OUT TO LUNCH! E L’ESORDIO UFFICIALE DEL FREE JAZZ
di Giovanni Panetta
1964, l'anno dell'ufficializzazione del free jazz, attraverso la October Revolution In Jazz e un album che catalizzerà il processo di fusione tra rumore e melodia, Out To Lunch! di Eric Doplhy.
Mingus e Dolphy

Charles Mingus e Eric Dolphy.

Philippe Carles, giornalista musicale e autore del celebre Free Jazz/Black Power, ha affermato, sul Jazz Magazine del febbraio 1971, che se qualcuno dovesse scrivere un articolo sul free jazz, un possibile incipit sarebbe: “Il free jazz fu inventato nel 1964, a Parigi, da Charles Mingus e Eric Dolphy…”. Chiaramente si fa riferimento ai concerti dei due sopracitati in Europa di quell’anno, dove le esibizioni, per alcuni poco riuscite, per altri dei capolavori, e di cui esistono diverse registrazioni, hanno rappresentato una ulteriore manifestazione più audace e concettuale (senza perdere il leitmotiv con la tradizione afroamericana) di tutti quei processi creativi di pochi anni prima – rappresentati dagli annessi capolavori – che aspettavano di essere catalizzati ancora di più. In questa serie di brani, l’ellingtoniana come Sophisticated Lady viene ridotta alla sua struttura portante, con le linee atonali del basso, oppure Orange Was The Color Of Her Dress, Then Blue Silk, in cui viene manifestata una elasticità variante, dove le trame sonore a volte sono più distese a volte più granulose (grazie soprattutto a Mingus), mentre qualcuno ricorderà What Love, sulla falsa riga di What Is This Thing Called Love?, dove il sax di Eric Dolphy e il contrabasso di Mingus dialogano in una conversazione quasi umana.
Si scommetteva in pratica che il free jazz poteva essere il nuovo linguaggio, un nuovo modo più libero e aperto, contrario al conservatorismo hard-bop precedente attraverso forme musicali nuove in quel contesto come atonalità e poliritmia, con l’aggiunta dell’impegno sociale e politico dei neri che si opponevano alle discriminazioni e alle disparità razziali. E questi scommettitori erano in buona compagnia.

October Revolution Of Jazz

Locandina della rassegna October Revolution In Jazz (1964).

Intorno al 1964 ci fu l’affermazione della ESP di Bernard Stollman, che ha prodotto sia il free jazz più obliquo (tra i nomi Albert Ayler, Pharoah Sanders e l’immancabile Sun Ra), e più in seguito nomi oscuri del proto-noise come Fugs, Godz e Cromagnon. Soprattutto il 1964 è l’anno della rassegna, organizzata dal musicista e attivista Bill Dixon, “The October Revolution In Jazz“, chiamata così per un gioco di parole non casuale, sia per il mese in cui fu svolta, sia per l’effettivo intento rivoluzionario. Svolta nello scantinato del Cellar Café, nella 51a Strada di Manhattan, ci furono esibizioni della new thing e dibattito con annessa tavola rotonda in si discusse di jazz d’avanguardia e causa razziale, e tra i partecipanti ci furono Sun Ra, Archie Shepp, Cecil Taylor, Steve Lacy, e tra il pubblico fu presente anche Ornette Coleman, ritiratosi da qualche anno e che aveva acceso la prima scintilla con i suoi dischi, tra cui il più iconico The Shape Of Jazz To Come, e ovviamente uno dei dischi che rappresenta la nascita di quel movimento e punto di riferimento per molti avanguardisti, Free Jazz: A Free Improvisation. Coleman è stato un punto di riferimento per molti esponenti del jazz atonale, tra cui lo stesso Eric Dolphy, che tra l’altro partecipa a quella improvvisazione collettiva dell’album Free Jazz (il disco di Coleman), capitanando uno dei due quartetti che suddividono l’ensemble nelle registrazioni del lavoro.

Eric Dolphy flauto

Eric Dolphy al flauto.

