L’IMPEGNO POLITICO E CELESTIALE IN THE MAGIC CITY
di Giovanni Panetta
Storia delle origini di The Magic City e del suo contesto. Sun Ra e l'Alrkestra a confronto con il resto della new thing e delle lotte contro la segregazione razziale.
The Magic City

Cover di The Magic City (versione ABC/Impulse! del 1972).

Quando Sun Ra e la sua Arkestra si trasferirono a New York, nel 1961, fu in via quasi del tutto casuale; con l’intenzione di fare qualche concerto e seduta di registrazione, e a seguito di un incidente nella Grande Mela tra l’auto prestata dal padre di Ronnie Boykins (bassista dell’Arkestra) e un taxi, che allungò la loro permanenza, furono ammaliati dalla metropoli e dal suo fermento artistico che si stava sviluppando; alla fine il grosso dell’ensemble rimase, e Sun Ra e soci potettero confrontarsi con la parte più prosperosa della new thing. La nascita dei locali underground, lontani persino dal jazz più ortodosso (vetrine dell’hard bop e generi affini), ne era una prova, tra cui il Cafe Bizarre, un ritrovo beat, luogo che anni dopo diventerà emblematico per i Velvet Underground, dove suonò per diverso tempo Sun Ra e l’Arkestra, facendosi così conoscere da diversi musicisti, tra cui Charles Mingus, che fu uno dei primi in città ad apprezzare il musicista originario di Birmingham (se non da Saturno) e i suoi accoliti. Oppure un altro amico di Sun Ra, con cui ci fu spesso uno scambio di preziosi consigli, era John Coltrane, il quale in particolar modo era entusiasta dello stile di suonare il sassofono di John Gilmore, per via della sua filosofia musicale “anti-armonizzante” con le altre parti.

Sun Ra ticket

Locandina di Sun Ra And His Astro-Infinity Arkestra @ Carnegie Hall, New York, 12-13 Aprile 1968.

Ma il contributo maggiore nella poetica di quel gruppo di musicisti e del suo autore è dato sicuramente dal fermento politicizzante dell’epoca, e dal periodo nel quale si stava affermando ancora di più un clima di rivendicazione dei diritti da parte dei neri, che andò a manifestarsi come espressione artistica prosperosa e rivoluzionaria. In questo panorama è facile vedere in Sun Ra un fulgido esempio, latente ma non troppo; come abbiamo accennato, egli ha origini da Birmingham, una delle città più segregate degli Stati Uniti, dove si sarebbero concentrate le attività del movimento dei diritti civili, e dove fu arrestato Martin Luther King. In quel periodo, dopo il suo trasferimento nella grande metropoli, le sue origini tornavano a farsi sentire con il bombardamento di una chiesa battista, in cui perse la vita la figlia di un amico musicista (qualcuno sostiene che tale episodio ispirò Coltrane nella scrittura di Alabama).
In questa cornice abbastanza oscura e di ribaltamento, nasce l’incontro con Badatunde Olatunji, un percussionista proveniente dalla Nigeria e trasferitosi per via di una borsa di studio, facendo conoscere la sua musica ritmica che affonda le sue radici nella cultura Yoruba, alla quale diversi afroamericani trovarono dei punti di convergenza; tra di essi vi era Sun Ra, e due musicisti strinsero amicizia, incontrandosi varie volte per scambiarsi  idee e progetti. Tra i due artisticamente vi fu un rapporto osmotico; Olatunji utilizzò nel suo ensemble musicisti dell’Arkestra, come Marshall Allen e Pat Patrick nell’album Drums! Drums! Drums!. D’altra parte nella musica di Sun Ra stava prendendo un radicalismo nero dovuto dal fervore politico, dai ritmi Yoruba di Olatunji, o dall’estrema libertà delle composizioni di Ornette Coleman o Coltrane.

The Magic City

Cover di The Magic City (1965).

