THE HOT NIGHTS OF ATOMIK GORILLA
di Giovanni Panetta
Intervista al duo fiorentino formato da Massimiliano Sorrentini e Francesco Li Puma; si parla del loro primo album, Il Giorno Della Scommessa.
Atomik Gorilla

Cover de Il Giorno Della Scommessa (2020).

Nuova uscita, di qualche mese, per la tarantina HysM?, nella quale collaborano una vecchia conoscenza della label, ovvero Francesco Li Puma, e Massimiliano Sorrentini. Quest’ultimo, esordiente a Mantova, e adesso di stanza a Firenze, nel suo ruolo di batterista dallo stile strutturato e free allo stesso tempo, è un volto noto in ambito underground per aver fatto parte di diversi gruppi (Humans, Rootless, Rollerball, Blonde Zeros e Ja Vigiu Plamja), legati ad un suono sghembo ed eterodosso di genere jazz sotto l’egida della El Gallo Rojo, gestita da Danilo Gallo, Zeno De Rossi e Massimiliano stesso; egli inoltre, in quanto graphic designer di professione, ha curato anche le copertine di una gran parte delle uscite dell’etichetta appena citata. Frequenti le collaborazioni con molti altri artisti, tra cui anche con un doppio trio sotto la guida di John Wetton (bassista nei King Crimson dal 1972 al ’74, il quale ha il suo contributo in Larks’ Tongues In Aspic (1973), Starless And Bible Black e Red (entrambi 1974)).

Francesco Li Puma, di Firenze e per lo più bassista e sassofonista, ha lasciato la sua firma con progetti come Atomik Clocks e Panzanellas, legandosi ad ambienti funk/noise di derivazione no wave, e contaminandosi in parte anche con il free jazz; infatti in entrambe le band c’è un punto focale simile, ovvero un rumorismo che stravolge quelle strutture più classiche di origine afroamericana (nei Panzanellas sono centrali i pattern ritmici, cadenzati e allo stesso tempo in piena libertà).

Il duo succitato, chiamatosi Atomik Gorilla (in via per nulla casuale), il 3 Dicembre ha fatto uscire Il Giorno Della Scommessa. Un disco che naviga tra funk/hip hop storto e venature progressive, con un uso ponderato ed efficace dell’elettronica. Il lavoro parte da una jam sessions tra i due (basso e batteria, con delle parti in loop, e qualche linea di flauto da parte di Massimiliano) del 2019 alle sale prove del Black Dog di Firenze, che subirà un lavoro impegnativo di post-produzione; saranno infatti aggiunti inserti di synth analogico, flauto virtuale suonato tramite interfaccia MIDI, lyra-8 e altri suoni, tra cui degli audio estratti dal mondo del trash digitale, nell’idea di creare qualcosa di non convenzionale nella cornice del puro intrattenimento.

Abbiamo fatto maggiore chiarezza sull’album, la sua genesi e il suo contesto con Massimiliano e Francesco. Un’intervista che esplica quella situazione vissuta dai due nella luce delle origini di quei suoni. Di seguito le parole che approfondiscono l’ascolto della loro musica.

Allora, gli Atomik Gorilla offrono una spiccata attitudine alla sperimentazione attraverso un noise-prog-funk originale e in senso lato punk, permeato da rimandi per il trash dell’etere digitale. Ma come nasce e si sviluppa il progetto? Qual è l’origine dell’incontro tra voi, due anime dai background apparentemente diversi?

