Ossi è il nuovo progetto dei due Deadburger Factory Vittorio Nistri (tastiera, organo, loops, filtraggi, synth e campionamenti) e Simone Tilli (voce, cori, loops) in cui viene mostrata un’Italia oscura e grottesca, reduce dagli ultimi anni di incombenza del populismo. Con il progetto dei due Deadburger Factory viene pubblicato un esordio omonimo il 9 Settembre 2022 per Snowdonia in formato vinilico.
Con in copertina un disegno di Andrea Pazienza, celebre fumetista attivo tra gli anni ’70 e ’80, dalla poetica decadente e dal tratto polimorfo e fugale, vengono messe in risalto vicende grottesche e surreali, o per dirla del tutto lisergiche (in perfetto parallelismo con i riferimenti sonori), sia politiche che sociali, attraverso i racconti scritti per lo più da Nistri. Il disco utilizza un’ironia intelligente guardando sia alla psichedelìa ’60 che alle più moderne tecnologie e suoni, creando un sound elettronicamente elaborato (ma in modo quanto più artigianale) e al tempo stesso rigorosamente rock ‘n’ roll, attraverso tessiture scolpite groovose e ordinate.
Nel disco, oltre a Tilli e Nistri collaborano ospiti di eccezione, ovvero: Dome La Muerte (Not Moving) alla chitarra, Bruno Dorella (OvO, Bachi da Pietra, Ronin) con il suo drum set minimale, Andrea Appino (Zen Circus) alla chitarra, nonché Silvio Brambilla (Deadburger Factory) alla batteria, Carlo Sciannameo (Deadburger Factory) al basso e Roberto Pieralli (Mojo Blues Band) all’armonica, e Claudio Macchia e Alessandro Casini entrambi alle chitarre.
In riferimento anche al disegno di Pazienza, il disco con l’artwork (e non solo) è un oggetto unico, in cui si aggiungono i disegni di Ugo Delucchi (che collabora tutt’oggi con Frigidaire, e fu un allievo di Paz) sul retro e internamente sul gatefold, e un fumetto-booklet con vignette inerenti i pezzi dell’album. Il progetto grafico è a cura di Gabriele Menconi con la collaborazione di Lido Contemori nell’aggiunta dei colori in tutto il lavoro, e della spirale bitonale sulla copertina.
Di seguito un’intervista a Vittorio Nistri riguardo il progetto Ossi e sui futuri progetti dei due componenti principali.
La psichedelìa di Ossi incontra l’urbanità dell’elettronica e degli attuali tempi oscuri, insieme ad un certo eclettismo di fondo e i testi in italiano riadattati organicamente sul suono strumentale obliquo e lateralmente idiosincratico (l’internazionalità non si fa mancare, in quanto su LP sono presenti le rispettive traduzioni di ogni pezzo).
La musica mette in comunicazione il rock psichedelico con l’elettronica più avant o eterodossa, che sia di Deadburger Factory o scaturita dalla creatività più associabile al caso e weird di Oh Sees o King Gizzard & Lizard Wizard, in cui emerge l’elemento di quel contesto socio-politico in forma chiara e netta. Infatti è come se l’elettronica volesse dare spazio a qualcos’altro, parlando dell’Italia e facendo risalire in superficie il discorso critico e verbale di cui è l’essenza; d’altro canto la musica appare originale, e allo stesso tempo naviga in dettagli poco esplorati, tra rock storico e in evoluzione. Nel totale ci si ispira e si canzona (esemplari i sample dal web), aspetti che forse si uniscono in un unico tema di fondo.
In merito a questi due elementi, raccontateci come l’elemento socio-politico e psichedelico si combinano nella vostra idea relativa all’album.
“I due elementi sono davvero inscindibili nel progetto “Ossi”. Era molto tempo che io ed il mio partner-in-crime, Simone Tilli, avevamo voglia di fare qualcosa in ambito garage/psych, di cui siamo appassionati da sempre ; ma mi ero detto che lo avrei fatto solo se e quando avessi trovato una chiave di approccio autenticamente personale.