Nel 1966 viene pubblicato, per la Saturn a nome “Sun Ra And His Solar Arkestra”, The Magic City, album di un futurismo lisergico e metodicamente caotico che poteva essere solo ordito dal saturniano e soci. La prima traccia, ovvero la titletrack che occupa interamente la prima facciata con i suoi 27 minuti e 22 secondi, e registrata il 24 Settembre 1965, è un improvvisazione libera ma costruita magistralmente descrivendo linee aleatorie lontane persino dal suonare terreno di Coleman in Free Jazz: A Free Improvisation e dal feeling etereo di Coltrane in Ascension; l’astrazione è puramente matematica nella sua imprevedibilità, che va oltre ogni schema precostituito, lontana da persino dai lavori precedenti e dalla sua poetica tout court. Un contrabbasso arcato, una celesta descrivono traiettorie in geometrie non-euclidee, in una qualche galassia remota e poco ospitale, in cui la voce del piano, del flauto, più terree, si dissonano per insofferenza all’impatto umano, mentre la batteria traccia il suo percorso nel suo viaggio, in cui si è guidati dal Mistero. Sembra che in questa “a-musicalità” (in senso classico) vi sia l’influsso di Olatunji, di quelle percussioni che disegnano una melodia extra-occidentale; non è da escludere che dietro l’oscurità lisergica di The Magic City si celi una concezione più propriamente africanista, permeata da un’affiliazione all’impegno civile per i diritti dei neri; “The Magic City” è da vedere anche come uno degli slogan per Birmingham, nato originariamente per via dei giacimenti minerari della città dell’Alabama, di sicuro una manifestazione di affetto che Sonny “Sun Ra” Blount inconsciamente ha sempre covato. The Magic City, secondo le parole di Alton Abraham che fu manager e co-proprietario della Saturn, è “una città libera dal male, una città piena di opportunità e bellezza”. Emblematica è la poesia omonima di Sun Ra, nella quale si fa riferimento di una Magica città come “pensiero dei Magi”, “eternamente equilibrata dalla calcolata presenza del / raggio/potenziale intruso del ragionamento / entità celestiale dall’armonica precisione”. Si gioca con il doppio, l’attualità incontra il Celestiale, il concreto l’astratto. La musica può realizzare questo secondo le sue geometrie complesse o con una melodia più palpabile; è quello che fa Sun Ra, e di sicuro tutti gli altri della new thing. Ogni azione artisticamente perfetta fa necessariamente del bene e migliora la società, nell’ottica della sua idea di musica offerta all’ascoltatore.

Shadow World, Abstract Eye e Abstract “I” vennero registrate al Center Of African Culture, gestito da Olatunji, qualche mese prima della session di The Magic City, probabilmente durante un concerto. Shadow World è un crescendo secondo una linea sinusoidale, con un andamento più ondivago attraverso un caos che si esacerba in più punti, con una batteria che ci guidano e dei fiati che raggiungono il picco sonoro, descrivendo musicalmente una figura orizzontale e contrapponendola ad una verticale. In Abstract Eye e Abstract “I” domina un’idea di astrazione molto simile. In entrambi i pezzi dominano una prima parte con il basso suonato con l’arco, e una seconda parte in cui si fanno maggiormente sentire l’ottavino e le percussioni, dal suono a volte più etnico. Differenza fondamentale, in Abstract “I” si fanno sentire di più batteria, sax tenore e tromba. Inoltre “Abstract Eye” si riferisce all’Occhio di Horus, dio egizio del cielo, mentre “Abstract “I”” è la persona, l’osservatore (da qui forse l’utilizzo maggiore di strumenti moderni).

The Magic City unisce due elementi più classici in Sun Ra sviluppati in maniera poco consueta nella sua poetica: combinando le sue idee con quelle dell’improvvisazione libera di Coleman e Coltrane, in nome dell’impegno politico che in quegli anni muoveva le menti di molti. Un sound astratto, celestiale, ordinatamente complesso.

RIFERIMENTI

  • John F. Szwed – “Space is the place. La vita e la musica di Sun Ra” (minimum fax, 2013)
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