SIMONE FARACI: L’ELETTRONICA DÀ SPAZIO ALLA VOCE
di Giovanni Panetta
Intervista a Simone Faraci, artista elettronico di stanza a Bologna che da poco ha pubblicato Echo Ex Machina (2021), in cui è protagonista la voce inanimata della nuova Era della Comunicazione.
Echo Ex Macina

Cover di Echo Ex Machina (2021), realizzata da Valerio Immordino.

Simone Faraci, originariamente impegnato nel campo della musica classica per poi interessarsi all’aspetto elettronico del suono dal 2015, pubblica il suo esordio il 2 Ottobre 2021, per l’etichetta bolognese Slowth, dal titolo Echo Ex Machina, album che inserisce in un contesto sintetico, elastico e distorto una parte delle Metamorfosi dell’autore classico Publio Ovidio Nasone, incentrata sul mito di Echo. Dal punto di vista della sua realizzazione, la release è attraversata da reel provenienti da Instagram (presenti nella traccia Scroll Macabre) e si fa uso di algoritmi randomici (più evidenti in Τυέρτι), con la collaborazione di Agnese Banti come performer vocale, di Matteo Pastorello al mastering, e Valerio Immordino alla realizzazione dell’artwork, in cui viene mostrato la concettualizzazione/scomposizione dell’architettura stilizzata di un’abitazione in uno stile bauhausiano.

Faraci esordisce con la composizione acusmatica Di Piccole Forze, pubblicata il 2017 sulla raccolta Contemporanea Acusmatica per l’etichetta friulana Taukay. Successivamente fonda, insieme ad altri musicisti dell’area bolognese il collettivo di improvvisazione Minus – Collettivo d’Improvvisazione, che ha pubblicato per il momento tre album, Sintagmi (2019, in collaborazione con Daniele Carcassi e Giovanni Onorato), RONUD (2020) e CASA BASE (uscito il 18 Giugno 2021).

Sintagmi esprime uno sperimentalismo plastico, ricalcando dettagli sconnessi di oggetti regolarmente simmetrici (concetto richiamato dall’artwork), attraverso un completo uso dell’elettronica, in cui è presente un tratto estemporaneo. La traccia Back To Silence, composta attraverso il sistema di improvvisazione di Francesco Giomi, ne è un fulgido esempio, in cui contrariamente al resto si gioca con il silenzio, in maniera netta ed eterodossa.

Per quanto riguarda ROUND, il suo processo di creazione si è svolto nello storico centro di ricerca, produzione e didattica di musica Tempo Reale, fondato nel 1987 da Luciano Berio. In occasione del suo venticinquesimo anniversario di nascita, è stata inaugurata il 2012 la collana discografica Tempo Reale Collection che documenta il lavoro svolto da musicisti del posto più collaboratori esterni, nonché internazionali. La dodicesima uscita, ROUND, vede il collettivo sopracitato alle prese di un flusso inconscio collettivo, tra linee free-form di clarinetto o sassofono di Giacomo Bertocchi e Filippo Cassani, sample disposti casualmente, tra cronaca storica e intrattenimento, di Giovanni Magaglio, e feedback e distorsioni ad opera di Francesco Perissi e Matteo Pastorello.

Minus

Minus dal vivo. Foto di Roberto Deri.

CASA BASE invece ha una struttura del suono più organica e ordinata. Ciascun pezzo è frutto di un’improvvisazione da parte di due componenti di Minus, i quali, in quell’occasione, si trovano a creare lontani nelle loro rispettive abitazioni (siamo in periodo di lockdown). Altra caratteristica è la sinteticità caratterizzata da sperimentazioni noise/avant e plastiche. Molto spesso il suono è più scampanellante, rotondo e caloroso (#1, con Giorgio Magaglino e Matteo Pastorello), altre volte più algido e legato ad sonorità techno elasticamente cadenzate e poco ordinarie (#2, eseguita da Mattia Loris Siboni e Daniele Carcassi); la terza traccia (#3, con Simone Faraci e Niccolò Salvi) ha una consistenza più rarefatta che si esacerba in picchi di denso caos harsh noise che si ripetono a cadenza variabile; mentre nella #4, in cui i performer sono Federico Pipia e Biagio Cavallo (quest’ultimo collabora con il collettivo dall’esterno), vi è la presenza di un basso accoppiato alla consueta elettronica, in cui il tutto da un tocco più rumorista il linea a quel formato performativo.

