MISCUGLIO E SCHIZOFRENIA PER ALEXANDER DE LARGE
di Giovanni Panetta
Intervista ad Alexander De Large; oscuro e poliedrico artista nonché proprietario della Leper Without A Cause. Secondo volume di Autospurghi schizofrenico e altre novità a riguardo.
Autospurghi Vol.2

Cover di Autospurghi Vol.2 – Pure Fucking Autospurghi (2020).

Alexander De Large, multistrumentista e nome nel quale si cela Luciano Palmieri, nel corso della sua carriera ha saputo cambiare registro sonoro; dal garage fangoso con influenze black di Into Your Grave al folk nichilista di Nazi Elvis o la psichedelìa deviata di Colors, passando per varie eterodossie multisfaccettate di Kiss Me in simbiosi con Giuseppe Superfreak Laricchia, tutti usciti per Lepers Productions, di tra l’altro era co-proprietario; inoltre egli è presente in vari progetti come Texans From Bari, la alexander de large philharmonic orchestra, Bokassà e A Kind Of Pigeon. Nel 2018 fonda una nuova etichetta, il cui nome gioca ancora una volta con uno scenario simile o ulteriormente grottesco: la Leper Without A Cause, incentivando quindi un insano gusto per assurdo e il non convenzionale, tra Bari (città di cui è originario e con la quale non ha perso il legame) e Milano (dove si è stabilizzato). Come vedremo, l’etichetta vede la riemersione di un underground caustico e recondito, tra passato prossimo o più lontano, attraverso un modo do operare do it youself e violentemente pop. Il suo format  Autospurghi opera (più sul presente) in questo senso: una serie di raccolte (per il momento si è arrivati al secondo volume, con Autospurghi Vol.2 – Pure Fucking Autospurghi, pubblicata la Vigilia di Natale 2020) della durata di un’ora, sessanta gruppi o artisti che si esibiscono ciascuno per una traccia della durata di in un minuto, in totale libertà. Il risultato mette in azione uno spirito creativo interessante, tra goliardia e anarchico fervore, dove l’ascolto si fa vivo e diventa costantemente una sorpresa. Sonorità tra il serio e il faceto, chiaroscuri sempre diversi.

Il 6 Maggio 2021 arriva la collaborazione con Mike Watt (monumento di tutta la comunità DIY, che ha fatto la Storia in Minutemen e fIREHOSE, e continua a farla con altri progetti come The Missingmen, Mike Watt & The Secondmen, etc…) e Benny Bottalico (ovvero Benny The Bungler di Texans From Bari), nel 5″ di prossima uscita, coprodotto oltre che da Leper Without A Cause anche da Musichette Records, e contenente i pezzi Trasparent Man e La Leyenda De El Santo. Il trio, battezzato per l’occasione The Poors ha influenze indie rock estese, tra melodicità psichedelica e atonalità, dove c’è un esempio di un campione concreto naturalistico che si ripete a loop, infondendo una certa aleatorietà che caratterizza la poetica dell’assuro di Alexander De Large, immerso in una cornice lisergica dai colori acidi e dalle forme acute e caleidoscopiche.

Di seguito l’intervista a Luciano Palmieri che riguarda in particolar modo le produzioni più recenti della Leper Without A Cause.

Allora, come nasce e si sviluppa l’idea di un secondo volume di Autospurghi? Ancora una volta tanti ospiti degni di nota: Zolle, Trrmà, Maisie, Paolo Cantù, Tonto, Fighting About Nervs, Fulkanelli, Nino Colaianni (Baron Samedi), Marco Gronge con il suo silenzio commemorativo a Mirco Bertuccioli dei Camillas, etc…; nel nome di un dinamismo che innalza l’elemento del grottesco a valore principale, un “brutto” da contemplare. Un elemento che permea gran parte della Leper Without A Cause. Inoltre nello stesso periodo – Dicembre 2020 – viene pubblicata la raccolta più in senso classico Don’t Mix This Mixtape. Ce ne vuoi parlare?

Beh, la nascita di Autospurghi vol.2 (il cui sottotitolo è Pure Fucking Autospurghi – citazione di un demotape considerato tra i capisaldi del black metal) era contemplata sin da quando il primo capitolo aveva il “vol.1” nel nome. Con il secondo capitolo, però, è meglio non parlare di nascita, ma di morte, visto che l’operazione fallimentare nota come Autospurghi finirà proprio qui. Come nel primo capitolo, la regola di base è che ogni progetto (sessanta in totale) è rappresentato da sessanta secondi nei quali ha potuto esprimere qualsiasi cosa volesse, nel nome di una libertà artistica totale. Per quel che riguarda Don’t Mix This Mixtape!, invece, il concept è nato dopo che mi sono trovato una sponsorata facebook di un noto libro che sin dal titolo accusa di non saper lavorare come si deve in sede di missaggio, così ho pensato “ok, farò una compilation in cui i pezzi sono registrati di merda e non mixati!”

