PERPETUAL BRIDGE – ALDIQUÀ DEL SOGNO
di Giovanni Panetta
Intervista a Nadia Peter su Perpetual Bridge, progetto elettronico nel quale si manifesta una Natura espressionisticamente inconscia, e che da poco ha esordito con l'EP autoprodotto Upon The Deep.
Upon The Deep

Cover di Upon The Deep (2021).

Nadia Peter, con il suo recente progetto Perpetual Bridge diffonde la sua offerta con suoni elettronici strutturati a fuga che riproducono schemi di emozioni complesse. Proveniente da Lugano e di origini italo-meridionali, dopo l’attività da DJ a nome Marla, comincia ad approfondire la musica come autrice attraverso una strumentazione elettronica (looper, pedali e synth), sperimentando con un immaginario astratto ma cripticamente terreno e emozionalmente palpabile. Il 20 Marzo 2021 pubblica il suo primo EP autoprodotto, ovvero Upon The Deep; un’uscita di essenziali sperimentazioni, i cui pezzi sono stati accompagnati da video che hanno come protagonista una Natura alterata in senso espressionista, nell’accezione di fenomeni della luce riflessi nella retina dell’occhio e manipolati nel profondo dell’inconscio umano. Quella di Perpetual Bridge è musica a suo modo lisergica, psichedelica in senso lato, subliminalmente naturalistica e onirica, dentro e fuori della mente umana in un unicum, attraverso meccanismi fervidi, attivi e intelligenti.

Di seguito l’intervista a Nadia Peter su Perpetual Bridge, la sua poetica e i progetti futuri.

Cominciamo dal principio: come nasce Perpetual Bridge e quali sono le intenzioni? Quali sono le basi della tua musica oscuramente acida, che vengono manifestate nell’EP Upon The Deep? Parlaci inoltre del nome del progetto; da dove prende spunto?

“Perpetual Bridge è prima di tutto un invito. Un invito a confrontarsi con l’aldilà. Ma non inteso solo con l’aldilà della vita. Ma anche con l’aldilà della materia, dei pianeti, del corpo, della parola, della conoscenza e della coscienza. Il nome che ho scelto per questo progetto in effetti non è casuale, parla proprio del ponte che, se percorso, è capace di trasportare verso un luogo oltre, infinito, ignoto e di darci la possibilità di sognare e sperimentare attraverso esistenze, materie, dimensioni altre. Questo ponte è sempre nascosto da qualche parte, all’interno di noi, o fuori da noi, ma sempre pronto a fungere da tramite, un portale per farci uscire dal tracciato, per portarci oltre l’apparente e confrontarci con la profondità e tutto quello che quest’ultima comporta.

“Il nome dell’EP, Upon The Deep, fa anche riferimento al romanzo di fantascienza di Vernon Vinge che riesce con la sua narrazione a costruire una galassia stratificata (a buccia di cipolla) che riesce molto bene a rappresentare, in maniera metaforica, i diversi livelli di coscienza possibili tematizzando le difficoltà di esplorazione che si vengono a creare tra i diversi strati, tanto antichi quanto profondi. Nei brani dell’EP ci si confronta in effetti con vari strati e con la maniera in cui questi iniziano a incontrarsi ed interagire.

“Avendo una conoscenza approfondita di psicanalisi ed essendo sempre stata una grande appassionata di filosofia fenomenologica ed esistenziale, tematiche come l’esplorazione dei diversi stati di coscienza e di esperienze percettive ed emotive, mi hanno in effetti accompagnata, orientata ed appassionata per molti anni. E la sperimentazione nella musica elettronica è anche una strada nuova per studiare questi aspetti.

“Questi brani sono come sogni lucidi, composti da suoni che sono sempre ipnotici proprio per favorire l’accesso ad altre dimensioni, in altri stati di coscienza. L’idea è sicuramente anche quella di poter sospendere temporaneamente i ragionamenti per abbandonarci ad una coscienza puramente sensoriale e percettiva capace di guidarci in paesaggi ed atmosfere diverse, talvolta oscure perché sconosciute o semplicemente inquietanti, talvolta dolci, avvolgenti e rigeneranti. Mi piace giocare con suoni minimali che se seguiti, ci trasportano verso momenti di potente intensità. Come può accadere nei nostri sogni e con le immagini.

