Tab_ularasa, nome d’arte di Luca Tanzini, è un artista poliedrico dalle mille sfaccettature, che opera nel nome del DIY. Ho avuto modo di conoscere personalmente questo artista sincero e naïf quando l’ho invitato a suonare 24 Marzo (2023) a Taranto grazie al supporto del locale e negozio di dischi Mexico 70, che ringrazio calorosamente per il loro servizio. Il concerto di Luca risulterà essere coinvolgente e insolito per la suddetta audience, che capiterà in degli stati d’animo tra l’estasiato, per la essenzialità melodica e candida semplicità, e l’interdetto per gli stessi motivi congiunti alla parte più atonale e relativa all’equipaggiamento a bassa fedeltà (un theremin, chitarra e una tastierina obsoleta). Inoltre la particolarità dell’evento consiste nel formato “due concerti in uno” come nelle migliori offerte nei contesti commerciali quanto più ideali (non a caso Luca Tanzini richiama il quotidiano anche nei significati dei suoi testi); il live vede infatti alternarsi il progetto solista più canonico, ovvero Tab_ularasa, più chitarristico, psichedelico e cantautorale, con Punk Xerox, progetto più strumentale, lo-fi e al contempo futuristico (più propriamente synth punk) che ho approfondito nell’intervista a Luca riguardo alla singolare istanza artistica che meritava un focus separato (qui l’intervista).
Per comprendere l’arte di Tab_ularasa, e in occasione della pubblicazione, avvenuta oggi (06/05/2023), del suo nuovo album, Guardare Sanremo, per la sua etichetta Bubca Records, rilasciamo un’intervista allo sperimentatore di Valdarno (AR), stavolta nelle sembianze del suo progetto più chitarristico e allo stesso tempo lateralmente psichedelico. Di seguito l’intervista.
Oh che corse matte senza gambe si muove su un piano sperimentale e abrasivo, ma dalla forte vena alternative pop/cantautorale. Il suono riverberato e la convergenza dell’elettronica derivata da Punk Xerox rendono peculiare l’uscita all’interno della tua discografia, attingendo maggiormente da un suono lugubre e plasticamente pop à la Pixies (il gruppo da Boston degli anni ‘80/’90). Riconosci che ci siano queste descrizioni nel tuo operato? Quanta influenza ha avuto il periodo COVID?
“Direi proprio tanta, è stato un periodo orrendo per i sentimenti umani è il “pensare per sè” si è amplificato al 100000 per cento, nelle canzoni e nella musica del disco c’è tutto quello che ho pensato e ho provato in quel periodo. Ovvio anche il mio cervello è andato spesso completamente in corto e ho buttato fuori l’energia negativa suonando. C’è una canzone nel disco che si chiama “siamo tutti infetti”, ecco io penso che l’uomo sia un virus per la natura che lo accoglie e lo ospita su questa bella terra che gli da tutto per vivere mentre lui fa di tutto per distruggerla. Ovvio la natura si modificherà e continuerà nel suo percorso mentre l’uomo farà giustamente la fine dei dinosauri, su questo pensiero potete ascoltare la canzone “batti le mani”. Per quanto riguarda i Pixies, ci può stare il paragone, li ho ascoltati in passato, ma non sono mai stati diciamo un faro per il mio modo di fare musica, sono attratto da gruppi più scassati scarni e minimali; però molta gente che conosco da tanto tempo mi parla di questa mia capacità di fare canzoni pop basilari che ti si stampano in testa, sicuramente il mio modo di scrivere canzoni è stato soprattutto inizialmente influenzato dalla musica rock/garage/punk underground americana e inglese.”
Coccodrilli Sui Navigli è una tua hit dall’impronta pop-dada, incentrata probabilmente su Milano e sull’intenso tessuto urbanizzato dalla forte valenza commerciale e capitalista, in cui si fa lateralmente accenno nel pezzo. Parlaci del significato e della melodia del pezzo. Quanto ha avuto influenza il tuo soggiorno nel capoluogo di regione lombardo?