Massimiliano: “Ho conosciuto Francesco (Li Puma detto Puma) quando avevo il profilo Facebook che ora ho cancellato da qualche anno. Non ricordo bene la genesi di come ci siamo scovati ma sicuramente era amico di qualche amico. Di Francesco mi attrassero subito l’ironia, il modo che aveva di postare sempre cose buffe o meme spesso di stampo dichiaratamente nerd. Essendo il tipo di ironia che mi piace, quella un po’ da bar alla “cazzo di cane” per intenderci, gli chiesi l’amicizia. Il vero contatto umano avvenne qualche anno fa, quando Francesco fece un ordine di strumenti su un noto sito on line chiedendomi se volevo partecipare per condividere le spese di spedizione. Lo feci e qualche tempo dopo lui fu così gentile da recapitarmi le bacchette (che avevo ordinato insieme a lui) di persona. Ci trovammo al bar e festeggiamo con un paio di Negroni, quando ancora questa prassi non era stata resa desueta dall’ormai tristemente noto virus. Da lì nacque qualcosa. Ci raccontammo nel tempo un po’ le nostre storie musicali che spesso erano una spalla su cui piangere. Musicalmente c’erano diversi punti in comune: l’hip hop (Beastie Boys su tutti), il prog anni ’70 sicuramente ma anche certe attitudini alla sperimentazione e un’idea condivisa sul concetto di improvvisazione come forma di espressione musicale principe. Francesco non ama il metal ad esempio (io sì) e forse nemmeno troppo il punk (ed io sì) anche se, in realtà, quelle attitudini gli sono molto vicine, a mio avviso. Il progetto nacque per caso da una session di prove organizzata da Francesco presso una sala prove piuttosto truce alle porte di Firenze. Credo fosse tarda estate. C’era un caldo bestia e la sala prove era deserta. Arrivai per primo e mi godetti il puzzo di mozziconi di sigaretta e birra che aleggiava nella parte esterna, tra i tavolini deserti di una specie di zona di ristoro post nucleare. Una situazione piuttosto punk che subito mi conquistò. Non avevamo mai suonato insieme per cui suonammo per più di due ore -con qualche ovvia pausa di necessaria reidratazione- improvvisando con basso e batteria. Io non toccavo lo strumento da almeno cinque mesi ma fu divertente. Scoprii, poi, che Puma aveva registrato le prove con uno Zoom digitale e iniziò ad insistere che voleva selezionare parti di quelle prove per pubblicarle. Le ascoltai ma, tranne qualche momento, non mi parevano così interessanti. Puma insistette, preparò i tagli del materiale selezionandolo, me lo rimandò. Decisi, allora, visto che stavo studiando alcuni software di editing musicali, di accettare la proposta con l’idea di comporre completamente i brani da zero. Di fatto c’erano solo basso e batteria, a volte in loop per minuti interi senza che succedesse niente e la cosa mi annoiava parecchio. Mi sembrò il materiale perfetto per costruirci su qualcosa. Iniziai per gioco con un brano e mi divertii molto. Sapevo di avere la massima libertà con Puma, sia sulla scelta dei suoni, sia sulla “composizione” e così feci. Nel frattempo Puma aggiunse una traccia di synth analogici ad ogni brano. A tutto il resto pensai io. Va detto che Puma all’inizio non era convinto di questa scelta “prog” di post-produzione. Ci furono alcuni scambi di idee (sempre via telematica, perché Puma è un fottuto nigga-nerd) e dopo aver trovato un terreno comune, cominciammo il lavoro. Ci trovammo saltuariamente a casa mia per ascoltare e mixare di volta in volta i brani e il resto è storia (si fa per dire). Oggi sono grato a Puma di avere insistito poiché erano anni che non mi divertivo in questo modo a fare musica. Questo lavoro arrivò, tra l’altro, in un momento per me piuttosto delicato. Dopo ventincinque anni di musica vissuta a fasi alterne in ambito professionistico, avevo deciso di mollare. Mi ero stufato delle persone, del clima competitivo, del dover fare carte false ogni volta per ottenere, di fatto, le briciole. Nel corso della mia “non carriera” musicale -come amo definirla- ho calcato palchi di ogni tipo, in giro per il mondo e non, con artisti famosi, molto famosi e non e ne avevo le palle piene di dover tributare onori a qualcuno, ogni volta, dovendo magari rimarcare chi fossi e cos’avessi fatto per far capire che non fossi l’ultimo degli stronzi. Mi sembrava ridicolo e senza senso. Tornai quindi al punk, alle mie origini. Prima del jazz, del rock e degli esperimenti di avanguardia, sono nato con il metal e il punk, non ho ascoltato altro dai 10 ai 18 anni. Tornare a questo approccio, a questa attitudine di vita, mi ha ridato energia. Questa energia, soprattutto sotto forma di divertimento, ho cercato di metterla nel disco. Sono contento se qualcuno si divertirà ad ascoltarlo anche solo una volta. Non chiedo di più in quest’epoca dove la musica liquida, ormai, ha meno valore di un pacchetto di patatine al bar”.

