità molto cristalline che caratterizzano alcuni brani. Alle parti sintetizzate con le macchine citate, registrate in un unico take, cioé senza overdubs, direttamente con un mixer analogico Schertler su un registrato-re digitale master stereo, ho poi aggiunto in postproduzione diversi suoni provenienti da live recordings (unica eccezione le voci di Legasov e del personale in servizio quella notte) da me realizzati in passato ad esempio nella grande hall della stazione di Düsseldorf o in occasione dei test delle sirene d’allarme che si tengono annualmente in Svizzera.
Tutti i brani di Die Uranmaschine erano nati, quantomeno nella loro forma embrionale, diversi anni prima con finalità del tutto estranee alla serie su Chernobyl; solo la successiva visione della stessa e l’ascolto comparato delle mie tracce con quelle della sua colonna sonora ufficiale mi hanno fatto pensare a un “alternate album” che rimandasse a quelle atmosfere e a quella memoria.

L’atmosfera di Die Uranmaschine è claustrofobica, similmente ad un videogioco di genere horror, ad esempio a me ha ricordato per certi versi il primo Silent Hill. Le sonorità della release riproducono sensazioni austere, proprio come il gioco prodotto dalla Konami, ma appare molta elasticità, e tale unione delle caratteristiche citate sono un punto di forza per l’uscita. In più il suono ha anche una forma cosmica e lisergica, simile a quella dei primi dischi di Klaus Schulze. Ma parlaci delle ispirazioni a livello non solo di musica, ma anche di realtà videoludiche.

Le influenze di Schulze, dei primi Tangerine Dream con riferimento soprattutto a “Zeit“, ma anche di Conrad Schnitzler oltre ovviamente ai Coil e molti altri protagonisti della prima scena electro/industrial inglese e tedesca, che con la dark ambient fanno parte dei miei ascolti sin dagli anni ’70, sono ovviamente molto presenti nelle mie produzioni, una scelta naturale dato che anche negli altri miei ambiti creativi, in particolare nella fotografia, molto ruota attorno al tema della Morte, dell’oscurità, di un’inquietudine che spesso sconfina nella malinconia e nella depressione.
Le forme cosmiche e lisergiche sono poi retaggio della mia grande passione per la scena Krautrock nella sua componente più elettronica, ad esempio per l’uso del particolare banco filtri presente sul modulare Moog o del Phaser, del delay e di altri effetti che hanno fortemente caratterizzato l’estetica di quel genere musicale. Per quanto attiene ai videogiochi devo invece dire che non ne sono mai stato appassionato, quindi non posso fare dei riferimenti. Ho però masticato moltissima fantascienza, a partire da quella degli anni ’50, 60 e ’70 vista compulsivamente negli anni dell’adolescenza a Milano nei cinema d’essay, oltre ovviamente a molto cinema horror; conseguentemente molte mie produzioni inevitabilmente risentono del clima distopico e inquietante che vi si respira.

Un paragone doveroso è quello alle colonne sonore di John Carpenter, in cui pattern adrenalinici sospendono la tensione in maniera costante come in un thriller ideale. Qui però le linee sintetiche sono più dilatate, le intuizioni dietro sono diverse, ovvero i climax sono più sospesi, non c’è una tensione culminante che è facile riscontrare in molta letteratura horror o thriller, e il tutto appare più omogeneo ma al tempo stesso con molta diversificazione. In che rapporto è l’uscita con la letteratura citata?

Carpenter è uno dei pochissimi registi, forse anzi l’unico, ad essere contemporaneamente anche autore delle musiche dei suoi film o quantomeno di parte di essi, condizione privilegiata che consente a un autore di raggiungere forme di espressività massime e ideali in modo diretto e coerente con la propria visione. Fatte tutte le dovute quanto ovvie proporzioni con il lavoro musicale di Carpenter che attraversa la storia del cinema sin dagli anni 70 (e che amo moltissimo) ed il mio che è assolutamente di nicchia, le differenze che rilevi sono date dalla mia personale propensione per le atmosfere dilatate, quasi sospese, tipiche della musica ambient, anche se nel caso di Die Uranmaschine delle progressioni e dei peaks sono comunque presenti. L’altra differenza fondamentale rispetto al lavoro di altri autori è poi nel mio caso l’assenza totale di percussioni o suoni di batteria sia elettronica sia acustica, dato che da sempre, con rarissime eccezioni, delego tutta la struttura ritmica, quando presente, al pulsare dei sequencer, un po’ come avveniva nelle prime produzioni dei Tangerine Dream, non a caso e anche per questo motivo le mie preferite.

Tema centrale il Disastro di Chernobyl, in cui le trame dilatate e magmatiche riflettono le vittime della catastrofe che tutt’ora continua a mitigare per via delle radiazioni non del tutto scomparse. Di fondo a ThereWillComeRadiatingRain compare un sample di un nastro magnetici con l’ultima testimonianza di Valerij Legasov, in cui sono dichiarate delle inadempienze sul sistema di sicurezza della Centrale Nucleare da cui si è originato il suddetto disastro, e su cui il governo sovietico impose il silenzio nella compilazione del rapporto ufficiale da presentare pubblicamente; Legasov subito dopo le registrazioni procedette ad impiccarsi, in quanto si ritenne responsabile delle vittime che seguirono le sue indagine che fecero luce, per l’appunto, su alcune falle del sistema sovietico dal rilevante peso. Parlaci del personaggio di Legasov, cosa rappresenta per te e in che relazione è con Die Uranmaschine.

Legasov è il narratore ultimo, colui al quale dobbiamo tutta la vera verità su quella tragedia della presunzione umana. È quindi centrale per la comprensione e la dinamica degli eventi quanto lo è stato il ministro Scherbina, il burocrate che attuerà tutte le misure iniziali necessarie a contenere, per quanto possibile, le conseguenze dell’evento. Questa almeno l’interpretazione propostaci dalla serie e che è tutto sommato parecchio corrispondente alla realtà, anche se sulla base di documenti visivi oggi sappiamo che ad esempio Legasov inizialmente minimizzò le consequenze dell’incidente. A prescindere, il suo tragico destino è simbolico e rappresentativo per molti suoi simili noti e meno noti, spesso vittime della violenza di apparati statali repressivi, occultatori di verità che ne minerebbero la stessa esistenza; eroi solitari ai quali la Morte, come il cinema e la letteratura ben sanno, conferisce ulteriore e a questo punto anche immortale grandezza.
Ho quindi ritenuto doveroso e importante far riecheggiare nell’album la sua voce originale (i nastri si trovano in rete) dedicandogli un pezzo nell’ambito dello stesso.

 

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