L’hardcore punk ha come significato di fondo la libertà di pensiero e di azione di un individuo o di una comunità, a livello generale ma soprattutto diffondendo quel verbo da una certa classe proletaria amante di sonorità potenti, distorte e molto spesso dissonanti. Nell’area ionica uno dei casi più emblematici è quello degli SFC (So Fuckin’ Confused), paragonabile ai colleghi Hobophobic, Sud Disorder, Rozza Crew, più recentemente Carne e altri protagonisti. Il suono degli SFC combina temi di impegno politico (in senso lato) con caos dissonante, dove il basso di Enrico De Vincentiis (unico membro fisso della formazione) scandisce un’aritmia simile a quella di Minutemen e NoMeansNo. Di recente il gruppo hardcore tarantino, dopo il precedente album Bad News From Jonio Waste (del Giugno 2017, per Dischirozzi, MAD Productions e Choices From Your Own), ha pubblicato un EP, ovvero Jonic Deathrow Manifesto (uscito il 25 Gennaio 2021, per le seguenti etichette: Torture Records, L’Oltraggio Autoproduzioni, Peretta Core Zine Distro Label, MAD Productions, Scatti Vorticosi DIY, Distruggi La Bassa, Barrio315, Impeto Records, Charles Records, Minoranza Autoproduzioni, TPIC Records e Terapia Intensiva). Un disco incentrato sul provincialismo e sui problemi della capitale jonica, in primis il moloch del siderurgico, presenza incombente e asfissiante in opposizione alla cultura locale e non solo, e al suo potenziale benefico.
Ne parliamo meglio di seguito con l’intervista a Enrico De Vincentiis in occasione di Jonic Deathrow Manifesto, una conversazione tra passato e futuro degli SFC.
Allora, Jonic Deathrow Manifesto nasce in un contesto difficile che è naturalmente quello della pandemia. Ma come trovano vita questi suoni tra hardcore, ska (dal punto di vista delle linee utilizzate) e un modo di comporre più eterodosso? Parlaci della lavorazione; chi ha partecipato ad essa?
“L’idea di fare uscire un nuovo disco non è nata da me stavolta. JDrM è un lavoro di insieme che è scaturito dal bisogno dei nuovi componenti del gruppo di mettersi in gioco a 360°, non soltanto rispetto all’attività live. Per quanto mi riguarda, al principio non sono stato molto convinto del progetto, anche perché tutti i dischi precedenti di SFC erano nati da canzoni che giravano nella mia testa per mesi (a volte anni, come nel caso dell’LP del 2017 ‘Bad news from Jonio Waste’). Ovviamente ho dovuto ricredermi: arrangiando le nuove tracce e scrivendo i testi sono entrato pian piano nello spirito del disco e lo strascico di quella spinta creativa sta portando ora alla creazione di nuove canzoni, sei finora, che ci prefiggiamo di fare uscire entro la fine di questo sciagurato 2021. Tornando alla composizione di Manifesto, abbiamo iniziato a provare nella primavera del 2020, registrato e mixato in autunno e siamo riusciti a mandare il disco in stampa prima di natale, centrando l’obiettivo di farlo uscire in concomitanza del trentesimo compleanno della band, nel gennaio di quest’anno. Insomma un tour de force che ha visto coinvolte molte individualità, distribuzioni e label del microcosmo DIY italico. Per quanto riguarda l’aspetto meramente stilistico, credo che l’EP (compresa la traccia scritta da Guido nel 98, finora inedita, anche se presente in alcune scalette live ormai da anni) rispecchi molte delle nostre caratteristiche classiche, anche se rimangono fuori a tratti alcune prerogative sonore di SFC, ovvero lo skacore e un HC furioso e melodico. Guarda caso, le stiamo ritrovando nella composizione del nuovo materiale”.
In Jonic Deathrow Manifesto si possono sentire Descendents e Screeching Weasel, ma è presento un modo di scrivere poco convenzionale riconducibile (forse) ai NoMeansNo. La struttura di ogni pezzo è più complessa, c’è un ribaltamento compositivo che rende il tutto interessante, fervido per una certa ortodossia che caratterizza il genere, e la componente ritmica offre sempre qualcosa in più al discorso musicale. Il tuo modo di suonare il basso mi ricorda in un certo senso Mike Watt o per l’appunto Rob Wright. D’altra parte in questo EP è più incentrato su un aspetto tradizionale che più ti caratterizza; il punk, e qualcosa che vuole generare dibattito all’interno del contesto cittadino. Il simbolo di Taras subisce una metamorfosi; uno scheletro al posto dell’eroe cittadino che può rappresentare decadenza oppure ottemperanza per le decisioni nette. Uno scenario dove la città appare divisa e discorde.