“In tutti i miei progetti ho sempre cercato una qualche corrispondenza tra musica e vita. Mi piace pensare che l’ispirazione per fare musica possa venire prioritariamente dalla vita, prima che da altre musiche. E questo mi ha a lungo trattenuto dal cimentarmi nell’ambito del garage/psych, il cui immaginario archetipico non ha niente in comune con la mia esistenza. Non faccio uso di droghe, non mi sbronzo, sono innamorato della stessa donna da tutta la vita, non ho neppure una moto degna di questo nome… sono la persona meno lisergica della Terra.
“Poi mi si è accesa la proverbiale lampadina. Leggendo le notizie del giorno, in un giorno qualunque di ordinaria follia, mi sono detto: cazzo, che delirio… sembra davvero un “bad trip”! E, tutto ad un tratto, ho realizzato che oggi – per fare canzoni visionarie/allucinate/deragliate – non è affatto necessario sballarsi. Basta guardarsi intorno.
“Perché – anche se ci siamo così abituati che neanche ci facciamo più caso – viviamo da un pezzo in un paese, ed un contesto sociale, che sono sballatissimi di default. Siamo immersi fino al collo nel non-senso.
“Da qui l’idea degli psychedelic storytellers. Ho iniziato a raccogliere in una cartella del PC trafiletti di giornale scannerizzati, telegiornali e interviste reperiti in rete, documenti video pescati su YouTube, ognuno dei quali a suo modo rappresentativo del naufragio collettivo in corso. E mi sono ritrovato spunti per centinaia di storie, tutte vere e tutte fuori-di-testa. Dalle quali è scaturito il progetto Ossi.”
L’album risulta essere molto dinamico e a detta vostra c’è uno studio di metriche e ritmo con i sample molto complesso. Il tutto nasce anche per via di esigenze con l’italiano, dalle parole più lunghe e meno onomatopeiche. Questa complessità del tempo, del ritmo, la trovo molto interessante; è come se, quasi senza volerlo, si trovano tante occasioni di interessanti e nuove intuizioni. Ci volete parlare di questo aspetto creativo, e quanto è stato importante il ruolo di Bruno Dorella?
“La nostra lingua è bellissima e piena di sfumature, ma per le metriche R‘n’R è problematica. Troppe sillabe, troppo poche parole tronche, ecc. Per aggirare queste difficoltà, si ricorre spesso ad un pugno di espedienti stra-consunti. Ad esempio, per reperire accenti sull’ultima sillaba, si tende ad usare reiteratamente verbi declinati al singolare in futuro semplice (tipo “andrò”, “farò”, “sarà”) oppure al congiuntivo prima persona singolare (tipo “mi affogherei”, “saprei”, “vedrei”); o, in alternativa, gli ovvii “però, non so, noi no, ma qua, chissà, non ce l’ha” alla Vasco Rossi.
“Simone ed io abbiamo lavorato tantissimo su metriche e accenti. Volevamo trovare un uso dell’italiano fluido e “groovoso”, però riducendo al minimo il ricorso agli espedienti di cui sopra. E senza fare sconti alla ricerca di un senso compiuto e “narrativo” delle liriche, che certo dovevano suonare bene, ma altrettanto certamente non dovevano essere “solo suono” (…siamo cantastorie, no?). Noi ce l’abbiamo messa tutta – saranno gli ascoltatori a giudicare se ci siamo riusciti.
“E sempre a proposito del groove – ma spostandoci dal discorso “testi” a quello più strettamente musicale – l’apporto di Bruno Dorella è stato fondamentale. Cercavamo per le ritmiche un suono scarno ed essenziale (ovvero, come è d’uso dire, “ridotto all’osso”: nomen omen) ma allo stesso tempo energico ed incalzante. E in questo, chi meglio di Bruno, che è un maestro nell’ottenere il massimo effetto col minimo dei mezzi? Solo due tamburi suonati in piedi e un piatto – eppure è un autentico treno ritmico.
“Adesso, per i concerti (e per i prossimi dischi), il testimone della batteria è passato a Silvio Brambilla, primo batterista dei Deadburger oltre che amico da una vita.”