“La musica elettronica in senso ampio è da tempo una mia grande passione, ma la musica ambient mi ha sicuramente regalato la possibilità di avventurarmi in mondi davvero diversi, profondi e lontani in cui la libertà di esplorazione è totale. E questo fa un gran bene.”

Perpetual Bridge (Nadia Peter). Foto di Sebastiano Peter.

Perpetual Bridge (Nadia Peter). Foto di Sebastiano Peter.

Perpetual Bridge esordisce con un’elettronica caoticamente ordinata, attraverso uno stile naturalistico. I suoni infatti sembrano seguire uno schema disomogeneo, ma non molto dissonante, sulla scia di un ordine oscuramente inconscio di una natura quotidianamente palpabile. Blue Orbit, dall’effetto più granulare e percussivo di glitch che sfumano in note più nette, è un esperimento sulla dilatazione del suono, di come parti, diciamo, di micro-ritmo diventano linee melodiche, nel nome di un suono lisergico, gioco di paesaggi pulsanti popolati di vita aliena. Come avviene, se mi si può passare la parola un’altra volta, questo sperimentare in senso micro-ritmico?

“In effetti Blue Orbit è senz’altro il frutto di una volontà di sperimentazione che aspirava semplicemente ad essere nel “qui e ora” col suono e reagire. Avventurandomi nell’oscurità di certi suoni, sperimentando con il micro senza perdere di vista il macro, da essa semplicemente si è dischiuso un movimento armonico. La riuscita dell’accostamento di due strati così diversi sorprende. Ed è questo il bello.
“Quello che mi piace in Blue Orbit è proprio questa inaspettata apertura all’armonia, nonostante l’oscurità da cui emerge. Mi è sempre piaciuto questo concetto, l’ho sempre trovato incoraggiante.”

Nebula è permeata da un bordone bitonale costituito da perturbazioni dilatate, arricchito da linee sghembe più nitide; un pezzo che si avvicina al krautrock spaziale, dove le sonorità sono sospese, e terminano nei singoli pattern con una nota di non-conclusione, attraverso un suono ambient oscuro e una psichedelìa criptica. Nebula all’interno dell’EP si colloca per caso come pezzo più maestoso, esplicando un discorso musicale più grandioso e rarefatto, imponendosi su sonorità eteree e austere.
Come nasce il brano, e in quale senso volevi dare un’impostazione rilevante nel cuore dell’album, ovvero da dove scaturisce tale scelta?

“Nebula è il brano più emotivo dell’album. I suoni utilizzati, mentre lavorati, toccavano davvero nel profondo, era come se quei suoni e quelle melodie fossero già in me da moltissimo tempo e creandole, sentissi lo stupore nel riconoscerle in quella nuova forma ed il sollievo di riuscire finalmente a metterle all’esterno. Nebula è la sintesi di tante storie ed esperienze, il tutto mescolato in un intruglio magico dai poteri catartici.
“La commozione ed il trasporto che ho provato durante la creazione del brano hanno reso la composizione totalmente scorrevole e immediata. Per me Nebula è senza dubbio il fulcro dell’album senza il quale gli altri due brani non avrebbero potuto definirsi.
“Trovo incredibile quanto certi suoni e strumenti, possano andare a risvegliare parti molto profonde di sé, celate da molto tempo, fungendo proprio da ponte, tra il dentro e il fuori, tra ombra e luce, tra immanente e trascendente.
“Anche con la contemplazione della natura questo avviene e ciò è sicuramente quello che cerco di esprimere con la mia musica.”