“Sì la canzone parla di Milano, ma è valida per ogni contesto cittadino italiano e straniero dove oramai si vive senza averne la minima consapevolezza, anzi sembra quasi figo e bello non pensare. La cosa triste è legata soprattutto a persone nate/cresciute in provincia, campagna, montagna, sud Italia. Una specie di nuova emigrazione dei ricchi questa volta non dei poveri come nel dopoguerra: si va a studiare fuori a caro prezzo, si fa un master importante all’estero a caro prezzo, si entra a lavorare nel campo “creativo” per aziende che ti sfruttano completamente per fini esclusivamente economici facendoti però sentire importante e parte di loro, ci si fidanza e si mette su famiglia in ufficio e si tagliano le radici con la propria terra. E’ un procedimento automatico, funziona così è basta. Qualcuno ogni tanto si sveglia e torna all’ovile, ma ovviamente non ci sono le condizioni e presupposti per un minimo cambiamento anche perché molte volte quelli che tornano all’ovile lo fanno col modello imparato durante gli studi e lavorando per queste mega aziende. Tutto ciò ovviamente è molto triste come prendere un cane in città.”
Dio C’è fa riferimento al fenomeno urbano delle scritte omonime presenti sulle superstrade. L’andamento è un folk-punk molto eterodosso e dalla struttura sospesa che, ricitando i Pixies di Black Francis e Kim Deal, mi ha ricordato in maniera spontanea There Goes My Gun (presente in Doolittle). Parlateci della sua storia e probabili ispirazioni.
“Ho avuto l’idea della canzone quando tornando da un giro in moto a La Verna in casentino, nel nulla, su una strada di montagna è apparso questo cartello. La gita era stata mistica, insomma ero andato a trovare San Francesco e l’apparizione del cartello mi è sembrato un segno per scrivere la canzone. In provincia e in posti come quelli dove sono nato e cresciuto, la droga era una delle poche scappatoie alla noia, non la trovavi al parchetto come in città ma in posti isolati. La leggenda dei cartelli può essere vera ma sicuramente c’è chi si divertiva anche a scrivere le scritte a caso in posti sperduti. Da piccolo vedevo questi cartelli dappertutto, credevo che li scrivesse eremiti o santoni che con quest’affermazione volevano dare una speranza anche ai non credenti… poi crescendo ho capito che voleva dire “Droga In Offerta Costo Economico” e ho riso un bel po’.
“Tornando al riferimento dei Pixies, sto ascoltando la canzone di cui parli che ha sicuramente una melodia e struttura che può far venire in mente “Dio c’è”. Penso semplicemente che ai Pixies piacessero i gruppi che piacciono a me, ho ascoltato tantissima musica sia vecchia che moderna e continuo negli ascolti e ricerche. Se dovessi elencare tutti gruppi che mi hanno segnato per tante cose diverse questa intervista diventerebbe lunghissima. Sicuramente gli ovvi Velvet Underground, poi Fugs, Deviants, Can, Faust, Rocket From the Tombs, Electric Eels, Pere Ubu, Devo, Spacemen 3, Jesus and Mary Chain e tanto garage sconosciuto e musica elettronica sperimentale del 900. Ecco forse i primi Jesus and Mary Chain sono stati una delle più grosse influenze per quanto riguarda la basilare struttura canzone con melodie riprese dagli anni 60 e l’introduzione del feedback come vera e propria cifra estetica delle proprie creazioni, certo i Velvet lo avevano fatto prima ma non in modo così estremo nella forma canzone. Dopo aver ascoltato per tanti anni rock americano e inglese ho capito che tutto veniva fuori dal blues dei neri e mi sono fatto anni di immersioni in questa musica con le radici in Africa che poi ha dato vita nel corso del 900 al r’n’r dei bianchi. Dopo quel blues sono passato al folk sconosciuto e alla tradizione popolare italiana, alle registrazioni sul campo di Diego Carpitella e Alan Lomax qui in italia. In pratica il mio percorso è stato come quello di un gambero. Ultimamente sto in fissa con tutto di Holly Golightly, Mr Airplane Man e Limes, ascoltateli vi faranno star bene.”
