
Cover dell’album Melee, artwork di Deian Martinelli.
I Melee sono un duo noise-punk della zona che comprende Lombardia e Piemonte, formato da Guido Ghirlandi al basso ed elettronica e Andrea Brondolo alla batteria. Il progetto si ispira al rumorismo punk degli anni ’00, in primis i Lighting Bolt, soprattutto per quanto riguarda l’approccio ibrido con elementi elettronici distorti. Attraverso l’estetica dell’entertainment, si esplicano sonorità quanto più eterogenee, nel vincolo dell’utilizzo degli strumenti citati, come avviene con l’album omonimo prodotto dalle label Araki Records e Laroom Records nel 2020, in cui il loro sound si esplica lungo una narrazione dinamica e grottesca per tutta la tracklist, emanando colori vivaci e metropolitani traslati acusticamente.
Parliamo degli elementi citati con i componenti del duo.
Cominciamo a parlare delle origini del vostro progetto. In più qual è stato il processo creativo del vostro album omonimo, in cui si sfruttano sonorità noise e math con dettagli poco contemplati?
Andrea Brondolo: “Io e Guido ci siamo conosciuti tramite Youtube. Ho un canale dove faccio delle cover di batteria di brani che mi piacciono e lui mi ha contattato proponendomi di mettere la batteria su alcune sue bozze di basso. Il risultato è piaciuto a entrambi e dopo averne fatte un quantitativo necessario per arrivare a mezz’ora di musica le abbiamo registrate professionalmente in uno studio a Torino. Ricapitolando: Guido scrive e registra le parti di basso, me le manda, ci metto la batteria sopra, ri-invio il tutto e se siamo entrambi soddisfatti il brano è pronto al 90%. Il restante 10 è l’ultimo step e riguarda suoni elettronici/sample presi qui e là da internet. Tutto l’album è stato scritto e registrato così.”
Riferendoci alla tracklist del vostro album, il pezzo Oneidalzone prefigura un immaginario spaziale attraverso una forma più sintetica, in cui si esprimono pattern periodici che rimandano lateralmente alla Kosmische Musik tedesca. Come nasce questo carattere artificiale nella vostra musica più propriamente analogica?
Andrea Brondolo: “Riguardo al tuo riferimento, siamo fan degli Oneida, degli Ex Models e (parlando per me) dei cave, quindi certe idee escono fuori inevitabilmente quando ascolti un determinato genere per un lungo periodo. Tutte queste band hanno in comune la strumentazione tradizionale da band, quindi immagino che ci attiri un po’ quello.”
Il brano Pizza gioca con sonorità melodiche, le cui armonie richiamano vagamente quelle dell’emo seconda ondata, in cui il tutto è permeato però da una dinamicità matematica (più legata al contesto) e un approccio sperimentale. Un pezzo che probabilmente vuole essere da ponte o pausa all’interno dell’ascolto del disco, generando un senso di armonico distacco. È difatti questo il reale ruolo del pezzo?
Andrea Brondolo: “Il vero “ponte” dell’album per noi è 96, un intermezzo elettronico che scollega momentaneamente l’ascoltatore dalla combo batteria/basso distorto affrontata fino a quel punto, pensata per rendere meno pesante l’ascolto completo. Quanto alla parte armonica, lascio la parola a Guido.”
Guido Ghirlandi: “Pizza è il pezzo più vecchio, l’avevo scritto quando suonavo in un’altra band e probabilmente è il motivo per cui suona diverso. Di sicuro stavo pensando ai Boris. È stato incluso perché è facile da metabolizzare ed aiuta staccare essendo praticamente una canzone senza la voce. Direi che è la hit del disco.”
Martello e Spada sono i brani più dinamicamente coinvolgenti, attraverso dei riff dalle caratteristiche complementari. In particolar modo, Spada possiede una peculiarità in più derivata dai glitch presenti, in cui il pezzo viene dilatato attraverso una texture di errore informatico, ponendo la traccia ad un metalivello tra l’esecuzione originaria e l’ascoltatore. Come è avvenuta l’idea dietro questa modifica, volontaria o meno, del brano?
Andrea Brondolo: “Mi dispiace rovinare la magia, ma l’idea del finale “computer che si scioglie” è presa tale e quale dal finale del brano di un gruppo della quale siamo superfan (che suppongo a sua volta l’avrà preso da qualche altra parte). Però non diremo né il brano né il gruppo, sennò che gusto c’è?”
Mestolo è strutturata a fuga, in cui ogni parte si realizza come un finale non compiuto, al cui termine il pezzo riprende regolarmente in maniera diversa. Al seguito è come se, nella effettiva conclusione, si attraversa una direzione inconsueta, ovvero il pezzo sfuma in un effetto sintetico e dilatato in maniera del tutto imprevedibile, infrangendo così l’essenza centrale del pezzo nonché il sound più ricorrente in tutto l’album. Come si realizza tale idea astratta nel pezzo?
Andrea Brondolo: “Nei concerti la parte finale la suoniamo come era scritta originariamente cioè 2/3 minuti in cui le due frasi melodiche si alternano.”
Guido Ghirlandi: “Anche qui gli effetti che ti hanno dato quelle sensazioni sono presenti per ragioni sostanzialmente pratiche cioè dare un bel respiro. Tralasciandoli, l’idea della frase ripetuta mi è venuta un po’ per caso mentre la suonavo a casa. Ho pensato sarebbe stato interessante o almeno divertente farla come se fosse un loop. Non c’è un particolare riferimento musicale, credo che suonare in casa e da soli porti molto spesso alla ripetizione.”