In più il disco quindi appare in certi punti magmatico, e c’è una maggiore stasi nel suono, attraverso la sua energia che potrebbe avere derivazione metal; gli SFC come molti gruppi punk italiani nati negli anni ’90 sono condizionati da vari generi, e non c’era forse quella rivalità tutta anglofila tra le varie subculture. Nella vostra musica in generale c’è in un certo senso rock’n’roll in senso proprio e molto dello spettro del punk. C’è da dire che il vostro ecclettismo in questo EP è più sospeso, forse più oscuro. Volevate concentrarvi nel concept “cittadino” più da un punto di vista verbale, facendo spazio maggiormente alle vostre idee? Inoltre come si colloca nel panorama del suo contesto Jonic Deathrow Manifesto?
“I gruppi che hai citato fanno parte del nostro background in maniera massiva, come del resto tanto punk statunitense di matrice west coast e parecchi gruppi hardcore della costa est. Amiamo il garage punk e lo youth crew style, il pop punk di matrice midwestern e tutti i classici del genere, siano essi americani, europei e soprattutto nostrani. Il calderone dei Confused è capiente, sempre in ebollizione e la ricetta è davvero composita e articolata. Sta di fatto che hai centrato in pieno due dei miei numi tutelari, ovvero Rob e Mike. Il terzo è Jello, che sta alla composizione delle mie liriche come i primi due stanno al carattere espresso dallo strimpellare e martorizzare il mio vecchio caro Precision (Rob Wright) e all’attitudine nel suonare punk rock hardcore e nel viverlo come un movimento e un moto dell’anima (Mike Watt). I NMN sono forse il mio gruppo d’elezione, o almeno si ritrovano nell’olimpo dei primi 5, quindi come negare che siano di enorme influenza per SFC. Questo non significa certo che ci prefiggiamo di suonare come quei mostri, ma di certo Mr Wright e Mr Wrong, insieme ad Andy Kerr prima e Tom Holliston poi, ci hanno indicato un bel tratto del cammino. Il simbolo della città trasmutato è una mia idea, resa possibile da Gigio di Torino (COV, Arturo, Nerorgasmo) (ovvero Luis Meamis, ndr) un amico di lunga data e artista multiforme che è riuscito benissimo a rendere il concetto che avevo immaginato: la metafora di una città ridotta all osso, incattivita, spolpata, privata delle sue forme di sostentamento primarie (Taras non ha la rete), eppure ancora viva e capace di offendere e restituire i colpi subiti. Questa seconda parte, quella che non si arrende, è rappresentata da chi porta avanti caparbiamente i progetti in cui crede, tenendosi fuori da giochi di potere miserabili e stantii, senza sperare in chissà cosa ma lottando nel presente. In questo senso JDrM rappresenta un pungolo, come quel tridente, idealmente puntato alla gola di chi ci vorrebbe arresi e sepolti da polvere e “cemmenefuttammè”, come a dire… si, siamo figli di questa terra, ma non ci arrendiamo ai suoi luoghi comuni e ai ricatti dei militari e della grande industria, non ci adeguiamo alla staticità e alla povertà culturale imperante. E’ vero che in questo disco la dimensione verbale ha una forte centralità, almeno quanto le chitarre la facevano da padrone in BNFJW, credo che dipenda dal fatto che non c’è stato un lungo lavoro di sviluppo delle canzoni, sono state arrangiate piuttosto velocemente, in un vortice di urgenza comunicativa, volevamo arrivare in tempo per questo trentennale ed esprimere quello che nel disco precedente non eravamo riusciti a tirar fuori”.
Il precedente lavoro, ovvero l’album Bad News From Jonio Waste, è più multiforme e movimentato, il disco che irradia un caleidoscopio tutto hardcore. Sembra essere un tributo ai Descendents e Minutemen insieme, speculare all’ultimo EP. Volevate offrire qualcosa di diverso in questo senso con JDM? Come mai questo excursus?