Parlando di altri progetti, sperimenti con jam insieme ad altri amici in Palùd, nel segno della psichedelìa sognante ma con i piedi saldi in un concreto rumorismo DIY quanto più pratico. Nel pezzo Come Mi Ha Fatto La Mamma Non Ricordo Nulla si avvicendano una batteria che procede autisticamente similmente ad Hallogallo dei Neu insieme a chitarre acustiche e fuzzatte. Il disco omonimo risulta essere uno psych garage con influenze pop abbinato ad una manualità intuizionista e meno astratta. Parlaci del progetto, dei nomi componenti, e dell’evoluzione del complesso. È ancora attivo il progetto?
“Il progetto Palùd è stato una cosa completamente non programmata ed estemporanea. Tornavo da un concerto che avevo fatto a Udine e mi sono fermato da Mauro, Agnese e Michele, amici storici musicisti di Ferrara, che conosco da quanto suonavo negli Ultra Twist nel 2008-2009. Michele suonava nei Larsen all’epoca, poi loro tre hanno formato i Captain Nemo diventati poi For Food e in seguito hanno formato i Dead Horses, gruppi non molto conosciuti ma di spessore fuori dal comune nel contesto italiano del sottosuolo degli ultimi anni. Con Michele aka Zufux ho fatto una delle prime cassette/splittt di Tab_ all’inizio del mio percorso, quando ancora cantavo zuppa-inglese style. Quello che è venuto fuori in quel giorno e mezzo di fine estate a Ferrara è stato magico, jam garage/blues/psichedeliche piene di noise. All’inizio il nome del progetto era Palude poi abbiamo deciso di chiamarlo Palùd che appunto vuol dire Palude in dialetto ferrarese, parola che rispecchia fedelmente le atmosfere di quello che è venuto fuori dalle jam nella loro sala prove che si trova proprio immersa in un tipico paesaggio paludoso padano. Non penso che Palùd abbia un futuro, almeno per quanto riguarda i live, sicuramente risuoneremo insieme e registreremo di nuovo quando ricapiterà, alla fine credo che si suoni per fare accadere occasioni per star insieme dove poter comunicare senza tante parole e discorsi, ecco in Palùd è accaduto questo.”
In duo con Massimo Avitabile (già nella one man band Number 71 Monobanda in cui si esibisce anche qui con chitarra e batteria) nasce Duodenum, progetto garage-punk dal forte tratto lo-fi, e in cui canti e suoni il kazoo. L’album My Life My Time è un lavoro in piena bassa fedeltà, in cui ogni pezzo viene annunciato inizialmente come prima take. Vengono riproposti alcuni brani di Tab_ularasa (La Mia Ragazza È Cieca e Basta Pasta) in una forma più abrasiva e molto più spontanea. Parlaci di come nasce il progetto e il suo stile visceralmente a bassa fedeltà.
“I duodenum sono una band storica, leggendaria per molti, esistono oramai da 13 anni. Ci siamo formati quando io e Massimino vivevamo a Roma/est nel 2010 e finché eravamo li insieme abbiamo fatto dischi e cassette autoprodotti a getto continuo con tour europei annessi. Poi io mi sono trasferito a Milano ed è stato impossibile continuare, c’è da dire che è anche passato un periodo di un certo tipo per il mio mood esistenziale. Non ci siamo mai sciolti e quando riesco a scendere a Napoli, dove è tornato a vivere Massimino, suoniamo e facciamo il concerto di rito. Nel nuovo e.p. ci sono delle registrazioni che non erano mai uscite del 2019, era arrivato il momento pubblicarle. Una sola canzone nel disco in realtà è mia, “basta pasta” mentre “la mia ragazza è cieca” è una mia traduzione/deturnamento di una canzone storica del blues “my baby is blind” che prima facevamo in inglese. Ci sono altre canzoni di Tab_Ularasa che facciamo in concerto e il motivo è proprio perché non riusciamo mai a vederci per comporre materiale nuovo; quindi faccio ascoltare i miei pezzi a Massimino che in un attimo trova i suoi giri e adatto i testi la metrica al suo stile e così la canzone diventa dei duodenum.”
Nell’album Guardare Sanremo (di Tab_ularasa) emerge una luce più candida e solare, in cui si sperimenta in maniera sempre eterodossa ma in maniera più oscura. Parlaci del processo creativo e il suo distanziamento di stile rispetto il precedente tuo album.
