San Leo, arcaismi futuristici con Aves Raras
di Giovanni Panetta
Intervista a San Leo sulla loro musica tra arcaismo e futuro, con focus centrale su Aves Raras (Bronson Recordings), il quinto album nella discografia del duo riminese.
Aves Raras

Cover di Aves Raras, artwork di inserirefloppino.

San Leo è un duo formato da Marco Tabellini (in arte m tabe, alla chitarra) e Marco Migani (con pseudonimo inserirefloppino, alla batteria), nato a Rimini nel 2013, i quali pubblicano il loro primo lavoro – ovvero XXIV, uscito per CORPOC e Tafuzzy Records – verso la piena metà degli anni ’10. Gli esordi di San Leo si muovo maggiormente in territori propriamente post-rock, con evidenti tratti di ortodossia; se XXIV si utilizza un approccio ieratico con un espressività minimalista, nel successivo DOM – pubblicato per BleuAudio, E’ un brutto posto dove vivere, Brigadisco, DreaminGorilla Records, Vollmer Industries, Tafuzzy Records e Upwind Production – si entra maggiormente in un contesto drone o magmaticamente caustico, con elementi di austerità avviando il percorso delle successive fasi artistiche del gruppo emiliano.

Per Bronson Recordings esce Aves Raras, il quinto album nella produzione firmata San Leo. In quest’ultimo lavoro spicca un elevata espressività contemporanea, se non futuristica, in cui domina l’utilizzo organicamente istintivo ed emozionale dei quattro pezzi contenuti nel disco, in cui colori e forme diverse dipingono un paesaggio arcaico e tribale simile ad un racconto dell’autore grafico Jean Giraud in arte Moebius. Il disco è stato missato dal vincitore di Grammy e Emmy Awards Francesco Donadello, già a lavoro su dischi di Hildur Guðnadóttir, Jóhann Jóhannsson, Beirut, etc, è stato registrato da Andrea Scardovi in collaborazione con Yuri Pierini, mentre Giovanni Versari si è occupato del mastering.

Di seguito l’intervista ai San Leo sulla loro produzione discografica successiva a DOM, il focus su Aves Raras e prossime novità.

San Leo appare come un viaggio mantrico tra suoni psichedelici, sempre in evoluzione lungo la vostra carriera. Il senso del vostro modus operandi potrebbe derivare dall’influenza post-rock, ma gioca un ruolo preponderante anche l’influsso dell’Italian Occult Psychedelia, nonché un’originalità nel segno di un arcaismo quanto più urbano. Ma, a detta vostra, quali sono le intenzioni dietro il vostro progetto, e quali sono consapevolmente le effettive influenze?

“Il punto di partenza è l’ascolto, l’attenzione a quello che ci circonda. L’intenzione è tenere viva l’urgenza, sintonizzarci su nuove frequenze e mettere a fuoco le idee che ci ossessionano, lasciando andare tutto quello che non innesca in noi vere scintille. Influenze sono le colline, il mare, le strutture architettoniche, Albert Ayler, i gruppi che hanno percorso queste strade prima di noi e hanno contaminato modi di fare, spostato persone, registrato dischi che abbiamo a cuore e suonato concerti epici… Uochi Toki, Fuzz Orchestra, Father Murphy, Bob Corn, Above the tree, Jealousy Party, Antares, Lute, Ovo, Zu, Putan Club, quello che succede alle Case del Vento, etc etc. (Sull’Italian Occult Psychedelia ho dovuto documentarmi perché è una cosa di cui si è letto, ma non è mai stata parte del nostro discorso… quando abbiamo iniziato non sapevamo neanche che esistesse quindi influssi direi di no… Magari abbiamo respirato la stessa aria che hanno respirato altri e siamo giunti a conclusioni simili, almeno agli inizi).”

San Leo

San Leo, da sinistra a destra: Marco Migani (inserirefloppino) e Marco Tabellini (m tabe), foto e grafica di inserirefloppino.

Y (pubblicato per E’ un brutto posto dove vivere, Brigadisco, Coypu Records, DreaminGorilla Records, I Dischi del Minollo, Tafuzzy Records) appare più classico nel suono, in cui è protagonista il timbro della chitarra, delineato da trame ondivaghe armonicamente lisergiche. L’arcaismo urbano assume una valenza scarna, il cui essenzialismo risulta come idea centrale dell’album, sennonché una certa consonanza presente nel disco appare in contrapposizione con le ultime produzioni. Parlateci delle intenzioni e delle motivazioni dietro gli elementi menzionati.

“Con Y cercavamo un elemento di diversità rispetto a XXIV e DOM. Questa diversità si è manifestata sotto forma di un’atmosfera sinistra, un’aura che sfugge a quello che poteva essere il nostro tentativo razionale di fare questo o quello con batteria e chitarra. (Non so se sia corretto tirare in ballo l’hauntology perché all’epoca non ce l’avevamo proprio in mente, ma col senno di poi potrebbe essere una chiave di lettura, hmmm…) In quei pezzi abbiamo lasciato molto riecheggiare i colpi, di conseguenza c’è tanto spazio “vuoto”, i silenzi di quel disco hanno un carattere tutto loro. (Forse in futuro torneremo a scolpire via più spazio… è importante che il silenzio dica la sua).”