“BNFJW è stato un LP molto sofferto. La sua gestazione è durata tre anni e poi ce ne sono voluti altrettanti perché uscisse. Un vero parto difficile. Si proponeva di raccontare le cattive notizie, un po’ come in un magazine, quindi si parlava della città e di come l’avevo vissuta da quando ci ero tornato nel 2007 e delle visioni che mi aveva regalato. Manifesto invece è un’altra cosa. Intanto il formato EP 7” è più stringato, non ti permette di scialare col tempo a disposizione come si puo’ fare in un CD, ma tant’è, volevamo tornare a quel formato in vinile, era una conditio sine qua non. Le 5 tracce presenti su JDrM sono tenute insieme col filo spinato, non c’è un leit motif imperante: Netfix esprime la vacuità nell’era delle serie, a 20 anni dai fatti di Genova 2001. Una ¾ … è incentrata sullo scegliere una strada invece che un’altra, in una città dove la svolta sbagliata può portarti in territori ostili e dove i consigli e la vicinanza degli amici veri possono fare la differenza tra la vita e la morte. La title track è un pamphlet, quindi dal formato magazine di Bad News si ritorna al tazebao affisso ai muri della città, come si usava una volta, in un tentativo di risvegliare le coscienze, assopite tra lockdown, miasmi ammorbanti e muraglioni fisici e mentali. Taranto, la città dei due Mali e dei due Muri, dei tre ponti e delle isole, la città di Filonide. Guarda quanti soggetti allegorici, quante immagini retoriche… Le due tracce del lato b si dividono tra un racconto-canzone, “U8”, uno dei tanti viaggi di immagini che mi restano dai miei anni passati a Berlino, che è inoltre l’unico testo in lingua inglese del disco e “In rotta verso l’impossibile”: una metafora sul movimento anarchico internazionale e il suo attuale stato di salute, resa dall’ immagine di un vascello malridotto in mezzo alla tempesta, che riesce comunque (forse) ad arrivare in acque meno agitate e a trovare un porto sicuro prima di ripartire per nuove traversate”.
Tornando a Jonic Deathrow Manifesto, il testo della titletrack mostra Taranto e le sue debolezze, l’inquinamento e le sue vittime. Ma come abbiamo detto c’è la volontà di combattere, anche a costo di rimanere soli. Ed è proprio questa sospensione del giudizio o indifferenza di una popolazione che diventa purtroppo deterministica nelle sorti della città. C’è comunque propositività nelle tue parole, quindi ti chiedo di condividere un tuo pensiero su come incentivare la nostra comunità al miglioramento.
“Non è cosa semplice provare a rivolgersi a una città statica, apparentemente immobile, trovare le giuste parole, riprendere l’immagine giusta che renda l’idea e dia vita, magari, ad un seppur lento processo di rinascita e riscatto, ma non sarei il sognatore che sono, se non continuassi a provare. Di sicuro sono più cinico e disilluso rispetto al passato, ma mai arreso. Mi auguro che i vecchi ribelli di questa provincia possano presto tornare ad unirsi insieme ad una nuova generazione di animi inquieti e non addomesticati, ragazze e ragazzi curiosi, con la voglia di scoprire, suonare, scrivere, dipingere, raccontare, viaggiare e riportare qui le esperienze raccolte, per cominciare a cambiare questo posto, buttando giù infrastrutture nocive e dando alle fiamme i guinzagli sociali ed economici imposti e/o accettati passivamente dai loro nonni e genitori. Il mio incentivo a questa terra continuerò a darlo come faccio da più di trent’anni ormai, sobillando, agitando le acque, trasformando in musica e parole vita, ricordi e passioni di un individuo nato e cresciuto sotto le ciminiere ma col mare negli occhi, continuando a portare il nome della mia città in giro per il mondo, cosicchè, passeggiando in una città sperduta tra la Grecia e la Turchia o sul Mare del Nord, dei passanti qualsiasi possano ancora leggere su un manifesto mezzo strappato o su un flyer svolazzante, SFC punk hardcore from Taranto, South Italy”.
Per concludere, dicci qualcosa in più del futuro discografico degli SFC. In ogni modo speriamo di assistere ad un vostro concerto quando il momento lo consentirà.
“Come ho già detto in precedenza, stiamo scrivendo nuove canzoni, ci piacciono tantissimo e non vediamo l’ora di poterle registrare e suonare in giro insieme alle tracce di Manifesto e ad altre tratte dai dischi precedenti. Il prossimo disco sarà molto nella scia di lavori come Prigioni e Try Harder, quindi in un certo senso un ritorno alle origini e speriamo esca prima della fine dell’ anno. Abbiamo già fissato alcune date in Italia per quest’ estate e speriamo di riuscire ad organizzare almeno per settembre ottobre il concerto dei trent’anni a Taranto, che non si è potuto svolgere lo scorso gennaio. A me, Valerio (Masi, alla batteria, ndr) e Maurino (Mauro Carone, alla chitarra, ndr) si è unito un nuovo chitarrista, Antonio (Caprino, ndr), ed è arrivato il momento di dargli il battesimo del fuoco con un po’ di situazioni ‘all’use nuestre’, del resto il miglior modo per far girare dischi, materiale ed idee restano le iniziative sul territorio ed i concerti, affinchè le persone possano tornare ad incontrarsi abbracciarsi e guardarsi negli occhi”.