Francesco: “Del nostro rapporto da prima platonico, attraverso i social, per poi diventare carnale in sala prove ne ha già parlato Massimiliano. Quando ho saputo che Massimiliano è stato in tour nel gruppo del mio assoluto idolo bassistico, non ho saputo resistere e gli ho proposto una jam insieme, volevo poter dire ai miei figli che “il vostro babbo un giorno ha suonato con il batterista di John Wetton!” Il progetto nasce proprio da quella jam improvvisata nell’agosto del 2019 (the Sorrentini and Li Puma hot nights…). Trovai particolarmente “felice/gayo” il suono ripreso dal registratorino, forse per pura fortuna dell’acustica della decadente sala prove. Io ero per una cosa più scarna e grezza poi Massimiliano è sbocciato (sbroccato?) in una miriade di samples e sovrapposizioni che han dato al progetto tutt’altra impronta. È la prima volta che mi trovo in un gruppo mio e non sono io a dare “la forma”. In un primo momento sono rimasto spiazzato, poi ho trovato la prospettiva molto divertente. La curiosità e l’ironia, unita all’approccio spontaneo alla musica, sono i punti di legame tra noi che ci hanno unito in una amicizia e complicità super”.

Atomik Gorilla

Locandina de Il Giorno Della Scommessa, disegni di Gabriele Forconi. Presenti come particolari, in basso a destra (sopra l’etichetta del “parental advisory”) i volti di Francesco Li Puma (a sinistra) e Massimiliano Sorrentini (a destra).

Rispetto ad Atomik Clocks, lo storico progetto di Francesco, c’è una novità non indifferente, che è l’utilizzo dell’elettronica. Infatti, attraverso l’esperienza di Su.De.Co., l’album de Il Giorno Della Scommessa è permeato anche da suoni digitali generati da synth e lyra-8, conferendo spessore e elasticità alle singole tracce. Vengono manifestate delle intuizioni più astratte e un modo di strutturare i pezzi a istanze, in particolare Tutti Noi Siamo Esseri Tenebrosi + Bèlo Lugosi. C’è una certo andamento centrifugo, in generale, che caratterizza il lavoro, diciamo molto barocco (in senso lato). Mi chiedo se è dovuto dalle formazioni musicali diverse di voi autori ed esecutori. Inoltre, tornando a prima, penso che Su.De.Co. di Francesco sia a metà di uno sviluppo che è culminato in Il Giorno Della Scommessa. Ce ne volete parlare?

Massimiliano: “Credo che su questo debba parlare Puma visto che parti da Su.De.Co. Essendo il “compositore” di tutti i brani in fase di post produzione, posso dirti che è avvenuto tutto quasi per caso mentre montavo le parti. A volte mi è capitato di usare un synth, a volte un campione, altre volte un fischio o una voce che poi ho trattato. Insomma è stato un lavoro di sperimentazione continua anche in base ai suoni che scoprivo e manipolavo in fase di montaggio. L’idea era quella di non usare mai cose uguali tra loro, di farsi guidare dal suono. Come spesso accade è il suono che mi detta la composizione e mai il contrario. Ogni brano nasce da sé, senza alcuna idea predefinita. In questo lavoro ho voluto seguire l’idea dell’improvvisazione radicale anche nella composizione in post produzione, sebbene poi il lavoro di labor limae successivo (compreso mix e mastering) sia stato parecchio. Ma le idee musicali sono state improvvisate e costruite in base ai suoni. Una sera stavo lavorando a quello che poi è divenuta Onanologia (Sulla Bomba Kebab) e, essendo estate, avevo le finestre spalancate. Stavo chiudendo il pezzo quando sentii dei cani abbaiare nelle case dei vicini e pensai “Wow! È perfetto!”. Da lì nacque l’intero finale del brano che credo ritengo forse la parte migliore. Questo per dirti qual è lo spirito con cui ho lavorato sui brani di Atomik Gorilla. Da anni seguo il motto di un amico ed eccellente trombonista di sede a Berlino, Gerhard Gschlössl, con cui ebbi il piacere di collaborare anni fa in diverse occasioni. Un giorno Gerhard mi disse una frase sibillina e bellissima: “Don’t worry about music. Every tune works“. Ed è vero. Ogni nota lavora, funziona, se lo fai in modo vero e non stai ciurlando nel manico. Non esistono note giuste o sbagliate. Come disse, un tempo, Ornette Coleman “La musica non è una questione di stile””.

