LONGBLOND, SPERIMENTAZIONE E ROCK’N’ROLL
di Giovanni Panetta
Intervista ai Longblond. Si parla del loro EP uscito verso la fine del 2020, Lento Is Dead, della sua musica eclettica, delle loro maschere e altro, Tra sound heavy/rock'n'roll e sperimentazioni elettroniche.
Lento is Dead

Cover di Lento is Dead (2020).

I Longblond sono un duo formato da Max Doink (chitarra, seconda voce) e R.D. (batteria, voce e elettronica), originari di Padova e in parte dell’Ungheria. A nome loro è stato pubblicato un EP, Lento is Dead, un’autoproduzione uscita il 30 Novembre 2020, registrato e masterizzato al Lignum Lab Recording di Villa del Conte (PD) da Massimo Berti (Ceo Mass), il quale contribuisce anche ai cori, mentre DJ Einstein dà il suo apporto per quanto riguarda le parti di scratch. I due del gruppo celano le loro identità dietro maschere da sci, sulle quali l’ascoltatore curioso non può far altro che riflettersi, oltre che fruire per la loro musica energica, heavy, popular in senso lato, che guarda all’elettronica e all’hip hop. Un’occasione anche per riflettere su temi come il provincialismo provincialismo della società o del proprio quartiere, attraverso sperimentazioni sintetiche e un ritmo incalzante.

Di seguito l’intervista ai Longblond e approfondirà i temi citati e non solo.

Allora, come nasce il progetto Longblond, un duo elettrico che si regge su linee melodiche slabbrate, scomposte, e che si arricchisce di elettronica e parti di scratch? Inoltre se volete parlateci delle intenzioni.

“Certo. L’intenzione era quella di creare un repertorio di brani che ​rispecchiassero i nostri attuali gusti musicali, che sono veramente tanti, diversi e possono anche sembrare in contrasto tra loro, ma per noi non ci sono state regole o imposizioni, se non un mix ​ funziona e ci dà l’energia giusta, quella fusione per noi è ben accetta; quindi in sostanza c’è l’elettronica, c’è la distorsione del rock, le voci effettate, parti “ballabili” e parti strumentali, senza tralasciare gli scratch”.

Lento Is Dead si sviluppa in trame aggressive, che sanno scorrere attraverso un punk (in senso generico) eterodosso e efficace. Pezzi che sanno mantenere l’attenzione, in senso heavy con un piacevole scivolamento nell’utilizzo dello scratch (la titletrack), le linee incalzanti che si susseguono quasi come una fuga (Dark Cities), scenari che si accompagnano da suoni post-punk (Understand Nada), e attitudine rock ‘n’ roll con un pizzico sempre heavy ( Rock ‘N’ Roll Service). Parlateci della lavorazione dell’EP, e come nasce l’idea di sviluppare in senso rock ‘n’ roll, eterodosso nella sfera del punk.

“La creazione di questo EP, registrato al Lignum Lab Recording, è stato un ​ percorso di stratificazione di idee e sonorità. Fondamentalmente le basi delle nostre song sono heavy, abbastanza energiche, create con chitarra e batteria; questa linea base heavy/rock ​ci dà la possibilità di presentarle live con una certa grinta e solidità, su questo primo “strato” poi si susseguono tutti gli altri strati, sono come piani per un palazzo, e in base al mood del brano possono esserci elettroniche aggiuntive o parti scratch, o delle seconde voci, o delle percussioni.
“Veramente non ci siamo preimposti limiti e non abbiamo uno standard da seguire, ogni brano ha una storia a sé. Ci consideriamo un progetto sperimentale, in quanto uniamo vari generi, sperimentando diversi mix ​ tra sonorità analogiche e digitali, ma come hai accennato cerchiamo di restare focalizzati su una base solida e mantenere l’attenzione senza divagare troppo, quindi rimanere diretti con l’attitudine rock’n’roll.​

Come dicevamo l’EP ha due aspetti che, una volta congiunti, ci offrono una particolarità; l’unione del suono elettrico con quello elettronico. Una caratteristica non proprio originale ma che si traspone attraverso parti più esclusivamente digitali dai toni post-punk, e in un pezzo quasi industrial, ovvero Rio Fantasma. Si segue sicuramente uno stile storicizzato, ma voi rendete il tutto in un’impostazione più propriamente tradizionale (nell’ottica dell’underground), e interessante per una oggettiva riuscita del lavoro. Ma come avviene quell’idea di far convergere aspetto digitale con quello elettricamente analogico?

