Discrepantia è il nuovo album del progetto originario di San Sperate (CA) Malignis Cauponibus, diretto dal chitarrista e vocalist Luca Marcia. Se nell’esordio A-Pathos era più evidente la vena cantautorale o un approccio più diretto e concentrato sulla parola multilingue, in Discrepantia (uscito il 30 Settembre 2022 come autoproduzione) la Sardegna è ancora protagonista, accompagnata da una più rafforzata sperimentazione dell’ensemble nel nome del blues tra psichedelia, progressive ed elementi di rumorismo. Infatti si raccontano i misfatti della terra di origine, attraverso un viaggio ideale per la SS 195 (strada automobilistica che attraversa le province di Cagliari e del Sud Sardegna), tra calamità naturali, vittime del lavoro e dell’abusivismo edilizio. Marcia si dimostra non solo un cantastorie di una componente del meridionalismo ma anche un abile sperimentatore, come dimostra dell’album solista SCOMU, in cui rumori astratti omaggiano il sardo e le sue origini più profonde, il cui influsso in Discrepantia è più che evidente.
Attualmente, con Discrepantia, Malignis Cauponibus è un ensemble formato, oltre che da Luca Marcia (voce e chitarra) anche da: Marco Caredda (batteria e vibrafono), Fabio Tidili (drum machine, synth e tastiere), Massimo Loriga (sassofono e armonica) e Andrea Schirru (tastiere) (Matteo Pilia ha collaborato negli annunci radio). Le registrazioni dell’album sono state dirette da Marco Caredda e I Forse Nati (quest’ultimo studio di produzione musicale e grafica con sede a Senorbì (SU)), il missaggio da Roberto Macis del Solid Twin Studio (Cagliari), mentre il mastering è stato affidato a Marco “Mudra”; inoltre l’artwork è ad opera di Giorgio Carta, Elena Mastidoro e I Forse Nati.
Di seguito un analisi delucidativa di Discrepantia con Luca Marcia.
Discrepantia ha un suono grandioso, operistico e cinematografico nel suo blues eclettico e multilingue. Maggiori linguaggi prendono forma, non solo quello blues, ma anche reggae, fusion, progressive (in particolare quello italiano), e rumorismo obliquo. Come nasce quest’esigenza di combinare più generi in un’unica istanza sonora?
C’è una ferma volontà di sperimentare, partendo dal cantato blues come potente forma di espressione vocale e catalizzatore di idee nei contenuti dei testi. Da questo elemento stilistico siamo partiti per creare un cocktail, mescolando forme musicali differenti, molto care a ciascuno di noi. D’altronde, l’estrazione musicale degli artisti che hanno partecipato alla realizzazione del disco e alla sua messa in scena caratterizza i paesaggi dell’album verso diverse direzioni, da quella jazz-blues ad un certo tipo di musica improvvisata d’avanguardia, dal rock blues alla scena psichedelica americana degli anni ’60, dal rock progressive a sonorità hip hop con l’uso dell’elettronica. Il concept dell’album è la lettura delle discrepanze di un territorio da finestrini di auto che viaggiano lungo una strada; chi conduce la macchina formula considerazioni sulla base di quello che vede. Entrare dentro ciascuna macchina richiedeva anche linguaggi musicali diversi.
Su Traballadori parla della routine monotona di un operaio in cui compare un andamento più sospeso della melodia, basato sul ripetersi di un beat monocolore, mentre Su Meri, in cui la situazione sembra ribaltarsi, è più fluida, polimorfa e melodicamente incalzante. Raccontateci del leitmotiv di questa coppia di pezzi e come si collocano all’interno del tema dell’album.
La traccia “Su Traballadori” parla della monotonia quotidiana di un operaio nel recarsi a lavoro e l’andamento della canzone è per l’appunto in contrasto con quella del brano “Su Meri”, nel quale il protagonista si trova in una condizione lavorativa che lo porta ad avere maggiori responsabilità verso gli altri e che è quindi musicalmente più energico. L’aspetto più importante è l’interpretazione che i personaggi danno della natura dal loro punto di vista. Il primo bloccato nel traffico osserva uno spazzino del mare dimenarsi tra i sacchi dell’immondezza, sentendo la sua vita noiosa e svuotata dalla routine lavorativa, mentre il secondo è un pavido che ricerca la sua personale libertà, ed esercita il suo piccolo potere quando nessuno lo può vedere durante la notte. Ma come recita il ritornello, la sera (intesa come natura) se ne sbatte se tu ti senti padrone.
Parlando di uno dei pezzi più iconici, SS 195, con un intro sospeso emesso dal vibrafono e sonorità simil-reggae sul seguire, infondono una storia che si sviluppa a flusso di coscienza, probabilmente di un esponente della delinquenza abituale di quei luoghi, ovvero la Strada Statale 195, che collega Cagliari e si direziona verso il baricentro della Provincia del Sud Sardegna. È come se il tema nazional-popolare della delinquenza/microdelinquenza prendesse forma attraverso un’internazionalità sonora, congiuntamente all’utilizzo della lingua sarda. Ci volete parlare di quest’aspetto, che appare come fil rouge dell’album?
