ETERODOSSIA E SUONO WEIRD PER OMINO
di Giovanni Panetta
Intervista a Francesco Zorzella e track by track dei suoi due EP per Omino, tra impostazioni di band non convenzionali e microfoni a contatto. Un tender noise più caustico con Virus e Kill Kalasnikov.
Omino

Cover di Omino n°1 (2013).

Francesco Zorzella, in arte Omino e anima di progetti di un tempo come Kill Kalasnikov e poi Virus/Vairus, ha rappresentato un aspetto di quel cosiddetto “tender noise” nell’area di Verona sia attraverso la sua musica, graffiante e bizzarra, e i suoi disegni e artwork sempre in Omino e Virus, dai tratti e significati più propriamente weird. La sua arte, intesa come intrattenimento slabbrato e scorretto, ha permeato una parte di quella scena veneta, grazie ai suoi lavori di quei tre progetti, usciti per la Depression House Records, l’etichetta di Scoia aka Giacomo Berardo, l’altra faccia in Virus/Vairus, nel quale canta e suona il synth, e già bassista e vocalist in Kill Kalasnikov (nei quali partecipano Federico Maio alla batteria e Federico “Pedro” Pedrazzoli alla chitarra, successivamente in Dots). (Per la distribuzione, oltre alla Depression House compare anche il contributo della Lemming Records per quanto riguarda l’album 7 Years dei Kill Kalasnikov e lo split Virus/Dots, mentre la Complete Shittography dei Virus la distribuzione è solo a nome Rude Soul Rec. e Lo-Fi Lo-Life). Come si leggerà, quello di Francesco, detto anche Cesco, è un modo di suonare più che convenzionale; nel suo sound si serve di microfoni a contatto, trasmettendo un suono sporco e grottesco, e in Virus suona sia batteria che chitarra, servendosi di una loop station. Un suono caustico ma dalle trame stilizzate (da qui l’associazione al tender noise) a volte più lisergico (Omino), a volte più terreo (Virus e KK) nel segno molto spesso di un surf/garage eterodosso.

Di seguito l’intervista a Omino che approfondirà i temi citati e non solo.

Cominciamo da Omino, una one man band voce-chitarra-batteria che si esprime attraverso un garage-punk con qualche influsso psych. Ma come nasce e si sviluppa il progetto, e con quali intenzioni?

“Stavo cercando di sviluppare il mio personale suono di chitarra. Ho iniziato a sperimentare con i microfoni piezoelettrici. Me li costruivo da solo smontando un jack e saldando le due parti sulle piastrina piezo. Poi li fissavo sulle corde della chitarra in modo precario con lastre metalliche e nastro adesivo. Facevo passare tutto da un Big Muff. Ne nascevano suoni imprevedibili, ipersaturi, sgangherati. Ogni suono mi ispirava un diverso modo di suonare la chitarra. Da questa indagine è nato Omino”.

In Omino n°1, pubblicato nel 2013 si fa manifesto di un garage-noise spontaneo e diretto, anche se non mancano elementi più alieni e diversificati, come i ritmi in levare di Maria, il melodismo dondolante di Real Lucky Baby, l’attitudine punk di For You e l’angolosità ad ampio respiro di I Feel Alone. Un approccio vivace alla musica in cui si amalgama disincanto aggressivo ad un utilizzo ludico dei suoni e più disteso (rispetto anche gli altri tuoi progetti). Un dettaglio interessante in quel panorama noise, e leggermente più tradizionale che si stava evolvendo in qualcos’altro. Ti chiedo quali sono stati i punti di riferimento, e se l’EP Omino n°1 era nel mezzo di un processo di transizione.

“In quel periodo stavo ascoltando molto le cose della Dust To Digital, e in particolare Victrola Favourites, una compilation di musica etnica degli anni ’20-’50. Il suo suono lo-fi, polveroso ma evocativo di mondi lontani mi ha ispirato molto. Mi ha anche colpito l’unione di diversi generi in un’unica compilation. Il tutto suonava tradizionale ma allo stesso tempo alieno”.

Nel primo EP si può percepire l’influenza di artisti come Ty Segall, Nathan Williams (Wavves) e John Dwyer (Thee Oh Sees). Artisti che hanno giocato sia con l’elemento noise e con quello californiano-psichedelico. Un suono leggermente più surf che nel tuo caso è più urticante e astratto. Riconosci che il tuo progetto solista abbia questa descrizione?

