Reminiscenze campestri in Danilo Ligato
di Giovanni Panetta
Intervista a Danilo Ligato sulle sue ultime uscite, entrambe in full-lenght, Fernweh e Vurga, pubblicate per la svizzera EEEE.
Vurga

Cover di Vurga, ad opera di Alessandro Ligato.

Danilo Ligato, musicista e creatore di installazioni della zona sia lombarda che svizzera, ha pubblicato lo scorso maggio il suo secondo album Vurga, per la ticinese EEEE. Insieme all’esordio in full-lenght di Fernweh (sempre per la EEEE, uscito nel 2022), il passo risulta essere decisivo rispetto la prima uscita in EP Rizieri (per EEEE, di cui ne parlammo direttamente in questa intervista), in cui la sempre palese eterogeneità si direziona in una forma sempre più matura e meditata, il cui linguaggio si esprime istintivamente sia in forme fine a sé stesse che nel loro obiettivo di evocare concetti verbali, oppure ricordi individualmente ancestrali come ad esempio in Vurga, in cui è centrale l’infanzia dell’autore passata nella provincia campestre in Calabria.

Di seguito un focus accompagnati dall’autore sulle sue ultime due uscite discografiche, ovvero Fernweh e Vurga.

Danilo, la tua seconda uscita, intitolata Fernweh, ha una melodicità più statica e caratterizzata da austera stocasticità. Linee al piano minimaliste si combinano con elementi ritmici più complessi, in cui si segue un ordine ieratico matematico. Parlaci di questo lavoro e come avviene la sua struttura armonizzata.

“Fernweh è il mio secondo passo in questo nuovo percorso di ricerca sonora ed è certamente un’evoluzione rispetto a Rizieri in termini di strutture, ricerca melodica e sperimentazione con i suoni. Per questo lavoro, le mie lunghe improvvisazioni sono state accompagnate da una continua lettura e rilettura delle opere di Robert Walser. In qualche modo, credo che le sue architetture visionarie e poetiche abbiano influenzato profondamente questo mio secondo lavoro.

“Quando parli di “austera stocasticità”, tocchi esattamente il cuore del mio processo creativo, poiché austerità e casualità rappresentano i due poli fondamentali della mia ricerca. Il rigore, la sobrietà, la casualità e l’incertezza sono elementi che hanno sempre caratterizzato il mio approccio sonoro e personale. Per quanto riguarda il procedimento di costruzione e rifinitura dei brani, il metodo è rimasto invariato, sebbene negli anni io lo abbia affinato e assimilato sempre più. Parto da rumori e suoni infinitesimali, creando piccoli e fragili nuclei sonori, che poi abbandono per un certo tempo. Successivamente, vi ritorno, improvvisando e cercando punti di incontro tra questi mondi sonori, che alla fine si rivelano appartenere a un unico universo: il mio.”

Fuga dal Pensiero è permeato da linee minimaliste ed ondivaghe, in cui il tempo si sospende in maniera quasi jarrettiana. Verso la fine vi è una parte di batteria i cui movimenti diversificati contrastano l’ordine ondivago del suono di pianoforte. Tale contrasto è avvenuto in maniera premeditata o è avvenuto durante lo sviluppo della produzione dei suoni?

“Fuga dal Pensiero, nonostante la sua estrema semplicità, ha impiegato molto tempo a trovare una forma definitiva. È il risultato di numerose improvvisazioni al pianoforte e di un lungo lavoro di cesello per arrivare a poche note e ai silenzi essenziali. La parte di batteria, in particolare, ha richiesto una lunga gestazione. Continuavo a pensare che mi sarebbe piaciuto introdurre un elemento estraneo verso la fine del brano, e per la musica che creo, la batteria è senza dubbio l’elemento più inusuale. Farla fondere nel modo giusto, però, non è stato affatto semplice. Lavorando con molto riverbero e curando ogni singola battuta, credo di essere riuscito a dare a questa coda ritmica un senso compiuto.”

Nell’Eterno Svanire il piano questa volta segue pattern dalla geometria complessa e diversificata, quasi come un frattale generato da leggi matematiche che risiedono nell’subconscio. Il tutto è accompagnato da un synth che offre un disegno sfumato, continuo, come se descrivesse nubi nel cielo, in contrapposizione ad ideali tasti del piano che disegnano grattacieli e palazzi che si stagliano verticalmente con sempre diverse altezze. Parlaci di questa tua idea compositiva che rimanda ad un paesaggio realistico.

“Grazie per la tua visionaria e bellissima descrizione del brano. Mi trovo spesso a improvvisare e a cercare nuovi suoni in ogni momento possibile, sfruttando i ritagli di tempo che la vita mi concede. Il pattern del brano ha preso forma durante un lungo viaggio in treno, mentre il paesaggio urbano scorreva davanti a me come un’unica creatura metamorfica. Il synth è arrivato successivamente: una volta costruita questa ciclica architettura sonora, ho messo tutto in loop e ho improvvisato per diverse ore con un piccolo synth. In questo modo, ho potuto lasciare da parte le questioni tecniche e abbandonarmi completamente al flusso del brano, seguendone il movimento e arricchendolo con suoni eterei e distorti allo stesso tempo.”

Distintamente da Fernweh, Vurga è contraddistinto dal ritorno alle tue origini geografiche, nonché da una forma riverberata in cui domina una sapienza padronanza di timbri ed effetti. Parlaci di come avviene questo salto verso tale consistenza smooth.