Ventriloquist Rock (titolo iconico, direi) è una tempesta campionaria che ritrae la politica più trash degli ultimi anni, in cui verso la fine si ascolta un coretto scurrile, a tempo del ritmo, che, non a caso, sembra aver metabolizzato i dibattiti e le vicende politiche degli ultimi anni nel modo sbagliato. Aldilà dell’apporto creativo/musicale che trovo interessante, Ventriloquist Rock è un tentativo di dare un’istantanea di quell’Italia becera che è ancora sulle proprie gambe. Parlateci del peculiare lavoro di sampling e delle vostre intenzioni e/o ispirazioni.
“Il “padre nobile” nell’ambito del rock-con-voci-campionate-dalla-realtà è stato “My life in the bush of ghosts” di Brian Eno e David Byrne. Quello peraltro era un album interamente incentrato sull’idea delle found vocals, mentre gli Ossi usano un alternarsi di cantato (Simone) e campionamenti di ‘spoken words’ prese dalla cronaca italiana.
“Per rendere organica e “naturale” questa accoppiata, le ‘voci trovate’ sono state elaborate in modo da renderle il più possibile musicali. Ho “stirato” o accorciato singole parole per conferire loro una metrica musicale; ho segmentato e ricucito le frasi a tempo con il bpm dei brani; ho aggiunto una sorta di intonazione, lavorando di pitch anche su singole sillabe. La tecnologia odierna, completamente diversa da quella dell’epoca di “My life in the bush of ghosts”, offre queste possibilità, anche se alla fin fine il processo, almeno in Ossi, è rimasto tipicamente artigianale, affidato non ad automatismi di software ma al gusto e all’orecchio del musicista.
“L’intro brutista di Ventriloquist Rock dura un minuto ma mi ha richiesto un lavoro di decine e decine di ore – non so nemmeno io quante! Per prima cosa mi sono messo alla caccia di documenti audio esemplificativi della politica “di pancia” (appunto… ventriloqua) italica. Alla fine mi sono ritrovato un database con qualcosa come duecento samples. Li ho riascoltati attentamente, più volte, per arrivare a selezionarne 50, che fossero non solo rappresentativi dell’italian style ma anche dotati tendenzialmente di musicalità. Poi, a forza di prove ed esperimenti, li ho elaborati e organizzati in una sorta di concerto apocalittico.
“Questa suburra infernale condensa in sessanta secondi quindici anni di storia italiana, a partire dai Vaffanculo-day grillino del 2007 per arrivare alla Meloni triumphans del 2022. Passando da perle (anche dimenticate) come il “maiale” urlato da Storace a Fini del 2011, o lo “scolaretto di merda” sibilato dallo sconfitto Sgarbi in direzione dell’allora vincente Di Maio nel 2018.
“I top, secondo me, sono gli “sceriffi” Borghezio e Gentilini (“tolleranza zero! Tolleranza doppio zero!”). e Salvini, che grida in piazza “vaffanculo ai carabinieri” pochi anni prima di diventare Ministro degli Interni – la figura, cioè, dalla quale i Carabinieri dipendono.”
Out Demons Out, ispirato allo standard psych blues omonimo della Edgar Broughton Band (1970), è un viaggio psichedelico tra le insensatezze no-vax del periodo precedente o contemporaneo alla pandemia. L’aspetto particolare di questo pezzo è che, anche se si attinge di molto dal passato, immerso nelle assurdità di quei sample e di quel contesto il pezzo risulta essere originale ed interessante, e sa offrire in toto un valore aggiunto. Parlateci di come sono nati l’idea del pezzo e il suo sviluppo?
“L’idea mi è venuta durante il primo lockdown, di fronte alla stupefacente quantità e varietà di teorie complottiste che spiegavano “la verità vera” dietro al virus e/o ai vaccini.
“Non faccio di tutta l’erba un fascio: ci sono state voci di dissenso motivate e ragionate che hanno sollevato legittimi dubbi sull’operato governativo nella gestione della pandemia, non di rado improvvisato o contraddittorio. E (sebbene io, avendo soggetti fragili in famiglia, mi sia vaccinato senza esitazione) posso capire chi nutriva timori sulle possibili conseguenze mediche di vaccini realizzati dopo tempi di sperimentazione per forza di cose limitati.
“Ma, certamente, molte delle “voci contro” sono state portatrici di teorie complottiste così ultra- weird da far impallidire i vecchi trip allucinogeni da LSD. Nella “Out Demons Out” degli Ossi ce n’è un campionario secondo me sbalorditivo, degno dei Freak Brothers più scoppiati.