“Conosco questi artisti solo di nome. I pezzi di Omino sono tutte improvvisazioni che ho successivamente rielaborato al computer. I pezzi e i suoni sono irriproducibili una seconda volta. Il risultato finale si può avvicinare al suono di questi artisti ma penso che Omino sia un’altra cosa, più outsider, freak e malata”.

Omino n°-2

Cover di Omino n°2 (2016).

C’è una prosecuzione nell’evoluzione con l’EP successivo, Omino n°2; soprattutto il suono sembra più elastico e psichedelico (questa volta più in senso lato), e noise allo stesso tempo. Emblematica in questo senso è Motorik M, dove quella pulsazione robotica ritmica viene soffocata da distorsioni e feedback. Nell’uscita è ricorrente quell’elemento krautrock del ritmo, per l’appunto di un suono periodico che porta il tempo, insieme a sonorità urticanti delle ultime generazioni del rumore, come Lightning Bolt o i primi Black Dice. Nuova sperimentazione e con quell’attitudine al gioco che ti caratterizza, e un suono più definitivo in quel senso; ma vorrei sapere da te se in corrispondenza al secondo EP hai ampliato i tuoi ascolti, e in che modo è cambiato il tuo approccio alla musica.

“Ho ascoltato molto i Lightning Bolt, i Sightings e anche i Black Dice certo, ma il mio approccio non è cambiato. Ho cercato di preparare la chitarra in modi alternativi, con altri effetti e aggiungendo poi una batteria. Volevo un suono più cattivo e pieno”.

Passiamo agli altri progetti. In merito agli esordi, Kill Kalasnicov unisce eterodossia noise ad un approccio indie rock anni ’80. C’è una certa contaminazione dal post-punk, ma soprattutto c’è un approccio “sonico” che attinge dai Butthole Surfers (per quella eterodossia), i Die Kreuzen (per un tocco più oscuro), e un tocco obliquo dei suoni contaminato per mezzo del proto-grunge, simile a quello dei Melvins. Secondo me 7 Years unisce tutto questo, e non a caso è stato masterizzato da Bob Weston, uno dei protagonisti di quella macroscena (Volcano Suns, Shellac e Mission Of Burma); ti chiedo quindi quali erano i vostri modelli più diretti per i Kill Kalasnicov. Ma soprattutto qual era la storia di quel progetto, ovvero come si è evoluto nel corso del tempo.

“Mi fai fare un viaggio nel tempo! Sembra siano passati secoli da allora. La band nasce da me, Scoia (basso e voce), Maio (batteria) e Pedro (chitarra e voce). Io e Scoia eravamo le menti creative e quelli che ascoltavano roba nuova, tipo i Fugazi, Oneida, Lightning Bolt. Maio e Pedro erano più rockers tradizionali, scuola Dead Kennedys e Cramps. Credo che abbiamo trovato un buon equilibrio insieme. E’ durato alcuni anni, poi le strade si sono separate. Le visioni erano ormai troppo diverse. Io cercavo di introdurre un synth e più rumore, ma per gli altri era troppo. All’inizio cantava Pedro, qualche pezzo in italiano, stile punk alla Nabat e cover dei Sex Pistols, Exploited ecc. Poi ho detto a Scoia, ‘perché non canti tu? Hai una voce potente’. Da allora ci siamo focalizzati sullo scrivere roba nostra. Depression Boy fu uno dei primi pezzi, che ha dato anche il nome all’etichetta di Scoia, la Depression House. Scoia era il collante del gruppo, il leader e quello che trovava i posti dove suonare e dove registrare”.

Live In Lourdes

Cover di Live in Lourdes (2013). Artwork di Francesco Zorzella.

I Virus/Vairus rappresentano più che mai il picco. Un garage-noise-punk corrosivo, essenziale e dritto in faccia, e potente, di cui ci si meraviglia per la presenza di soli due componenti, dove tu suoni batteria e chitarra insieme. Live In Lourdes è in assoluto in vostro capolavoro, dove tutti quegli elementi sopracitati raggiungono il massimo della riuscita, e con una copertina spassosissima (in stile anticlericale). Ti chiedo chi vi ha ispirati nella scelta di quel formato di duo e nella inequivocabile scorrettezza nel vostro sound.

“Addirittura capolavoro? Ahahahh 🙂 L’idea iniziale è stata mia. Stavo cercando un modo per suonare la chitarra come percussione e ho provato ad imbracciare la chitarra mentre suonavo la batteria, aiutandomi con una loop station. Il progetto inizialmente si chiamava Anti-Virus ed ero io da solo. Al primo live Scoia mi ha visto e mi ha detto che l’idea gli piaceva e iniziammo a suonare insieme. La formula Virus era perfetta per il live e per le improvvisazioni. Dal vivo ero praticamente io la band e potevo permettermi di fare quello che volevo. Scoia stava davanti a urlare e rotolarsi, che spasso. Certi live sono stati davvero magici. L’intesa tra me e Scoia era perfetta. Ah la copertina è mia e le registrazioni pure. Andrew Tee ci ha aiutati nel mix e master”.