La compilation ha un andamento del tutto centrifugo; si va da un nichilismo espresso attraverso sonorità accoglienti (Trasu De Ciuc con Vi Odio Tutti) o con un’elettronica debordante (Aldo Morto con una traccia omonima), passando per una maggiore introspezione asciutta con Così Come Sei di Ashville Disease; c’è il blues sporco e distorto di The Inframen e quello dalle tinte hard e stoner di El Rojo; in MUV c’è la narrazione di accadimenti reali che hanno un ché di assurdo; in Anghela Dobermann c’è un’atmosfera lisergica in senso trip hop, e in Rock si sente un bambino che canta. Ci sono varie sfaccettature presenti, una disomogeneità che vuole abbracciare più generi nel nome del brutto, e che colpisce per il suo nichilismo artefatto o per quella naiveté presente a tratti. Elementi già presenti nel contesto locale con gruppi storici Bz Bz Ueu o altre etichette come HysM? o Lepers Productions. Inoltre rispetto al primo volume, Pure Fucking Autospurghi sembra essere più dinamica e policromata, e c’è una maggiore propensione per l’improvvisazione libera; forse il “progresso” è stato agire in nome della potenzialità libertaria e del Volume 1 di Autospurghi. È così?

Dunque, di sicuro non è stata una cosa ragionata: come accennavo prima, in entrambi i volumi, le regole che ho dato sono state le stesse (sessanta secondi a “canzone”, totale libertà nel riempire quei sessanta secondi, nessun musico presente in più di una traccia nello stesso disco e, cosa più importante di tutte, una quota economica per la produzione fisica del vinile – cosa che lo rende una sorta di split da sessanta gruppi) e, sempre in entrambi i casi, non mi pare molto centrato parlare di generi, quanto piuttosto di un’idea di “resistenza musicale” di fondo, visto che tutti i progetti presenti sono esempi della (non-)scena sotterranea musicale italiana. Di sicuro, molti dei partecipanti al secondo capitolo hanno avuto modo di ascoltare il primo volume e quindi può essere che avessero le idee un po’ più chiare: ecco. Una cosa, poi, che mi interessa molto è il miscuglio, non solo di linguaggi musicali differenti e/o il mood schizofrenico del disco (errata, in questo senso, la tua chiave di lettura del “brutto” che, sì, c’è ma non è il centro nevralgico del discorso), ma anche di nomi presenti: c’è lo stesso spazio (perlomeno da un punto di vista temporale) sia per artisti rinomati nella scena underground che per altri che… chi li conosce? Ah, e sono molto fiero di una cosa, e qui lo posso dire: il bimbo (o meglio, la bimba) che canta nel pezzo dei Rock (nome del “progetto” scelto peraltro da lei) è mia figlia, che all’epoca dell’improvvisazione aveva soltanto tre anni. Il mio orgoglio di papà vola altissimo!

Quella della Leper Without A Cause abbiamo detto è all’insegna di sonorità scomposte e slabbrate, nichiliste nella loro offerta. Abbiamo comunque un’operazione di riscoperta di un certo passato, quasi prossimo, del Mezzogiorno, ovvero delle ristampe in cassetta di: SNT della zona di Altamura con la loro uscita omonima; gli psichedelici baresi Anuseye con 3:33 333; gli sghembi dalle sonorità quasi tribali Maybe I’m di Salerno con l’uscita Colonia; gli storici noiser palermitani Fighting About Nervs, che uniscono harsh noise a motivi trash, con It’s Few To Doing, del 1999 e uno dei primi album del gruppo. Una visuale di una storia diversa del Sud Italia, attraverso suoni perfettamente sgraziati che hanno un rapporto simbiotico con il corpus sonoro mondiale. Ma come si colloca questa riemersione di un certo passato locale nella Leper Without A Cause? Inoltre come mai la scelta proprio di quelle uscite?