Francesco: “In effetti l’elettronica mi sta dando buona parte dello stimolo creativo negli ultimi tempi ma approcciata come “strumento musicale” o “dispositivo sonoro”, ossia suonandola come si fa imbracciando uno strumento tradizionale, con tutto il relativo “sporco” esecutivo ed organicità legata al “suonare” e non al più usuale programmare e patternizzare parti ed eventi. Questa pratica, secondo me, è un po’ troppo “abusata” in questo ambito ed infatti questo tipo di approccio mi ci ha sempre tenuto lontano. Atomik Gorilla è sicuramente un ambiente creativo fondato sulla jam unta e puzzolente e l’elettricità/l’elettronica sguaiata ed irritante che ci apre scenari divertenti dal lato band, scenari che spero siano divertenti anche per chi dovesse ascoltare”.

Si gioca anche con generi più storici come jazz e prog, diciamo in un certo senso potrei dire “funkprog”. Per certi versi sembrate simulare il Miles Davis elettrico o James Chance And The Contortions, immersi in un noise rock spinto. Sicuramente una volontà di unire le due polarità di quella che potrebbe essere lo spettro delle attitudini in musica, anche se riferimenti al trash vi danno una facciata che propende sul lato più spensierato dell’intrattenimento. Solo apparenza, per quello che ho spiegato prima, ma quali sono i modelli di riferimento per la lavorazione dell’album?

Massimiliano: “Puoi trovare alcune delle influenze musicali nostre nei ringraziamenti dell’album ma non sono le sole. Ascolto musica tutti i giorni almeno cinque ore al giorno, da quando mi sveglio a quando vado a dormire. Spesso mi sveglio con un brano in testa o un riff, un ritmo. Se resto senza musica durante il giorno mi sento nudo e infreddolito, un po’ come la copertina di Linus. Negli ultimi anni è così, forse perché sto invecchiando… Sicuramente hai citato degli ascolti che conosco bene anche se il termine “simulare” non mi trova molto d’accordo. Tutti noi siamo il prodotto dei nostri ascolti, di quello che abbiamo suonato, provato ed ascoltato per tanti anni. Alla tenera età di 47 anni è chiaro che queste cose saltino fuori quando si fa musica. Tuttavia non c’è mai stata, almeno per me, l’idea di fare musica in questo progetto “alla maniera di”. Ho aperto il mio rubinetto ed è uscita questa roba e la cosa finisce lì. Anzi, ti dirò che questo è stato il primo disco che ho fatto dove non mi sono fatto paranoie di alcun genere. Il bello di quando esci dal campionato del professionismo (sic) è proprio questo: finalmente sei libero di fare il cazzo che vuoi senza dover pensare alla testa di cazzo di turno che giudicherà il tuo lavoro su qualche rivista, ai direttori dei Festival che non ti chiameranno perché sei “molto bravo ma troppo per il nostro pubblico” e tutta la merda con cui mi hanno riempito le orecchie in questi lunghi anni. Sebbene Atomik Gorilla sia un prodotto assolutamente post-moderno – e come giustamente osservi, nell’ottica del “pure-fun” – non voglio che risulti una cosa dal taglio citazionista hypster. Odio quei coglioni con la barba lunga, le chitarrine acustiche che fanno i versi a qualsiasi cantautore del passato. Odio i loro cazzo di calzini a righe, le bretelle, le piastrelle con le decorazioni diverse accostate: quella roba è buona per andare in passerella o sulle riviste dai parrucchieri ma di musica ce n’è ben poca lì in mezzo. Non credo che questa nostra merda sia hypster citazionista ma, se lo fosse, ditecelo subito che darò fuoco immediatamente a tutti i files del disco”.

Francesco: “Davis e James Chance sono per me tra le maggiori influenze, sono lusingato che tu ci accosti alle loro sonorità. Il nostro approccio “scanzonato” ci unisce negli intenti e nel tentativo di proporci gli anziani nerd incalliti che siamo. Il lato trash credo prenda sempre più contemporaneità e attualità. Diciamo che questa inclinazione forse è un tentativo di attualizzare la nostra proposta “artistica””.

L’album, uscito per la HysM? a Novembre, segna un’ennesima collaborazione con l’etichetta, che ha anche rilasciato le due uscite degli Atomik Clocks. Inoltre Stefano Spataro, uno dei co-proprietari, ha collaborato nell’EP Death Funk degli AC (artwork e contributo alla musica). Mi viene in mente il fatto che ancora una volta ci sono rapporti tra la musica di Firenze e quella di Taranto, ma forse è un collegamento decontestualizzato da quello effettivo e sicuramente abbastanza prevedibile. Ma in ogni caso, ci vuoi parlare di come nasce questo grado di separazione tra te e la HysM?