Per quanto riguarda più nello specifico Echo Ex Machina, abbiamo intervistato Simone Faraci per quanto riguarda la realizzazione del suo debutto, andando ad approfondire anche i precedenti lavori in solo.

Cominciando dal principio, come nasce e si evolve il concept Echo Ex Machina, il tuo primo album, per Slowth Records? Come mai la scelta di questo artigianato inquietante e malsano all’insegna della sampling music, noise elettronico, e registrazioni proprie? E come avviene la collaborazione con la Slowth?

“Il progetto è nato da Tempo Reale che, nel febbraio 2021, mi ha commissionato un solo sul tema della voce per il ciclo di concerti online StudioVox. Così è nato un embrione live di quello che poi è diventato il disco. Mi fa piacere che tu lo definisca artigianato perché è esattamente come intendo il mio lavoro. Il montaggio per me rimane al centro del processo compositivo ed è il mio strumento espressivo. Con Slowth abbiamo discusso a fondo di alcune proposte, e abbiamo deciso di puntare su questo progetto che abbiamo plasmato insieme.”

Cosa ti ha affascinato delle Metamorfosi di Ovidio, e come vedi collocato il racconto di Echo nel contesto contemporaneo e nella moderna Età dell’Informazione, in cui il flusso di dati è più organico e torrenziale?

“Il racconto di Eco e Narciso è uno dei più profondi e affascinanti della storia, può essere letto da moltissimi punti di vista. L’aspetto che più mi interessa è la separazione della voce dal corpo: Echo perde il corpo e diviene sola voce, costretta a ripetere cose dette da altri all’infinito. Nell’età dell’informazione le nostre voci sono sempre più separate dai nostri corpi, cosa che mi spaventa un po’.”

Parlando dei pezzi contenuti nel tuo lavoro, Scroll Macabre è un flusso aleatorio, deforme e oscuramente lisergico di campioni estratti da reel. Tali frammenti presi singolarmente infondono la vera essenza dell’intrattenimento dal web ipnoticamente ricorrente; vuoto empatico e razionale. Invece la combinazione di questi sample più l’arricchimento dell’elettronica, in forma sensazionalmente vertiginosa e claustrofobica, riflette la politica del mondo dei media all’insegna della mera comunicazione, ovvero del coinvolgere un pubblico quanto più ampio. A volte l’ascolto della musica, seppur strumentale, è simile alla lettura di un testo, quindi ti chiedo: a livello sintattico (tecniche e strumentazione digitale) e semantico (lo schema della musica che vuole trasmettere) come avviene il corso della creazione di questo pezzo? Possiamo parlare di mercificazione del dato come tema preponderante di Scroll Macabre?

“Scroll Macabre è nata come una improvvisazione in cui dal vivo “suonavo” i reel di Instagram come se fossero sample in un campionatore, elaborandoli in tempo reale. Per il disco ho campionato più di quaranta minuti di reel che ho montato in un secondo momento. Tutti i suoni che si possono sentire in Scroll Macabre provengono da quei campionamenti. La tecnica del montaggio mi ha consentito di proporre uno pseudo-discorso in cui il senso nasce dall’accostamento casuale di alcuni frammenti. È una rappresentazione della attività dello scrolling che è entrata ormai nel nostro quotidiano, e che costringe la nostra mente in una sfiancante attività di costruzione di senso intorno a una marea informazioni sconnesse. Una attività che spesso ci aliena, rendendo i nostri dispositivi degli oggetti transizionali, dei ciucci digitali che ci fanno sentire sicuri. Tutto questo è per me abbastanza inquietante.”