“Ci sono, per esempio, i fanatici religiosi che hanno attribuito all’opera del demonio tanto la pandemia quanto i vaccini (nei quali hanno ravvisato “il marchio della Bestia”, o addirittura l’Anticristo).
“C’è un auto-proclamato “esperto di civiltà extraterrestri”, che ha scoperto, non si sa come, un machiavellico piano di invasori alieni; i quali, non riuscendo a conquistarci militarmente (giacché gli americani hanno – anche se non ce lo dicono – una flotta di imbattibili astronavi da guerra), hanno portato la pandemia sul nostro pianeta al fine di costringerci a prendere dei vaccini congegnati in modo di cambiare il nostro DNA e renderlo più simile, appunto, a quello degli infidi invaders from outer space.
“C’è l’omelia terrorizzante di un parroco di Cesena, che ha spiegato ai suoi parrocchiani e parrocchiane (…avrei voluto vedere le loro facce!) come le case farmaceutiche paghino donne povere perché si facciano ingravidare, e poi le costringano ad abortire, onde poter fare i vaccini con gli organi dei feti. Il tutto con dovizia di particolari splatter che manco il torture-porn di Eli Roth: i cuoricini, i fegatini, i polmoncini, vengono strappati, palpitanti e sanguinanti, ai feti “mentre sono ancora vivi”, perché i prodotti farmaceutici, per funzionare, “non possono essere fatti con ingredienti morti”.
“E poi ci sono le manifestazioni di piazza dei Gilet Arancioni del Generale dei Carabinieri Antonio Pappalardo, nelle quali siamo stati edotti che Giuseppe Conte è stato pagato da Bill Gates (i comizianti, da persone ben informate dei fatti, ci hanno detto anche la cifra esatta: 140 milioni) per far vaccinare gli italiani. Motivo: i vaccini contengono mercurio, metallo in grado di captare le trasmissioni delle antenne 5G. Per cui, Gates potrà telecomandare a distanza tutti i vaccinati, rendendoli “piccoli robot” ai suoi ordini.
“(Per inciso: il generale Pappalardo – oggi non più Generale, in quanto è stato degradato nel settembre 2021 – è uno di quei personaggi bigger than life che ben meriterebbero un biopic. Per menzionare solo un paio delle sue innumerevoli perle: nel 2019, quando fu candidato alla presidenza della Regione Umbria, promise di togliere le tasse regionali e rilanciare i consumi, stampando una moneta ad hoc, la Lira Umbra, e facendone dono a tutte le famiglie. Mentre nel 2010 ha pubblicato un romanzo di oltre 800 pagine, L’utopia dell’Ummita, che però dice di avere non scritto bensì trascritto, in quanto il manoscritto gli fu consegnato di persona da un extraterrestre del pianeta Ummo. Alieno ben educato, che non mancò, nell’incontro, di togliersi il cappello di fronte alla moglie del Generale).
“Questi deliri, insieme ad altri di analogo tenore, sono confluiti nell’Out Demons Out di Ossi, una mini-suite psichedelica in sette movimenti, ciascuno dei quali commenta in musica una ‘found voice’. Per esempio: il secondo movimento (che musicalmente è la cover del “demoniaco” inno tribale della Edgar Broughton Band da te ricordato) l’abbiamo abbinato alle voci di chi vedeva nei vaccini un piano, appunto, del diavolo. Mentre il terzo movimento, intitolato “Out Robots Out”, abbina una danza robotica di sintetizzatori alle dichiarazioni di chi profetizzava che i vaccinati sarebbero divenuti automi telecomandati dalle antenne 5G. Eccetera.
“Peraltro, nella nostra mini-suite c’è spazio non solo per i deliri della galassia complottista, ma anche per quelli dell’establishment. Una delle ‘found voces’ che preferisco è quella dell’Assessore alla Salute della Regione Lombardia, campionato mentre dichiarava, in una conferenza stampa: “l’indice di contagio è sceso allo 0,50%, il che significa che, per infettare me, devo trovarmi insieme in contemporanea a due persone infette”. Dunque, secondo l’esperto, ogni contagiato trasmette mezzo virus. Solo se uno ha la sfiga di trovarsi insieme a due ammalati, i loro mezzi virus si coalizzano e ne fanno uno intero. Ooookay!