Massimiliano: “Il contatto con la HysM? viene da Francesco che credo sia la persona più indicata a parlarti di questa cosa. Dal canto mio posso preannunciarti che, grazie a questa collaborazione, mi è tornata la voglia di mettere in piedi una mia etichetta personale alla quale sto già lavorando con due miei amici musicisti “storici”: Nelide Bandello e Juri Daolmi.
“Ho fatto parte di un collettivo di musicisti (che era anche etichetta) per undici anni, El Gallo Rojo, con cui abbiamo curato più di 70 dischi. Oltre a partecipare come musicista su diversi album mi sono occupato da sempre della grafica editoriale della label, del collettivo e delle uscite discografiche. Credo, dunque, di aver sviluppato sufficiente know-how per potermi occupare personalmente delle mie prossime produzioni. Anche per questo, sono grato alla HysM del loro lavoro e di avermi stimolato a rimettermi in pista con nuovi progetti e produzioni. La nuova label si chiama WhiteOut Records. Stiamo lavorando al sito e nei prossimi mesi ne vedrete delle belle, spero. Stay tuned, come dicono i “già giovani””.

Francesco: “Stefano e Jacopo sono miei amici da più di un decennio, più precisamente siamo componenti di un nucleo di amici Taranto/Fiorentini memers di quart’ordine, soci di zingarate digitali e collaborazioni musicali delle più truci. Ci unisce l’approccio alla musica come “sacro gioco”, ossia un rito pagano ancestrale spontaneo tra niggers (ghetto bros).
“Ogni occasione è più che buona per unire le nostre contorte meningi in oscure e scoppiettanti collaborazioni lo-fi. L’approccio alla musica è per noi una cosa estremamente seria e da fare solo con attitudine sincera: poi possiamo prenderci per il culo fino alla morte ma la musica sincera è l’unica cosa che ci guida”.

Affrontiamo un discorso, diciamo, leggero. Parlando della scelta dei nomi, da cosa deriva il titolo de Il Giorno Della Scommessa? Inoltre con il nome del vostro duo c’è sicuramente assonanza con il precedente e storico gruppo di Francesco; ma perché “Atomik Gorilla”?

Massimiliano: “Il titolo del disco e il nome del gruppo nascono da una mia idea che Francesco ha subito abbracciato con il suo leggendario entusiasmo. Il titolo del disco nasce dall’idea di utilizzare l’italiano invece del solito inglese che avrebbe anche rotto il cazzo. Una mattina, nel dormiveglia, mi venne in mente dal nulla questo titolo e lo proposi a Puma. Di questo titolo mi piace il tono vagamente western o da serie poliziesca anni settanta (che sono poi gli anni in cui siamo cresciuti). Se proprio devo cercare un significato direi che la scommessa è aver finito questo disco e che il giorno della scommessa fu quel caldo agosto in cui registrammo quelle prove. Ma il giorno della scommessa è, invero, quel senso che hai quando ti svegli al mattino d’estate, intorpidito dal caldo, e sai che quel giorno è quello della “scommessa”. Il giorno della scommessa è il tempo che precede quella cosa importante, pericolosa in cui potresti vincere o perdere clamorosamente.
“Atomik Gorilla era un nome che avevo nel cassetto da anni e che qui mi pareva perfetto: Atomik, ossia il principale gruppo di Puma, e Gorilla, che sarei io. Ma Atomic Gorilla fu il nome che diedi alla mia prima composizione al computer (una impro a caso su una midi keyboard con il suono del vibrafono digitale) circa undici anni fa. Volevo inserire questo pezzo nell’album ma non sono ancora riuscito trovarlo nel marasma dei miei file di backup. Ho sempre pensato, poi, all’immagine di una specie di Donkey Kong radioattivo anche se, alla fine, per la cover ho utilizzato questi magnifici lavori fatti dal nipote della mia compagna, Gabriele Forconi il quale, quando li realizzò, aveva solo sei anni. Li trovo geniali e meravigliosi. Pensa che li avevo proposti almeno ad altri tre artisti che mi avevano chiesto delle grafiche per i loro album ed erano stati sempre rifiutati. Nessuno aveva avuto il coraggio di usarli e finalmente è arrivato il momento. Sono molto contento anche di questa scelta che manda a fare in culo tutti quelli che vogliono le cose “avanti” ma quando gliele proponi, poi, vogliono tornare alle cose fighette. Fuck off”!

