SYNTH PUNK: L’ESORDIO FULL-LENGTH DEGLI HALLELUJAH!
di Giovanni Panetta
Recensione di Wanna Dance degli Hallelujah!.
wanna dance

Cover di Wanna Dance (2020).

Lo scorso 21 Febbraio è uscito Wanna Dance, l’ultimo e primo disco full-length degli Hallelujah!; un album a tutti gli effetti punk suonato senza il supporto di nessuna chitarra. La band di origine trentina-veronese tra suoni periodici di synth e drum machine e distorsioni provocate tramite un microfono a contatto, offre un garage punk distorto che viene influenzata da una cosmicità in senso krautrock. Suono che a volte sviene e si riprende, si esacerba tramite la scompostezza dei feedback, delle urla del vocalist Scoia, mentre la sezione ritmica va lungo la tangente come se andasse alla deriva, mostrando un nuovo volto della follia deviato e naïf. Pink Socks e Champagne sono un valore aggiunto per quanto riguarda il discorso dei feedback, mentre in Minipony il gruppo mostra il suo potenziale ritmico attingendo al kraut o ad un suono spaziale simile ai Chrome. La title-track si mantiene in territori più classici, ma sa essere incalzante con il suo pop scorretto. Al termine troviamo Alter Ego, un viaggio lisergico in cui si entra in un altra dimensione dove, durante i suoi sette minuti, intorno alla batteria ondivaga di Laura Campana girano a spirale le distorsioni synth di Scoia e Federico Grella.
Un album interessante in questi tempi difficili, e non a caso pubblicato dalla Maple Death che fa dono di tante novità interessanti.

Colgo l’occasione di riparlare di Wanna Dance, dal momento che intervistai il gruppo per la webzine In Your Eyes ezine (potete trovare l’articolo qui).

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