“Benché il brano duri nove minuti, ho potuto utilizzare solo una piccolissima parte delle fanta-esternazioni pandemiche che avevo raccolto, con l’aiuto del mio amico Lido Contemori (disegnatore satirico e weird-detector). Per usarle tutte, non sarebbe bastato un brano di dieci ore.”
Critica sociale e creatività plastica della musica; il progetto Ossi appare originale giocando con strutture e concetti in maniera unitamente originale, un po’ alla Devo, il gruppo di Akron che stigmatizzava ironicamente l’ipotetico fenomeno della devoluzione, ribaltando in maniera giocosa e originale gli stereotipi del rock ‘n’ roll (anche se su quest’ultimo punto vi muovente in maniera differente secondo schemi diversi). Quanto il gruppo di Mark Mothersbaugh e Gerald Casale, seminale per il post-punk e la musica sperimentale tutta, ha influito nel progetto Ossi?
“Molto! Ti faccio i complimenti perché sei stato, ad oggi, l’unico ad aver notato il collegamento tra Ossi e i Devo. Benché il nostro sound sia diverso da quello dei Devo, Il loro geniale concept della de-evoluzione dell’umanità è ampiamente condiviso dagli Ossi.
“Inoltre, secondo me, abbiamo in comune la scelta di un registro espressivo “double face”: giocoso e ironico in superficie, scuro e pessimista in profondità.”
Tornando all’utilizzo organico dell’elettronica, vi sono degli aspetti su cui vorrei porre la lente di ingrandimento. Per esempio, in Lei è Grunge, Lui Urban Cowbay, sample di voci realizzate per l’occasione vengono pesantemente riprocessate e disposte in loop, unendo lo stile dei canti a cappella con tecniche di sintesi sonora. Un artigianato che sa rinnovarsi, ogni volta in maniera diversa e nuova. Per quanto riguarda il suddetto pezzo, come nasce e sviluppa il relativo processo creativo?
“Il brano che menzioni è nato così: Simone Tilli mi portò alcuni loop di voce che aveva registrato sulla sua loopstation. Li trovai molto intriganti, erano strani e belli ‘storti’. Li riversai su Mac, li stretchai uno ad uno sul medesimo bpm, e cominciai a sperimentare sovrapposizioni e taglia-e-cuci. Nel farlo, mi resi conto che alcune di queste frasi vocali avevano una potenziale valenza di ‘riff’ di basso, altre di contrappunti, altre ancora di elementi percussivi. Presi dunque a “spippolare” con i plug, sperimentando filtraggi elettronici volti ad accentuare la specifica valenza che avevo intravista in ciascun loop.
“Assemblando il tutto, ricavai una base ben delineata come dinamiche di intro / strofa / chorus / outro, sebbene ancora indefinita melodicamente e armonicamente. A quel punto accesi una tastiera, iniziai a provare ad improvvisarci sopra, e… in pochi minuti trovai i giri di accordi, le melodie e le principali idee per la chitarra (arpeggi, riff, ritmiche). Non mi capita spesso che queste cose mi vengano “buone alla prima” – si vede che i loop di Simone mi avevano “preso bene”.
“Nei mesi successivi sono seguiti lunghi processi di scrittura testi, registrazione, arrangiamento, ma il nocciolo della composizione è nato spontaneamente, in una singola giornata di sperimentazioni.
“Credo che Lei è grunge, lui urban cowboy esemplifichi bene il disegno sonoro che impronta tutto il progetto Ossi, ovvero un clash di epoche – i suoni vintage del garage rock e quelli contemporanei dell’elettronica.
“Queste due gamme hanno per me anche un valore simbolico, rappresentando rispettivamente il mondo analogico e quello digitale. Il tentativo degli Ossi è stato quello di unire queste epoche, e questi mondi, non con una artificiosa sovrapposizione, bensì compenetrandoli organicamente, fino a far sembrare questa accoppiata come ‘perfettamente naturale’. Così come ci sembra perfettamente ‘naturale’ (pur non essendolo) l’indissolubile intreccio di analogico e digitale delle nostre esistenze attuali.