Alla conclusione dell’EP, Hidden Rivers descrive paesaggi dilatati più futuristici e geometrici, forse anche in senso ludico ma lineare, disperdendo di più la valenza di esperimento naturalistico prima accennata, anche se non viene a mancare l’oscurità di fondo di tutto Upon The Deep. Una traccia che descrive un’atmosfera rada e centrifuga di una luce deviata al di fuori dello spettro conosciuto. C’è la voglia di creare più fervidamente, qualcosa di nuovo e a suo modo eccentrico, nel senso di aleatorio; mi chiedo da quali sentimenti sei stata mossa e se tale scelta stilistica, diciamo collocata in appendice, è stata frutto di un processo meditato o meno.

“In effetti è su quest’ultima domanda sui brani che mi appoggio per sintetizzare il senso e l’intenzione di questo primo lavoro. Hidden Rivers si situa alla fine del percorso in cui ci spingono i primi due brani, come attraverso un sogno in tre parti. Dapprima freddo, spaziale e ipermentale poi organico. In Hidden Rivers si viaggia dall’abisso profondo verso la natura che va dalla vita microscopica a quella più complessa e armoniosa. Forse più imprevedibile, ma naturale.
“Gli elementi della natura con le loro caratteristiche e la loro energia, mi guidano parecchio nel processo creativo e in Hidden Rivers questa tendenza diventa più manifesta e volontaria. Un punto finale che dà origine ad un nuovo inizio.”

Sicuramente un paesaggio lunare e fuori schema, in un certo senso arlecchinesco, che permea l’EP. Mi incuriosisce come i processi di creazione dei brani collimano verso impostazioni simili, oscure e quasi stocastiche. E inoltre mi chiedevo quanto la tua musica è frutto meccanismi empatici, inconsci. Sembra infatti che Upon The Deep sia manifestazione di un sogno sempre diverso, dove la creatività ha una valenza casualmente e caoticamente onirica, acquisendo in realtà una struttura solida e lateralmente consapevole. Condividi anche in parte queste parole?

“Ogni volta che voglio creare musica, ho uno stato emotivo e dei bisogni che influiscono inevitabilmente sulle mie scelte stilistiche, i suoni e le atmosfere. All’inizio della composizione dunque, non si tratta sempre di processi pienamente coscienti, tanto che la creazione avviene spesso in maniera spontanea, al limite dell’aleatorio, nel “qui e ora” dove mi concedo la libertà di esplorare fino a quando non si crei una corrispondenza tra spinte incoscienti e coscienti, tra bisogni emotivi e scelte estetiche. Quando i primi assi musicali si delineano e mi danno la sensazione di aver trovato quello che andavo cercando, la mia mente mi porta inevitabilmente ad un livello altro di coscienza più intenzionale e mirato in cui l’ostinazione di voler arrivare al risultato sperato diventa davvero potente.”

Nadia Peter

Perpetual Bridge (Nadia Peter). Foto di Sebastiano Peter.

Per concludere, speriamo di vedere presto un tuo concerto, quando i tempi e l’occasione lo permetteranno. Nell’attesa, parlaci delle tue prossime novità: stai lavorando ad una prossima uscita discografica? Inoltre, cosa dobbiamo aspettarci da essa?

“Per quanto riguarda gli esiti e le novità, mi emoziono molto pensando che, grazie a questo mio primo lavoro, oltre che a bellissime recensioni scritte da specialisti in materia, sono stata selezionata per suonare a uno dei miei Festival preferiti, Les Digitales (Festival estivo di musica elettronica e sperimentale nelle principali città svizzere, all’aperto), sia per l’edizione di Bienne che per quella di Lucerna. È un Festival che mi ha regalato moltissime emozioni come spettatrice e che quest’anno vivrò diversamente, ma sicuramente non meno intensamente! Sono molto felice di potervi sicuramente presentare dei brani inediti che ho realizzato per l’album che spero di far uscire entro la fine dell’anno, al quale sto ancora lavorando e che mi sta regalando grandi momenti creativi. Sicuramente sento un’evoluzione rispetto all’EP e i nuovi spunti non mancano, ma lascerò giudicare agli ascoltatori che avranno piacere di esplorarlo.
“Per dare però un anticipo sull’atmosfera dell’album, posso condividere quello che è il titolo dell’album che è già di per sé parecchio evocativo “Astral Departures”. Spero possiate presto assaporarvelo!”

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