“Ti ringrazio per il riconoscimento della “sapienza e padronanza di timbri ed effetti”. Credo che ci sia ancora moltissimo lavoro da fare, ma sono d’accordo con te riguardo al fatto che ci sia una maggiore consapevolezza e conoscenza rispetto ai due lavori precedenti. Vurga arriva tre anni dopo Fernweh ed è il risultato di centinaia di improvvisazioni, ricerche timbriche e studi. Questo lavoro è permeato da un sentire ancora più intimo, arcaico e archetipico.

“Tutti i brani derivano dai miei ricordi d’infanzia di una Calabria che ai miei occhi era epica e vibrante. Ogni brano è legato a un avvenimento, a un luogo o alla semplice luce di quegli anni. Il lavoro di ricerca è stato lungo e metodico, come piace a me, e ho ritenuto fondamentale coinvolgere il fondo Roberto Leydi e Chris Watson per il brano Griddi. Suonare gli strumenti collezionati da Leydi e passare ore ad ascoltare le sue registrazioni sul campo mi hanno conferito una maggiore forza e consapevolezza. Anche se i brani erano teoricamente chiusi quando ho registrato gli strumenti antichi e fatto gli ascolti, ho riaperto e messo tutto in discussione, cercando una forma nuova ispirata da questa intensissima esperienza. La concessione di Chris Watson di utilizzare un frammento del suo El Tren Fantasma per la mia composizione Griddi mi ha commosso e spinto a dare il massimo. Questo è stato possibile anche grazie a Vasco Viviani della EEEE, per cui esce il mio lavoro, che ha compreso e supportato tutte le mie scelte. Inoltre, lo scambio con mio fratello, autore della copertina, è stato molto prezioso: penso che la sua immagine riassuma tutta la mia ricerca in una sola e essenziale rappresentazione.”

In Faddhedrha linee in reverse di piano si alternano ad una melodia netta in senso più consonante, quasi a dare un equilibrio o un’idea di monadi che si intersecano in distinte dimensioni spazio-temporali. Parlaci di come è nata questa tua idea di un astratto incontro tra universi.

“La prima certezza di questo lavoro è stata che dovesse iniziare con un pianoforte in reverse, al quale ho applicato un pesante filtro granulare. Questo perché il viaggio di questo progetto inizia a ritroso nella mia memoria, che è pessima e restia a concedere immagini e ricordi. Successivamente, è emersa tutta la parte consonante, che rappresenta me e il presente, ma che è in costante dialogo con tempi e spazi diversi. Il brano si conclude poi con una nota di piano in reverse, rappresentando l’idea del tempo che sto lentamente elaborando. Vurga è il mio Aleph: tutto nasce da quella vasca dispersa nelle campagne calabresi e dalla magica esperienza di aver passato del tempo vicino a quel luogo antico e potente.”

Vrasci è segnata da un fiato simulato digitalmente, ovvero da un suono lirico dalle tonalità psichedeliche. Un momento di sospensione sottende uno sguardo intenso verso il passato, in cui il pensiero oscilla verso la gravità simboleggiata da dubbi e idiosincrasie. Come avviene tale altalenarsi in Vurga?

“Quello che giustamente riconosci come un fiato è in realtà un’ocarina vecchia di circa cento anni, che ho avuto l’onore di poter registrare presso il Fondo Leydi a Bellinzona. Il suono generato da quell’ocarina era molto basso ed evocativo, e suonandola mi sono profondamente emozionato, perdendomi nei meandri del tempo. Una volta riascoltate tutte le registrazioni, ho selezionato brevi momenti e alterato i suoni in modo che si integrassero organicamente nei brani, portando con sé una forza capace di superare lo spazio e il tempo.

“Vrasci è ispirato a un incidente che mi accadde da bambino, mentre correvo nella luminosa e arida campagna calabrese. Camminai, in modo volontario ma ovviamente folle, su delle braci (Vrasci), ustionandomi i piedi e provocandomi dolori e allucinazioni sonore. La composizione è ispirata a quell’evento, che mi ha insegnato molto. Quando improvviso, a volte (raramente) riesco a staccarmi dall’oggi e, in un certo senso, a viaggiare nel tempo. Questo percorso, per me, è prima di tutto un lavoro di ricerca e meditazione.”

Con L’Affascino si guarda di più alle precedenti produzioni, in cui intuizioni minimaliste alla Steve Reich si confondono con trame più organiche e complesse, quasi libere. Un primo pattern appare periodico secondo più ordini di periodicità, rielaborati; una seconda parte è la descrizione di luci riflesse e rifratte in un cristallo, i cui pitch netti suonati appaiono simili visivamente ad una superficie poligonale. Hai voluto porre l’accento in questa distinzione tra movimento immortalato in un’istanza e staticità dinamica?

“Grazie per aver citato Reich, un artista fondamentale per me. Tuttavia, in questo brano, nato da pura improvvisazione, sento affinità lontane con i brani per pianoforte di Meredith Monk e le improvvisazioni per harmonium di Gurdjieff. Il brano è ispirato alla magica credenza de L’Affascino, diffusa in Calabria e non solo. Il rituale per allontanare questa ombra coinvolge una voce salmodiante, acqua e spago tagliato a pezzi. Ho voluto che il brano fosse essenziale ed evocativo, proprio come l’antico rito a cui si ispira. In L’Affascino, così come in tutto il disco, esploro il dialogo tra immobilità e trasformazione, cercando un equilibrio tra il finito e l’infinito, l’istante e l’eternità. Questa ricerca continua anche nel mio nuovo lavoro di sonorizzazione di Magia Lucana di Luigi Di Gianni, che presenterò dal vivo in autunno. Ti ringrazio molto per aver ascoltato con tanta attenzione i miei lavori e per avermi posto queste stimolanti domande.”

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