“Si hai proprio ragione è un disco molto più solare e ironico rispetto al precedente, fatto di canzoni e pezzi strumentali alla Punk Xerox. Il processo creativo è sempre lo stesso, suono quando sono preso bene. I nuovi pezzi nascono un po’ alla volta, a fine anno riascolto, seleziono quelli che mi piacciono, trovo una tematica relativa agli stati d’animo vissuti e poi quando ce n’è bisogno, gioco con le sovraincisioni di Punk Xerox per aggiungere delle atmosfere. Direi che è un disco folk psichedelico, certo ci sono alcuni pezzi punk marchio di fabbrica di Tab_Ularasa ma anche alcune lunghe tracce strumentali stile Punk Xerox. Mi piace molto improvvisare con la chitarra e le tastiere, mi rilassa un bel po’ e quando uno strumentale esce bene le parole lasciano il tempo che trovano. E’ il disco più lungo di sempre di Tab_ circa 42 minuti, ogni canzone che c’è dentro per me è importante ma sono molto affezionato a “dall’inizio alla fine e viceversa”. Penso che sia la cosa più estrema che abbia mai fatto, un mezzo giro di chitarra acustica messo in loop che potrebbe ripetersi all’infinito, una specie di battito di cuore fatto col suono di una chitarra acustica.”
Parlando dei pezzi di Guardare Sanremo, in particolar modo colpisce Se Metti Like A Me Io Metto Like A Te per la sua struttura a-melodica e rumorista, il cui nichilismo in senso lato riflette in un certo senso il paradigma delle interrelazioni sui social network tra utenti, la cui sinteticità conferisce al tutto un’impronta di alienazione. Parlaci del pezzo e quali concetti vuoi trasmettere all’ascoltatore con esso.
“Se Metti Like A Me Io Metto Like A Te è marchio di fabbrica Tab_Ularasa, impossibile trovare altri riferimenti esterni quando mi esce un pezzo così. E’ una canzone che ironizza sul meccanismo postumano del like. Come dici tu si tratta di pura alienazione ma non dal lavoro come nel 900, ma da meccanismi inverosimili oramai diventati normalità che annullano ogni processo di ragionamento e portano l’essere umano a diventare uno zombie telematico. Viviamo in un mondo di meme e i social network sono una droga pesante peggio dell’eroina. Ci si specchia in noi stessi e gli altri servono solo a darci dei like che dobbiamo contraccambiare per essere carini e gentili. I cervelli vanno in pappa e ciao ciao, siamo quasi al capolinea.”
C’è Un Cane Nuovo Nel Palazzo è quella che potrebbe definirsi la hit dell’album, frammentaria e con un hook unico come solo i Guided By Voices saprebbero fare, come nel lavoro della band di Robert Pollard Bee Thousand. Ogni pezzo può essere visto già come un universo a sé, e se ci sono atmosfere sognanti come drone, sono anche protagonisti suoni pop/lo-fi del tutto peculiari. Nel pezzo inoltre ci si immedesima in una ragazza, che a sua volta si immedesima in un cane, andando a costituire un interessante gioco di storie e meta-storie strutturato a scatole cinesi. Parlaci del pezzo, del suo significato e di come è nato.
“L’idea del pezzo è nata completamente a caso. A Dicembre scorso sono stato a suonare a Piacenza da cari amici. La mattina dopo siamo scesi a far colazione al bar e mentre uscivamo dal portone del palazzo la ragazza che mi ospitava vede un vicino con un cane ed esclama: “C’è un cane nuovo nel palazzo!!”. Questa frase mi si è subito stampata in testa, ho riso perché suonava troppo bene e ha innescato nella mia testa associazioni di situazioni che accadono quando si vive in città, a Milano avevo fatto anche il dog sitter. Sapevo da subito che sarebbe diventata una canzone, le parole sono venute fuori come per magia e anche il giro di chitarra appena sono tornato a casa. Mi accade spesso che da situazioni vissute in prima persona o frasi dette da qualcuno nascano delle canzoni. E’ successo anche per “cioccolato fondente”, anche li una ragazza aveva esclamato “io non mi drogo più oramai vivo solo di cioccolato fondente”, anche per “Dio C’è” come ho detto prima la dinamica di come è nata la canzone è stata molto simile, così come per altri pezzi di miei dischi vecchi. Non so è come se il mio cervello tenda a collegare visivamente situazioni e poi a far uscire parole che si collegano generando immagini, vignette o piccoli filmini. Sicuramente vivo in tanti mondi diversi dove i pensieri saltano di palo in frasca, non so quale sia la parola scientifica che descrive questa dinamica che per molti dottori sarebbe sicuramente classificata come un disturbo comportamentale. Forse soffro di “eccesso d’immaginazione”, osservo quello che accade intorno a me in modo quasi distaccato e fermo le situazioni in canzoni e tracce sonore.”