Francesco: “Massimiano ha deciso tutto questo, lui a volte usa sostanze particolari e sicuramente questo lo hanno aiutato nella genesi di tutto ciò”.

Per concludere, speriamo di vedervi almeno in qualche piccolo tour, una volta che questo periodo difficile sarà finito. Nel frattempo, quali novità interessanti in musica ci saranno da parte vostra, insieme o separatamente? Inoltre si proseguirà con i progetti Atomik Clocks e Panzanellas?

Massimiliano: “Se continua così forse riusciremo a fare il capitolo numero due ad agosto 2021. Ma altri progetti bollono in pentola e vedremo cosa salterà fuori. Credo sarà impossibile portare in tour “Il Giorno Della Scommessa” vista la mole di suoni e campioni che lo compongono: dovremmo essere almeno in quattro. Più probabile che tu ci possa vedere suonare insieme in qualche altro progetto più smart ed essenziale, quelli che fanno la gioia di Puma, insomma. A dirti la verità non so nemmeno se avrò voglia di esibirmi dal vivo nei prossimi mesi o anni. Non vorrei aprire la solita lagna del musicista ma suonare live è diventato impossibile oltre che frustrante. Suonare dal vivo in Italia (e non solo qui) significa dover fare i conti con problemi di ogni tipo, in primis, manco a dirlo, quelli di tipo economici. Ti dico solo che l’esperimento della vendita ad 1 euro di questo disco ha avuto anche quel senso. La gente pensa che i musicisti vivano di aria pura, di sentimenti e di acqua piovana. Spendono 10 euro per una margherita bio di merda ma non per un disco o il biglietto di un concerto. Sono ormai decenni che questo costume si è sedimentato in Italia e non c’è verso di eradicarlo. Sono pochi i luoghi e le persone che amano fare musica e lo fanno bene, con rispetto per ciò che il musicista fa. Ci sono, ma sono troppo pochi, senza contare che la situazione Covid-19 credo abbia raso al suolo quel poco che era rimasto per la musica “indipendente”. Non sono nemmeno convinto che alle persone (giovani e non) interessi qualcosa della musica dal vivo, visto che quando sono ai concerti stanno sempre attaccati agli smartphone. Anche qui ci sono le eccezioni, ossia quelli che amano vivere la musica per ciò che è ma sono troppo pochi. I concerti sono diventati ormai “eventi social” dove la musica passa in secondo -o ultimo- piano e a me non frega un cazzo di partecipare a questo baraccone perché me ne sono tornato a casa al verde e con il giramento di coglioni troppe volte. Tanto per dirti mentre ti rispondevo Puma mi ha inviato un’immagine della Ferragni che posa con il suo disco d’oro e di platino. Suppongo che ogni commento sia superfluo. Meglio continuare a divertirci come possiamo nel nostro piccolo porcilaio, allora? Il dibattito rimane aperto.
“Ovvio che se volete invitarci in Puglia possiamo scendere con i nostri marchingegni a farvi qualche ora di improvvisazione radicale digitale. Se ci fate trovare basso e batteria suoniamo anche quelli. Ma lo facciamo per puro divertimento e, sia chiaro, le libagioni dovranno abbondare come nei riti sacrificali dal cui etimo provengono”.

Francesco: “Virus e impegni familiari permettendo, quindi chissà come e quando, sarebbe super poter suonare live ancora. Sono convinto che anche se questo, parlando a livello social digitale, non ha quasi più senso, ne ha invece a livello “umano”, ossia per i (pochi) “cristi” partecipanti potrebbe essere un bel trip capace di stempiare anche il più villoso dei partecipanti (immaginari). Dal lato Atomik Clocks Marco (Ruggiero, batterista e componente storico, ndr) ed io abbiamo delle lunghe composizioni stratificate suonate in duo che potrebbero prendere luce non appena le pandemie saranno debellate. Sul versante Panzanellas una nuova pubblicazione è in cantiere: si tratta, anche qui, di crude improvvisazioni strillanti con successive manipolazioni malate che potrebbero incendiare il pianeta il prossimo anno”.

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