“Queste due realtà, una volta così diverse, quasi antagoniste, ormai si incontrano sempre più spesso sia in studio che live, in effetti non c’è niente di nuovo nell’includere parti elettroniche in un progetto rock, anzi è abbastanza normale, quello che è interessante per noi è di poter sfruttare a gusto nostro l’introduzione di vari suoni in base al brano che stiamo componendo, qui le possibilità sono vastissime, noi cerchiamo di includere qualcosa che entri in profondità e si fonda con le ritmiche che suoniamo dal vivo, non è una semplicistica aggiunta superficiale di qualche suono.
“Spesso queste aggiunte nascono dopo ​ un po’ che suoniamo il pezzo ​(batteria/chitarra) e naturalmente dopo diverse scelte riusciamo a trovare il suono o il pattern da aggiungere che porti il nostro brano ad un altro livello.
“Come dicevo prima ogni brano ha il suo mix tra questi due “mondi”, Rio Fantasma è un pezzo elettronico basato su un loop di chitarra molto effettata e con delle parti vocali che richiamano vari punti degli altri brani, mentre Rock’n’roll Service, ad esempio, è molto più strettamente suonata come una garage rock band con molte meno contaminazioni elettroniche.
“In altri brani, come per esempio in Dark Cities c’è invece un bilanciamento, un buon equilibrio tra i synth ed il suonato rock”.

Come è noto in questi casi, c’è la voglia di divertirsi, ma anche l’intento di far riflettere; ricorrente è il tema del provincialismo, dell’omologazione proveniente dall’alto, oppure una certa cultura conservatrice in musica che asfissia; in quelle frasi che incentivano a far capire e, con quell’attitudine legata all’intrattenimento, si vuole creare qualcosa di più maturo volto al cambiamento attraverso un’efficace comunicazione. Come capita in voi questa scelta stilistica? Secondo voi la cultura pop dovrebbe di più approfondire quelle tematiche, volendo in maniera più sincera e naïf?

“Per quanto riguarda i Longblond cerchiamo di unire le due cose nei nostri pezzi, energia e divertimento uniti ad una comunicazione essenziale sì, ma con un messaggio di “spessore”; certo i nostri testi non sono complessi ed articolati, ma cerchiamo comunque di dare un messaggio positivo, e riassumendolo in un concetto unico direi che è quello di trovare in qualsiasi situazione di smarrimento un punto di rinascita e di rivalsa che sia verso la società, il proprio quartiere, la propria città o qualsiasi altra cosa che abbia cercato di abbatterci moralmente.
“Per quanto riguarda le tematiche della cultura pop è sempre stato un po’ così, ​argomenti molte volte superficiali, banali, ed a nostro avviso anche un po’ troppo ripetitivi, quasi non ci fossero argomenti nuovi da affrontare, quando invece musiche e argomenti interessanti da ascoltare ce ne sono tanti, basta cercare un po’ e non accontentarsi delle prime cose che propinano radio e tv commerciali, insomma si può comunque scegliere”.

Della tecnica dello scratch c’è un pieno utilizzo, che rende più fluido e piacevole l’ascolto. Parlateci dell’uso di questa tecnica, e di come collide con l’heavy rock e post-punk? Ci sono da parte vostra dei ricorrenti ascolti hip hop?

“La contaminazione dello scratch free-style ci ha sempre affascinato. ​Dai mitici successi fine anni ’90, ​gruppi cult hip hop spesso hanno contaminato generi molto più heavy, creando collaborazioni ​ crossover, nu metal e altro, cose che a noi sono sempre piaciute molto. Quindi con questo progetto, che non ha vincoli di genere, ne abbiamo subito approfittato e dove possibile abbiamo aggiunto  parti scratch all’interno dei nostri brani, alcuni suonati da dj Einstein, altri rielaborati da noi”.

Da dove nasce la vostra volontà nell’essere mascherati? Sembra che vi sia l’intento di ironizzare sulle vostre identità, ovvero di celarle dietro una forma caricaturale, legata alla fruizione rock ‘n’ roll (in senso concettuale) e tutte le sue sfumature, facendo in modo che ci si concentri sulla musica e sui suoi messaggi. Ma detto da voi, come avviene questa scelta?

“Le nostre maschere sono specchiate, chi ci guarda ci si può riflettere, ecco noi cerchiamo di essere dei semplici esecutori dei nostri brani, non tanto protagonisti, quindi le nostre individualità cerchiamo di lasciarle fuori da questo progetto, e una volta messe le maschere diventiamo la musica che facciamo, questo è il messaggio che vogliamo dare”.

Per concludere parlateci dei prossimi progetti, e diteci cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo lavoro.

“Di progetti ce ne sono alcuni che non vediamo l’ora di iniziare: registrazione di nuovi pezzi e la realizzazione di alcuni video con la nostra Longblond Video Design, poi (come probabilmente ogni altra band in questo periodo), la voglia di uscire a suonare dal vivo appena possibile, ovunque ci siano situazioni che siano interessate alla nostra musica, noi ci saremo”.

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