Viva La Trap rappresenta un esperimento insolito nella tua discografia, in cui si ostenta un atto di sbruffonaggine nei confronti di quel genere musicale commerciale e di derivazione hip hop che viene citato. Il pastiche tra trap e outsider music più bulla che mai è evidente, attraverso una situazione tra il dada e il cabaret. Inoltre con versi e linguacce, in generale in tutto l’album si sperimenta con più suoni, nel senso che la voce spazia facilmente nella sua potenzialità. Parlaci del pezzo citato all’inizio e come avviene quest’attitudine all’espansione.
““Viva La Trap” è una canzone ironica, una constatazione della situazione attuale della musica italiana e non solo. Nella canzone sparo a zero tutti generi e sottogeneri che per farsi notare e cercare di uscire fuori, operano con strategie di marketing spicciole, le loro proposte sono prodotti. Viviamo dentro un calderone trap-indie-italopop, tutto fa brodo per fare numeri, visualizzazioni e click che pagano la pubblicità e gli sponsor. A Sanremo ovviamente hanno capito che questo calderone di proposte serve, anzi è stata propria la ragione del suo rilancio in pompa magna, Sanremo adesso è come se fosse un megatalent che si svolge in 3 o 4 giorni invece che in qualche mese e oramai non è rimasto che guardarlo per parlarne, dire la propria e sentirsi vivi. Per quanto riguarda l’uso dello strumento voce hai perfettamente ragione, la voce è lo strumento musicale più potente e creativo per l’essere umano, basta pensare a Demetrio Stratos. Io ovviamente non riesco a gestirla in modo consapevole sia per quanto riguarda la musicalità e che il respiro, provo ad essere me stesso e ci gioco in modo spontaneo a volte escono belle cose a volte no, ma ci provo.”
L’esperienza di Tab_ularasa si interseca con quella di Punk Xerox, anche se in una forma più chitarristica. In Scale Nel Vuoto si sperimenta con flauto e chitarra, attraverso atmosfere ipnotiche e naïf, un progressismo chiaramente outsider. Volterra E Il Meglio Dell’Inghilterra è più una cavalcata psichedelica dalla struttura più costante. Parlaci del tuo legame con il progressive rock italiano, rappresentato in questo caso da MEV, Aktuala, Franco Battiato, etc… a cui sembri di più attingere per il tuo suono più arcaico.
“La musica psichedelica è la musica che mi piace di più da sempre, per me con il termine psichedelico s’intende tutto quello che lascia spazio all’immaginazione dell’ascoltare. Ogni genere di musica è psichedelico se fatto parlando di quello che ci circonda non in modo narrativo ma immaginifico. I pezzi strumentali sono sempre più psichedelici perché non ci sono le parole che in qualche modo condizionano i viaggi d’immaginazione dell’ascoltatore. Non sono un grande esperto del prog italiano che spesso è stato suonato da musicisti troppo tecnici e bravi per i miei gusti. Ecco la mia influenza psichedelica anche qui viene soprattutto dalla musica americana/inglese degli anni 60 e poi dagli ultimi 10 anni di ascolti di musica popolare arcaica italiana e afroamericana.
“Grazie 1000, Giovanni, per questa tua intervista/anteprima disco e per il lavoro che stai facendo con Nikilzine per il sottosuolo italiano che ancora vive ed esiste, nonostante tutte le difficoltà c’è ancora gente che con passione vive in modo diverso dalla massa. XO!”