
Cover dell’EP RITMO, RITMO!, ad opera di Fabrizio Crollari.
I Tartaro sono un duo romano formato da Pierpaolo Lo Muscio (basso, effetti) e Alessandro Grandi (batteria). Il sound è legato al math rock estremo, con un approccio più urbano legato idealmente alla techno, di cui si ha come prima prova l’EP RITMO, RITMO!, prodotto dalla No Hope Records. Di prossima uscita è Sabazia’s Tales, il secondo EP di cui vi è un’anticipazione con il singolo digitale Divano Lento, pezzo che esprime maggiormente un dinamismo progressivo, in parte più patinato rispetto gli esordi.
Parliamo dei temi citati con i due componenti dei Tartaro nella seguente intervista.
Raccontateci della fase creativa e produttiva dell’EP RITMO, RITMO!, pubblicato per la No Hope Records.
Ritmo, Ritmo! è prima di tutto un rapporto d’amicizia, nato molti anni fa ai tempi del liceo e poi perso qualche anno prima della pandemia. L’idea nasce da Sandro, che voleva ricominciare a suonare. Io (Pier) stavo lasciando il mondo della musica e probabilmente era l’unica persona che avrebbe potuto propormi una cosa simile per farmi ricominciare. L’idea era di entrare in sala prove e suonare quello che ci veniva in mente e quello che ci riusciva meglio.
In quelle prove abbiamo capito che ci piaceva e ci faceva ridere fare casino con due strumenti, così abbiamo iniziato a costruire qualcosa. Il nostro obiettivo, con basso e batteria, era creare qualcosa che avesse veramente ritmo, rispettando la natura dei nostri strumenti, anche se non in maniera standard, e ottenere un suono completo pur essendo solo in due. Da qui nascono i nostri primi due brani: HSS e Tubo Loop.
L’EP comincia con il pezzo HSS (da high speed steel, una tipologia di materiale in acciaio adatto per la lavorazione di utensili in metallo), dando una sapiente prova della vostra capacità di far esacerbare piacevolmente gli ascoltatori attraverso dinamicità e ritmi sghembi. Esiste anche un remix ad opera di Motja, in cui si sciorina una certa componente percussiva tra la techno e la dub in forma psichedelica e relativamente esotica. Parlateci del processo creativo del pezzo e di come avviene la collaborazione con il producer Motja.
HSS è un brano che unisce due diverse anime: una componente ritmica jazz e una legata a sonorità djent. Questa distinzione è evidente soprattutto nella parte iniziale, quando i due strumenti suonano i primi giri. Il brano è una progressione di intensità che culmina nella parte finale, dove il ritmo incalzante terzinato funge anche da coda. Sebbene abbia elementi post-metal, ci ricorda un’estetica più vicina alla techno. Da qui nasce la collaborazione con il nostro amico Matteo, che già aveva frequentato alcuni nostri concerti. Abbiamo deciso di lavorare insieme alla creazione di un eventuale spin-off postumo all’uscita di Ritmo, Ritmo!. Il finale di HSS è la motivazione per cui è stata scelta per la trasformazione in un artefatto digitale: infatti, rappresenta il tema ricorrente del brano.
Tubo Loop si sviluppa in un tempo 5/4 fulmineo e irregolare, secondo una durata più che lapidaria e un modus operandi composto da più componenti affastellate che si realizzano in un breve intervallo, idealmente istantaneo. Come avviene questa idea, metaforicamente parlando, di un qualcosa di ridimensionato dalla fisionomia arabescata e fatto di energia infuocata?
Tubo Loop si basa su una particella ritmica che mette l’accento sul levare, portando questo gioco anche nelle variazioni armoniche. Il brano è costruito attorno al suono del basso (e alla sua progressione cromatica armonica), che definisce il suono di Ritmo, Ritmo! e la nostra vicinanza al genere mathcore.
Una certa grandeur è associata alla chiusura FANTA!, che segue uno schema diverso e più eterogeneo rispetto gli altri pezzi. Se verso la metà si esprime una certa e diversificata teatralità attraverso una plastica diversificazione nel tempo e nelle frasi, verso la fine un effetto synth offre un tocco di dilatazione lisergica, aprendo a scenari più distesi per quanto riguarda le successive produzioni. Parlateci del modus operandi di questo pezzo di chiusura con dettagli più specifici rispetto ai precedenti.
Fanta! è il nostro studio sul noise rock. Volevamo produrre qualcosa di rumoroso e caotico, ma con un’esecuzione tecnica definita, che si manifestasse sin dal giro iniziale e poi fosse ripresa più avanti. Insomma, un’idea molto rumorosa, ma con una struttura ben delineata. Il secondo riff, quello doom, è una dimostrazione di come questa definizione sonora raggiunga la sua saturazione, per poi tornare al caos con ancora più potenza. La parte centrale serve a staccare dal forte caos precedente per costruire una progressione verso il finale. Il dialogo tra basso e batteria, con frasi alternate, richiama tempistiche compositive anni ’70, ma per noi imprime la giusta tensione, che esplode nel giro successivo e finale (anch’esso ispirato agli anni ’70, ma più in chiave stoner). Questo brano incarna, per come lo percepiamo noi, la nostra visione del rock e definisce la nostra identità.
Per quanto riguarda il singolo Divano Lento si esprime una certa fugacità nell’esecuzione, nonché una suddivisione in cui ogni parte di distingue nettamente rispetto le altre secondo un suono più familiare. Inoltre, se il percorso diventa più centrifugo, per quanto accennavamo nella precedente domanda, una certa rarefazione diventa più iconica nel vostro discorso musicale. Parlateci dell’artigianato associato. Inoltre, prenderete questa strada anche per i successivi lavori?
In Divano Lento, così come in tutto il nuovo disco Sabazia’s Tales, abbiamo lavorato sulla rielaborazione e sulla definizione del suono. Abbiamo aggiunto e sostituito componenti della batteria e affinato il suono di base del basso. In particolare, abbiamo cercato quella definizione sintetica che nel lavoro precedente ci era un po’ mancata, aggiungendo una punta sonora in entrambi i settori. Il risultato, a nostro avviso, è un lavoro più definito, che ci ha permesso di scrivere strutture e riff più complessi. Se Ritmo, Ritmo! era una prova delle nostre capacità, questo lavoro rappresenta il primo passo per delineare la nostra identità. Infatti, in Sabazia’s Tales tutti i brani hanno una durata simile e sono molto più coordinati a livello compositivo.