In merito il 1964 fu un anno perdite e guadagni per quanto riguarda Eric Dolphy. Il polistrumentista (suonava flauto, clarinetto e sassofono) nato a Los Angeles nel 1928 aveva registrato una sessione il 25 Febbraio del ’64 al Van Gelder Studio nel New Jersey, insieme a Freddie Hubbard (alla tromba e anche lui in Free Jazz: A Free Improvisation), Bobby Hutcherson (al vibrafono), Richard Davis (al basso), Tony Williams (alla batteria). C’è da dire che il disco, dalla forte valenza innovatrice, fu pubblicato postumo, in quanto il bandleader Dolphy morì di diabete (non diagnosticato) mentre era in tournée a Berlino lo stesso anno, il 21 Giugno; comunque erano già stati presi i contatti con la Blue note, l’etichetta che avrebbe pubblicato quelle registrazioni, e Il disco, col titolo “Out To Lunch!” fu pubblicato ad Agosto di quell’intenso ’64.
Out To Lunch! ha come incipit un omaggio a Thelonius Monk, Hat And Beard, ma si potrebbe dire che tutto il disco è un omaggio al monaco del be bop; le linee angolari dei fiati e del vibrafono sono esplicative in quel senso. Inoltre non solo rimandano per audacia a quello stile da ragtime atonale e scampanellante di Monk (caratteristico da questo punto di vista il vibrafono di Hutcherson), ma anche ad un suono rumorista e onomatopeico in generale che fonde ironia e free jazz degli esordi (Coleman in primis, non a caso). La frenesia di una metropoli, che assurge a valore archetipico nel jazz, acquisisce nuova espressione: i bicchieri che tintinnano all’aperto in un bar (il vibrafono), i clacson di diversa tonalità (sassofono, flauto e tromba), o passi a volte trafelati a volte più quieti nella folla (batteria), oppure l’accompagnamento in stile hard bop dissonante del tempo (basso); e non mancano la camminata di qualche ubriaco a tarda notte, come Straight Up And Down, con il suo andamento ritmico asimmetrico. C’è un modo più ironico di trattare quei temi e che, come abbiamo accennato giocano con l’elemento del rumore, come abbiamo accennato. Il suono, diverso da qualcosa di più tradizionalmente musicale, diventa qualcos’altro, attraverso nuove espressioni e forme. Un free jazz che ironizza su quella tradizione più prossima, l’hard bop, ridefinendo in un certo senso le regole del dopo.
Inoltre non mancano omaggi a importanti estimatori di Dolphy, come in Gazzelloni, tributo a Severino Gazzelloni. I due musicisti di genere diversi (Gazzelloni un flautista di musica classica) si apprezzavano a vicenda, ovviamente per motivi diversi. Gazzelloni comunque ha un andamento più tradizionale, innescando però nella gran parte del pezzo una libertà di esecuzione in ciascun componente. Infatti, in generale, per Doplhy, “nella sessione ognuno è leader” avendo però un punto focale nel quale convergere o intorno al quale ruotare caoticamente.
La titletrack, è un free jazz ancora più astratto. La batteria di Anthony Williams parte da una cadenza marziale per poi non andare completamente a tempo, come d’altra parte anche il basso di Richard Davis non segue le battute; gli altri componenti mantengono un fil rouge, anche se c’è un libero utilizzo della dissonanza e della poliritmia.

Un sound diverso, angoloso, che ci illude sull’utilizzo di linee fintamente bop, che ci cattura per la maestosità di quell’atonalità. Quindi un suono sulla linea di confine tra vecchio e nuovo, ribadendo il concetto fondamentale per cui la sperimentazione è imprevedibile, e che le strade per essa sono sempre tante.

RIFERIMENTI

Arrigo Polillo – Jazz (Monadori, 1975, ristampa 2015)

A. B. Spellman – Quattro Vite Jazz (Minimum Fax, 2013)

A. B. Spellman – Linear notes di ‘Out To Lunch!’ (1964)

Peter Walton – Eric Dolphy (1928 – 1964) (Black Past, 2020)

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