La seconda traccia, Τυέρτι, gioca con il concetto di distanza ribaltando la natura del suono, ovvero registrazioni della performer vocale Agnese Banti manipolate digitalmente, con un riverbero grave dominante, tra una parte e l’atra, delle parti monosillabe (e alterate), per poi esacerbarsi in un caos parlato ed elettronica sparsa. Il tema dell’Eco è dominante ma in una forma diversa; la parola, che diventa la sua rappresentazione, si evolve in un flusso di parole vitale in continuo divenire; L’informazione digitale muta, attraversa l’uomo e incorre a bias, diventando parte necessaria del discorso storico. Volevi infondere questa sensazione con quei significati di suoni? Qual è il racconto, frammentario o meno, delle parole di Agnese Banti?

“In Τυέρτι non c’è nessun racconto. L’improvvisazione su una serie di sillabe di Agnese Banti gioca sulla necessità della nostra mente di trovare un significato ai suoni, soprattutto quando provengono da una voce umana. Le sillabe sono state date in pasto a un algoritmo randomico che inconsapevolmente ha creato parole senza alcun reale significato, ma che la nostra mente si sforzerà sicuramente di provare a capire.”

Simone Faraci

Simone Faraci live. Foto di Roberto Deri.

In Metamòrpho si viaggia ancora in territori oscuri e elastici, in cui iconica e la cadenza ritmica elettronica (poi manipolata), a cui si aggiunge un qualcosa di simile a urla o mugolii grotteschi, che rimandano a creature sarcastiche, ma al contempo sembra che il contesto evochi un parto di una nuova entità (attraverso un suono più stilizzato). Come nasce l’idea di quei suoni più bellici o mefistofelici, che potrebbero avere come idea profonda qualcosa di austero?

“In Metamòrpho si comincia a scavare nella dimensione profonda della voce, quella preverbale, più corporale e primitiva. Questa viene accostata dialetticamente a una voce separata dal corpo attraverso il filtro del vocoder. Le due dimensioni opposte non riescono però a trovare una sintesi, rimanendo in una dialettica negativa che trova pace solo nel riposo del corpo.”

Vox Aeterna è pervasa da un’atmosfera più mistica e familiare al contempo. Vi sono sprazzi di minimalismo sacro, come un intermezzo sonicamente poetico per l’ascolto del lavoro, in cui è caratteristica la voce di Agnese Banti, catartica e essenziale; l’eco si purifica per assumere un’impostazione distorta da altri elementi che seguiranno nella traccia successiva. Vox Aeterna rappresenta la quintessenza più profonda dell’informazione?

“Vox Aeterna è una finestra sul canto, sulla dimensione più aerea e spirituale della voce. Non so se parlerei più di informazione o di comunicazione per quello che riguarda questa composizione; siamo in una dimensione diversa, sospesa e senza tempo, tant’è che l’aspetto ritmico è praticamente assente.”

Simone Faraci

Simone Faraci. Foto di Anna Messere.

Apparatus [songmachine] è caratterizzata da un lavoro più organico e subliminalmente lirico, controparte automatica della precedente traccia. La parte ritmica, insieme alle voci indistinguibili tra loro, descrive pattern matematici, attraverso un’epifania che si presenta come una meditata confusione tra suono analogico e segnale digitale. Le parti vocali, di Agnese Banti, spettrali, sinfoniche, o percussive e filtrate dall’autotune avvolgono la release nelle loro molteplici forme, rappresentazione metaforica di un dato estratto dalla natura (la voce umana) è destinato a deformarsi attraverso varie forme, come un eco con un’anima. Come avviene l’idea di questa conclusione e l’organicità del ritmo o microritmo?

“Apparatus [songmachine] è stato il primo brano che ho composto, l’ultima parte di quel solo che si può ancora vedere sul canale YouTube di Tempo Reale. È anche la parte che ha subito meno modifiche sul disco. Apparatus [songmachine] è un finale, in cui compaiono elementi da tutti i brani precedenti, quasi a riassumere tutto il discorso. Ma è anche un’immaginaria macchina del canto, in cui la voce viene trasfigurata in mille forme e inserita in un linguaggio propriamente musicale.

“A livello ritmico ho voluto utilizzare una fitta stratificazione, in cui non c’è sincronizzazione, per ricreare un paesaggio sonoro che richiami al tempo stesso l’idea di automazione ma anche una certa disarmonia.”