Mantracore (Bronson Recordings) comincia ad avere un suono più magmatico e sintetico, ma gli elementi acustici sono presenti in maniera rarefatta e disomogenea. Un’atmosfera magica fa da padrone, in cui, se MM ha un aspetto arcaico e futuristico allo stesso tempo, in CORE troviamo il suono della chitarra violenta e minimale, e della batteria ondivaga e più centrale, i quali generano un elemento atipico e convenzionale allo stesso tempo all’interno dell’album. Parlateci di questo passaggio sonoro rispetto i precedenti dischi.

“Mantracore è il primo disco in cui entrambi abbiamo portato dei “concept” prima ancora di scrivere i pezzi. Eravamo arrivati a un punto di saturazione con certe strutture e un certo modo di scrivere, e volevamo allo stesso tempo chiudere un discorso e alzare l’asticella a livello di intensità e messa a fuoco. ‘Sintetico’ nel suo massimalismo, sì. Ci piace ancora suonare MM dal vivo perché è primordiale e ci permette di connetterci con il nostro lato più MMetal.”

Aves Raras, l’ultima uscita, è caratterizzata da due lunghe galoppate ritmiche insieme ad altri due pezzi più brevi. Le prime due, Aries e Futura 2000, sono caratterizzate da un suono ritmico organico che esprime immagini quasi opposte, determinando l’idea di una techno naturalistica. Parlateci dello sviluppo dell’album e di come avviene questo sound più curato soprattutto a livello di batteria.

“Dietro le parti di batteria c’è come sempre un concept, una visione radicale che guida e regge il tutto. A livello di tracking, Aves Raras ha una struttura che si rifà un po’ ad alcuni dischi jazz e free jazz degli anni ’60, in cui c’era spesso una traccia iniziale che occupava interamente il lato A, poi un pezzo corto (che in quei casi era una ballad o uno standard, per noi è J!oy), e così via. Con questo disco volevamo fare uscire maggiormente il nostro carattere ‘weird’, spostarci dall’immaginario fumoso e in bianco e nero che in diverse occasioni avevamo visto associato al nostro fare, e sperimentare diverse soluzioni in fase di registrazione e mixaggio… Pensiamo sia obiettivamente il nostro lavoro più elaborato a livello di produzione e allo stesso tempo il più spontaneo nella scrittura. La copertina dell’album rispecchia esattamente quello che volevamo trasmettere.”

Aries, il pezzo dal minutaggio più esteso in Aves Raras, appare come adrenalinico e più variabile, in cui i pattern di batteria variano di intensità in maniera malsana e barocca. Il suono presente, più che essere manipolato dalla ragione, risulta essere dettato dall’inconscio, in cui il tutto è associato ad una fluida potenza di esecuzione. Qual è l’idea dietro questi elementi di dinamismo?

“L’idea di techno naturalistica di cui parlavi prima mi piace, rende bene uno dei concept alla base di Aries. C’è una radice minimale, sia a livello ritmico che armonico, e allo stesso tempo un’esplosione di variazioni. C’è un gioco di contrasti fra trance immersiva e costante tensione e spinta in avanti. Essendo nati e cresciuti nell’entroterra che guarda verso la costa romagnola, volenti o nolenti abbiamo l’imprinting delle casse dritte provenienti dalla Grande Piramide di Vetro… Un paesaggio sonoro innaturale che in questo caso abbiamo ri-colonizzato con i nostri suoni, ricontestualizzando quei beat e quelle frequenze, creando un ibrido fra artificiale e organico (come la vegetazione che inesorabilmente si riappropria degli spazi e divora le strutture dismesse di vecchie discoteche).”

Futura 2000 è sulla falsariga di Aries, ed è immutata l’energia di esecuzione, ma il tutto è associato ad una aerazione tutta orientale, in cui i movimenti presenti appaiono emblematicamente aerobici e diversificati. Si percepisce una leggerezza maggiore ma disordinata; ovvero per un puro atto magico dell’artista la non-funzionalità di questo caos si trasforma in arte, narrando in secondo luogo o inconsapevolmente movimenti della natura. Parlateci dei motivi dietro questa traccia.

“Ci voleva un po’ di leggerezza a quel punto del disco, è bastato togliere un po’ di strati e lasciare respirare i sample con interventi di chitarra molto trattenuti. Ci piaceva la sfida di un pezzo totalmente slegato dalla dimensione live, giocando sempre sul concetto di trance ma arrivandoci percorrendo tutta un’altra strada rispetto ad Aries. (E intendiamoci, per quanto ci riguarda il concetto di trance non è escapismo ma un livello estremo di concentrazione, nonuna fuga dal mondo ma un modo per penetrarlo e interpretarlo in modi nuovi).”

Per concludere, parlateci delle prossime novità riguardo San Leo.

“Abbiamo diverse ore di materiale nuovo che stiamo scremando e arrangiando. Allo stesso tempo, il materiale di Aves Raras è ancora vivo e incandescente per noi, e continueremo a esplorarlo dal vivo (con qualche aggiunta di cose nuove o passate, a seconda di quello che ci suggerisce la situazione).”

 

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