Parliamo dei live. Praticamente le loro testimonianze sono introvabili in rete; ma com’era l’atmosfera e le situazioni dei vostri concerti (con i tre progetti)? Inoltre ci sono state delle esibizioni con Omino?

“Mi ricordo la prima uscita con i Virus al Circolo Arci Ecate a Nogara. Noi suonavamo praticamente nudi. Nel mezzo del concerto, a livelli alcolici già elevati, ad un certo punto Scoia dice “Giù le braghe!”, ed ecco tutti in mutande! Che bel paesaggio! Poi mentre stavo suonando, la grancassa scompare in mezzo al pubblico…. e poi ritorna magicamente al suo posto. Erano selvaggi, soprattutto i primi concerti. Per me erano uno sforzo inaudito! Dopo 20 minuti ero sfinito e completamente fradicio.
“Con Omino ho fatto un paio di Live qui a Berlino, con drum machine, chitarra e voce. Sono andati bene e spero di continuare a suonare dal vivo.”

Virus

Virus live a Legnago (VR). A sinistra Francesco Zorzella, a destra Giacomo “Scoia” Berardo.

Con Taranto e voi c’era un rapporto, non a caso lo split Virus/Dots è stato prodotto dalla sinergia di Depression House, di Scoia, e dalla Lemming Records, etichetta tarantina di lunga data nel panorama indipendente. Parlaci di questa corrispondenza, come è nata, e se è stato organizzato qualche live tuo o dei Virus/Vairus in Puglia.

“Questa è una domanda per Scoia, era lui il manager del gruppo :-). Non ricordo bene, forse dovevamo fare una data in Puglia ma è saltata. Con Omino purtroppo no”.

Ho saputo che hai ispirato gli Hallelujah! nell’utilizzo del microfono a contatto nel generare feedback senza che siano necessarie le chitarre. È una tecnica molto utilizzata nel noise estremo della prima ora; ma per quanto ti riguarda, da chi o cosa è scaturita in te questa idea? Il risultato negli Hallelujah! è più che magistrale, infonde una rinnovata idea di rumore in quel contesto.

“Il primo che mi parlò dei piezoelettrici fu Andrea Belfi. Lui li usava per i suoi set elettroacustici. Avevamo una data coi Kill Kalasnicov insieme ai Rosolina Mar e lo conobbi in quell’occasione. La settimana dopo andai in un negozio di elettrotecnica a comprarmeli”.

Per concludere, parlaci dei tuoi nuovi e prossimi progetti in musica. Speriamo che prima o poi riprenderà il progetto Omino, come d’altra parte spero di vedere un vostro/tuo concerto, quando e se sarà possibile.

“Ho un disco nuovo di Omino, già registrato che aspetta solo mix e master. Spero di finirlo a Luglio. Speriamo. Ci sarebbe pure un video già girato e solo da montare. E pezzi nuovi per i live! Quelli sono pronti”!

Adesso, descrizioni personali o estemporanee dei pezzi di Omino n°-1 e Omino n°-2.

Omino n°1

Maria: “Maria era il sogno erotico di mezza bassa padana”.

Walking This Town: “Sto pezzo ha un tiro pazzesco, fucking people waking around, fucking people waking this town“.

For You: “Qua andiamo sul malato con vocine isteriche che mi ricordano Johnny Rotten”.

Real Lucky Baby: “Il cembalo sotto ci sta bene! sembra una canzone tribale velocizzata”.

Improo: “Mi piace come le chitarre si incastrano”.

I Feel Alone: “Giro spagnoleggiante con finale al ralenty alcoolico sbilenco”.

Omino n°2

Motorik M: “Cassa dritta e pestaaaaa”.

Vomit One: “Qua si va sul peso ma le vocine sono quasi pop”.

Surfnshit: “Questa è la mia hit preferita… This what you wanna do, this what you wanna be…Just take your pills“.

Feel So Bad: “In territori oscuri, in the black black jungle something is dancing“.

Dogmaister: “Qua vibra il pavimento, il wha wha sembra la mokka del caffè”.

Fucking Good: “Un missile che parte, qualcosa di grosso si muove”.

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