Parlando di altri lavori, iconica è la tua collaborazione nelle due antologie sonore BolognaSound (Vol.1-2) di artisti della scena elettronica bolognese. Se, grossomodo, Vol.1 tende ad avere un suono più nitido, il secondo volume di BolognaSound tende ad essere più graffiante, come rispettivamente viene dimostrato in Un Giardino Improvviso e Back To Silence (quest’ultima in collaborazione con Francesco Giomi). Le tue tracce presentano elementi molto simili in Echo Ex Machina, in una forma più pura e lucente, o più rarefatta e harsh, in cui si sperimenta con il silenzio, l’arte del sampling e il suono verbale. Qual è il tuo legame con la scena di Bologna? Pensi che si sia costituito un legame simbiotico nei tuoi confronti che ha corroborato la tua scrittura, come in Echo Ex Machina?

“La scena bolognese, che al momento considero una delle più ricche e vitali in Italia, è caratterizzata da una enorme pluralità di forme e stili. Credo sicuramente di aver ricevuto una influenza decisiva nel mio percorso di ricerca tanto dallo studio accademico quanto dall’humus culturale in cui sono stato immerso negli ultimi anni. I lavori che hai citato, inseriti nelle due antologie di Slowth Records, hanno storie molto diverse. Un Giardino Improvviso è una composizione acusmatica, anche questa una commissione di Tempo Reale, in cui ho iniziato il mio percorso di ricerca sulla voce, lavorando con Valeria Girelli, un’attrice bravissima. Back To Silence è un sistema di improvvisazione ideato da Francesco Giomi, che ho suonato con lui diverse volte, sia in duo che in formazioni più grandi. Nel disco è presente una sessione di improvvisazione registrata apposta per il disco. In BolognaSound vol.2 c’è anche una traccia di Minus – Collettivo d’Improvvisazione, che ho fondato insieme ad altri musicisti della scena bolognese nel 2017, e che si dedica completamente alla ricerca sull’improvvisazione elettroacustica.”

Un altro lavoro è quello che compare nell’antologia Contemporanea Acusmatica, una raccolta di studi di ricerca ancora più legati alla musica contemporanea. Di Piccole Forze è più legata al rumore elettronico, come glitch o parti microritmiche intense. È interessante come lo studio accademico incontra il rumorismo più moderno, attraverso una trasposizione che unisce (in un certo senso) pop e avanguardia. Qual è il percorso di questa traccia? Come elabori questo influsso più recondito di elementi popolari (in senso lato), come avviene in parte anche in Echo Ex Machina?

“Di Piccole Forze è stata la mia prima composizione acusmatica, molto incentrata sulla ricerca sonora. In generale io cerco di non definire a priori dei confini stilistici ma di lasciarmi guidare nella composizione dai materiali con cui lavoro. Così come non mi interessa definire il mio lavoro nei confini di un genere. Mi considero un ascoltatore onnivoro, attento e curioso, e dai miei ascolti credo di aver accumulato una serie di strumenti compositivi che cerco poi di mettere sempre a disposizione del materiale sonoro. Ho fatto così per Di Piccole Forze e anche per Echo Ex Machina.”

Per concludere, parlaci del tuo futuro artistico; quali saranno i prossimi concerti o tour? Quali saranno i nuovi elementi che arricchiranno i tuoi prossimi lavori?

“In questo momento sto lavorando con Maria Caterina Frani a uno spettacolo su Amelia Rosselli, Ho una voglia di andare a Parigi. Siamo andati in scena a Firenze il 3 dicembre e la prossima data sarà a Prato il 17 dicembre, al teatro Magnolfi.

“Mi interessa molto il lavoro con la voce dal vivo, in una dimensione più vicina al teatro, con Minus abbiamo di recente messo in scena a Bologna Havèl, con Valeria Girelli, che speriamo di portare presto in altri contesti.

“Sto già progettando un nuovo disco, la cui sonorità credo sarà completamente diversa da Echo Ex Machina. Ci sarà sicuramente più improvvisazione e forse anche un po’ di rock… chissà. Senz’altro avrà una gestazione lunga.”

Un ringraziamento speciale al press office Digipur per il materiale sonoro, visivo e informativo concessomi molto gentilmente. 

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