“In Lei è grunge, lui urban cowboy abbiamo, da un lato, la chitarra che è puro rock fine ’60 / inizio ’70. Come lo è il breve intervento della batteria di Dorella (il cui groove con cowbell è una voluta citazione della rollingstoniana Honky Tonk Women). Dall’altro lato, abbiamo un ininterrotto vortice di loops vocali, che sono a tutti gli effetti elettronici (sia perché non sarebbero mai stati realizzabili senza loopstation / sampling / editing, sia perché sono stati massicciamente elaborati con filtri passa-banda, modulatori ad anello, triggers). E pure la batteria – con la sola eccezione del chorus finale, dove entra quella acustica di Bruno Dorella – è elettronica, e programmata in modo estremamente stilizzato (usandone un unico suono, ovvero la cassa, arricchita di frequenze subsoniche).
“Aggiungo che sia l’intro che l’outro del brano sono 100% elettronici, essendo la prima affidata esclusivamente ai loops vocali, e la seconda solo alla cassa della batteria elettronica (processata con echi e filtri fino a diventare una ‘galoppata’ di… cavalli digitali).
“Eppure. io e Simone abbiamo potuto in diverse occasioni constatare che chi ascolta questo brano lo percepisce non come elettronico, bensì come r’n’r.
“Ne siamo lieti, perché era esattamente questa la nostra intenzione. Volevamo una elettronica che lavorasse sottotraccia, senza ‘imporsi’ al proscenio (qualche ascoltatore neppure si accorge della sua presenza), ma che allo stesso tempo innervasse il suono dell’intero album, contribuendo – almeno nelle nostre intenzioni – a portare il garage rock nel presente.”
Si conclude con la commovente Navarre; in un paese sull’appennino pistoiese, Mulino dei Sassi, una ragazza volontaria del Centro Protezione Animali di Monte Adone salva la vita ad un lupo ferito, che stava morendo di ipotermia sul fiume Limentra, attraverso una respirazione artificiale. È una piccola storia che infonde speranza attraverso una luce calorosa e confortante, all’interno del clima glaciale e la luce crepuscolare emessi dagli altri pezzi. Raccontateci di come si sviluppa il pezzo e come avviene la scelta di questo racconto nel disco.
“Se l’album di Ossi fosse un film, la canzone “Navarre” sarebbe la scena dopo i titoli di coda. Non a caso è posta in chiusura, ed è preceduta da un breve strumentale intitolato “Ossi di coda”.
“Condividendo il gramsciano “pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”, ci tenevo a concludere il disco degli Ossi, dopo tante nefandezze, con una nota di speranza. Riporto al riguardo una frase dalla press release:
““Probabilmente, mentre faceva questa cosa, la ragazza dai capelli neri non ne era consapevole, ma il suo gesto – baciare il lupo, donargli la vita – ha una potenza simbolica straordinaria. Riassume quasi tutto ciò che c’è di bello nell’esistenza e negli esseri umani. Anche se spesso sembriamo meritarci l’estinzione, la storia della ragazza dai capelli neri suggerisce che, forse, un poco di speranza ce l’abbiamo ancora”.
“Il testo l’ho scritto a quattro mani col poeta Luca Buonaguidi, che ha abitato a lungo in un piccolo borgo di montagna, a poca distanza dal fiume Limentra.
“La musica gioca sul contrasto tra un loop elettronico, glaciale e implacabile come le acque del fiume in inverno, e il calore empatico delle tre chitarre (Dome La Muerte, Andrea Appino, Claudio Macchia) e delle voci.
“Il loop, per inciso, non l’ho né campionato né programmato. Mi ci sono imbattuto senza averlo cercato, come a volte capita con le cose più belle. Il mio computer era andato in crash, e alcuni files audio erano andati corrotti, divenendo puro rumore randomizzato…. con una singola eccezione. Un file di batteria si era tramutato non in rumore informe bensì in una scarica di percussione distorta e tonalmente bassissima, seguita da una scia di glitch tonalmente altissimi. Questa trasformazione alchemica mi ha folgorato al primo ascolto. Ho loopato il file, l’ho intonato in FA# con un pitch controller, e sopra di esso ho scritto la musica di “Navarre”.”