La sonorizzazione di un flusso di pensieri non può procedere linearmente. Ci sono dei ricordi di una vita non facile, voci distanti che emergono dalla “palude” dell’animo, che si svegliano, improvvise, e tornano a disturbare una vita in continuo disequilibrio che deve fare i conti con il proprio passato. La disperazione della situazione in cui vive ha la forma dei postumi di una sbornia che non si chiudono mai, e percorrere quella strada non aiuta a dimenticare l’accanimento di un giudice contro di lui. Forse “un pesce piccolo” che non ha le spalle protette, lo vedrebbe molto bene seppellito vivo nel fango. Reati di cui non vede colpe e probabilmente rimorsi nel non aver detto qualche parolina in più per togliersi un po’ di fango di dosso. Il sardo è stato utilizzato nelle due varianti linguistiche più in uso nell’isola, nell’accostamento di suoni abrasivi e taglienti con altri più scorrevoli e liquidi. Un gioco che ha aiutato ad entrare nel personaggio per descrivere il suo umore nero, un misto di rabbia e disperazione.
Pezzi (quasi) non verbali come Interlude hanno una forma astratta più legata al prog rock. Mentre la successiva Adv. Forecast naviga in sonorità più jazz rock con un sample parlato di uno spot. Interludi che arricchiscono il suono del disco e ne danno un tocco in più di classe mostrando vostri lati più disparati. Come nasce l’idea di questi intermezzi, e che ruolo hanno all’interno del lavoro?
Occorreva dare un respiro alla struttura del disco. I brani strumentali conferiscono una pausa dovuta ad un continuo rincorrere e gli elementi di pubblicità lanciata dalla radio rende il tutto surreale, specie perché sono declamati in inglese con un accento differente ogni qual volta ci sia un cambio di stazione: decisamente strano per una emittente radiofonica locale.
In S’Arriu Mannu dal blues sghembo si passa ad un post-rock articolato, atonale, astratto e a tratti evanescente, combinato con l’espressività urbana e smooth del vibrafono, in cui si parla di una forte alluvione nel 2008 a Capoterra (CA), uno dei tanti ruscelli straripò inondando il paese. Come nascono questi elementi e l’esigenza di raccontare il suddetto disastro?
Nella memoria di molti, l’alluvione di Capoterra rimane infelicemente ricordata per la sua potenza distruttrice. Uno dei temi trattati dall’album è proprio quello dei mutamenti climatici e di come questi riequilibreranno radicalmente il nostro rapporto con la natura. Così come per il brano Cenabara, abbiamo riversato una sorta di “pazzia” musicale mescolando più linguaggi musicali. La sperimentazione oltre che musicale in S’Arriu Mannu, è quella di cambiare il punto di vista di chi racconta il fatto, cioè facendo parlare il Rio San Girolamo, il corso d’acqua che ha investito il paese e i suoi abitanti. Come una donna che si è sentita tradita dal proprio uomo, il torrente riprende il suo letto e quello che gli appartiene. Il cantato si esprime in una improvvisazione che esce dai canoni blues, sebbene il tema riprenda la rivendicazione di avere qualcosa che in quel momento non si ha: di essere considerato alla stregua di altri corsi d’acqua più importanti (dal sardo arriu mannu).
In conclusione, Hoka Hey, in cui contribuisce la band hardcore AFDA (A Fora De Arrastu), l’andamento ritmico costante ed incisivo, simula la battaglia di un anziano pastore, Ovidio Marras, che lotta per preservare la sua proprietà, che si trova a Capo Malfatano (vicino la costa sud-ovest della Sardegna), dalla speculazione edilizia che vorrebbe costruire in quei luoghi di campagna un albergo, e che si vede abbandonato dalle istituzioni, tra cui il sindaco di Teulada, il comune a cui quelle terre fanno parte (fonte qui).Marras sporge denuncia e la Cassazione gli dà ragione, e il brano musicale, dal ritmo incalzante e semplice, coglie l’occasione nel coinvolgere il pubblico in una festa attraverso un lieto fine per il disco. Cosa vi ha colpito della storia di Marras, e come nasce la necessità di riportare su Discrepantia questa storia?
Come ricorda l’articolo, i fatti si riferiscono agli anni 2000, e in quel momento la battaglia di Ovidio sembrava quella di un Davide contro Golia. Il messaggio così semplice ed efficace, doveva comparire in questo viaggio lungo la SS 195. La storia si è intrecciata con la canzone-denuncia Hoka Hey! della band AFDA (Album Istorias del 2004) che si interroga su come i meccanismi planetari, quelli che oggi chiamiamo consumismo e globalizzazione, abbiano devastato la vita e la libertà di popoli interi come gli Indiani d’America e i Mapuche. Oggi ciclicamente si ripropone in forme di sfruttamento e colonialismo. L’esortazione in questo mash-up è di non dimenticare che valore ha il bene comune a discapito del bene privato. Sono logiche a cui non siamo più abituati. È forse questo il punto cruciale nella stesura di Discrepantia, fermarsi e ordinare i propri pensieri dando un peso critico più forte a quello che vediamo da ogni finestrino o finestra di questo mondo.
Per concludere quest’intervista, parlateci delle prossime novità di Malignis Cauponibus riguardo concerti, tour o altro.
Stiamo lavorando per portare l’album in giro in Italia e all’estero. Incrociamo le dita!