Quando uno come me sceglie roba da pubblicare, lo fa con il cuore, in nome di rapporti di stima o di amicizia con i ragazzi delle band. La terroneria delle uscite che citi è stata una cosa casuale, o meglio, essendo anch’io del Sud, credo sia normale che abbia/abbia avuto più rapporti con gruppi di giù. Del resto due dei gruppi sono pugliesi come me (dei Bread Pitt, ex-gruppo di due membri degli SNT, ho pubblicato in passato – quando facevo parte di Lepers Produtcions – tutto il pubblicabile, con i That’s All Folks!, scaturigine degli Anuseye, ho diviso la sala prove in tempi preistorici), un altro (i Fighting About Nervs) è di Palermo e io ho vissuto in Sicilia per diversi anni, e a Capaccio, cittadina dei Maybe I’m…, ci son stato tante di quelle volte a suonare!

A Brunch With Satan

Cover di A Brunch With Satan (2020).

Quasi un anno (il 12 Agosto 2020) fa uscì un uscita a nome tuo nome intitolata At Brunch With Satan. Venticinque cover di classici (John Lennon, Lou Reed, David Bowie, Syd Barrett, Daniel Johnston, Minutemen, Bauhaus, Nine Inch Nails, GG Allin, etc) in cui canti e suoni l’ukulele; dalla voce calorosa nella cornice delle dissonanze strumentali. Un disco, uscito in cassetta, nato durante una parte del primo anno di lockdown, evidentemente per farci stemperare la tensione. Ma nello specifico come di sviluppa l’idea di quel concept molto spontaneo?

Inizialmente, non l’avevo pensata come una roba da pubblicare. Ero a casa, come tutti, e ho pensato di tirare fuori il mio vecchio ukulele (strumento cui mi sono sempre applicato meno di zero) per cazzeggiare un po’. Mano a mano che ci mettevo mano, (ri-)trovavo riff del mio passato che sentivo in qualche modo vicini alla condizione di prigionia casalinga, così ho iniziato a fare dei filmatini da postare sui social per stemperare innanzitutto la mia, di tensione. Finito il lockdown, torno a lavoro e ogni tanto mi capita di ripensare a ‘sti video che avevo fatto poco prima, finché un giorno penso “bon, estraggo gli audio e pubblico as is”. E infatti la schifaggine della qualità fonica si sente!

Per concludere, speriamo di vedere un tuo concerto in solo oppure con la tua Alexander DeLarge Philharmonic Orchestra, o con altri progetti, appena sarà possibile. Nel frattempo dicci le prossime novità in cantiere, tue o dell’etichetta.

Ovviamente, spero anch’io di ritrovarmi presto a fare lo “stronzo su palco”. Purtroppo, la alexander de large philharmonic orchestra necessita di Paolino Il Malvagio, bassista siculo con cui, vivendo ormai io a Milano, difficilmente riuscirò a beccarmi, quindi non resta che sperare a un mio live versione one man band… anzi, non parliamo di sperare, sennò sembra che abbia chissà quanti fan: il termine giusto credo sia temere! Per quel che riguarda le novità della Leper Without A Cause, invece, sono eccitatissimo per le prossime uscite: a brevissimo ci sarà un’edizione super-limitata in vinile 5 pollici (la versione digitale è già disponibile su bandcamp) con due brani di un mio nuovo progetto partorito assieme a Benny The Bungler (già mio sodale nei Texans From Bari) e Mike Watt (sì, proprio QUEL Mike Watt!) dal nome The Poors. La versione fisica sarà co-prodotta assieme a Musichette Records. E poi ben cinque ristampe su cassetta (anche qui parliamo di micro-edizioni di max una ventina di copie l’una): Dog Album di Big Chef (one man band australiana dedita a una sorta di slam death metal con aggiunta di xilofoni e armoniche), Sorry, I’m a ghost di Dana Is Gone (cantautore folk/lo-fi canadese con un mood alla Daniel Johnston), The fleas of a thousand Dannys di Danny Cohen (cantautore californiano che, dopo aver pubblicato per Tzadik e Anti, è stato dimenticato dal mondo e davvero non riesco a spiegarmelo), The bidder dei RLLRBLL (storica band di Portland che da trent’anni porta avanti un concept dance/noise sbilenco tra i più genuini e particolari che ci siano) e, ultimo ma non ultimo, Canzoni dal guscio di Un Giorno Disperato (una piccola gemma pop/lo-fi del palermitano Pietro Palazzo, scomparso prematuramente a inizio 2020 e membro storico degli Airfish e della “scuderia” Qanat Records).

Grazie e a presto.

Ma grazie a te!

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