L’album Ossi sembra essere legato ad un altro album dell’etichetta Snowdonia, ovvero “Dal Diario Di Luigi La Rocca, Cittadino” dei Maisie di Cinzia La Fauci e Alberto Scotti. Il disco dei proprietari dell’etichetta sopracitata ha abbastanza in comune con Ossi; anche se le tematiche sono differenti, essi delineano l’uomo e i suoi costumi in epoca post-internet, con il suo qualunquismo e nichilismo (sebbene in forma diversa), peculiari in quei racconti presenti negli ascolti di entrambi. Ti chiedo se i due lavori hanno un qualche legame diretto o meno, o il tutto è nato spontaneamente da parte vostra.
“Nessun legame intenzionale. Gli Ossi e i Maisie hanno lavorato ciascuno per conto proprio sui rispettivi album, e solo a registrazioni terminate gli uni hanno ascoltato il lavoro degli altri e viceversa. E’ stata una bella sorpresa scoprire quanto, al di là delle differenti scelte musicali, i concept dei due lavori fossero armonizzabili tra di loro.
“Ma forse, più che una sorpresa, è semplicemente la riprova dell’affinità di spirito che ci lega. Cinzia, Alberto ed io condividiamo tante visioni e passioni. Ho grande affetto per loro e per Snowdonia.”
Per concludere, parlateci dei prossimi progressi di Ossi, se saranno previsti tour in Italia, o ulteriori sviluppi con altri progetti, come Deadburger Factory.
“Gli Ossi sono attualmente impegnati sul fronte concerti. La formazione live è composta da Simone Tilli alla voce, Silvio Brambilla alla batteria, David John Noto alla chitarra, e me. Quando ci è possibile, ci piace coinvolgere nei live anche altri amici: in primo luogo Gabriele Menconi con i suoi visuals psichedelici; e poi, musicisti ospiti (per esempio, dal vivo al Caracol di Pisa avremo con noi Alessia dei Bluagata, mentre nelle date in Lombardia ci sarà Cinzia La Fauci). Nel frattempo, stiamo cominciando a scrivere ed arrangiare nuovo materiale per un futuro secondo album.
“La Deadburger Factory al momento è in standby – ma tra qualche anno tornerà, con un nuovo lavoro, più fuori binario che mai, dal titolo “La stanza delle meraviglie del Dottor Deadburger”.
“Simone Tilli sta suonando anche con Le Jardin Des Bruits, che propongono una elaborata canzone d’autore indie-rock. Hanno una formazione tutta composta da musicisti che suonano, o hanno suonato, con Deadburger Factory e/o Ossi (Alessandro Casini, Tony Vivona, Silvio Brambilla, David John Noto), e stanno per pubblicare il loro nuovo album su etichetta Urtovox.
“Io sto terminando le registrazioni di due album molto diversi da tutto quanto ho fatto finora. Il primo si chiamerà “Vittorio Nistri/Filippo Panichi”. Il secondo, “Tre lati di un cerchio”, sarà un trittico di album, dai titoli: “Gemmazioni”, “Improvvisazioni”, “Vessazioni”. Cosa inusuale per me, questi due lavori non conterranno né rock né canzoni. I brani saranno solo strumentali (in “Tre lati di un cerchio” ci sarà la voce di Claudio Milano, ma utilizzata come uno strumento, e comunque non in ambito di canzoni), al crocevia tra musica da camera (con ampie orchestrazioni di archi e fiati), elettronica sperimentale e impro elettroacustica. Con l’aggiunta di alcune spezie inusuali – ma qua mi fermo, è presto per rilasciare anticipazioni.
“Concludo raccontandoti che, nel mentre sto lavorando a queste cose, continuo, come faccio da anni, ad assemblare idee, abbozzi e registrazioni per ulteriori, e ancora differenti, progetti. Tutte cose diverse da quanto ho già fatto (e come tali, per me nuove, pur senza pretesa che lo siano in assoluto). Non ho idea di quanti di questi “futuri progetti” riuscirò a realizzare (“La vita è quella cosa che ti succede mentre stai facendo altri progetti”, diceva John Lennon), ma… se. dopo tanti anni, fare musica mi appassiona ancora oggi, quanto e più di quando cominciai, è proprio perché mi regala tuttora il piacere della scoperta e della sorpresa.”