
Cover di Drizzle, a cura di Gabriele Calvi.
I Mooth sono una band pavese che unisce il rumore del noise rock con l’energia dello stoner. Il nucleo principale del quartetto esordisce a nome di Koan, band degli anni ’00 caratterizzata anche da sonorità grunge e generalmente psichedeliche che si possono individuare nell’EP autoprodotto Krav Maga e nella cover di Instant Karma! di John Lennon. Dopo il cambio di nome in Mooth e l’esordio di Slow Sun, il gruppo avvia la pubblicazione di una serie di quattro EP, giunta fino ad ora alla seconda uscita di Drizzle, pubblicato per Vollmer Industries nel 2024, disco dal suono massivo nonché da una maggiore versatilità per la componente vocale.
Di seguito un approfondimento dei temi citati con Cosimo “MoMo” Cinieri, voce e chitarra della band.
Parlateci dei vostri esordi. Nel 2013 pubblicate Slow Sun (Martiné Records, Toilet Smokers Club), dal suono doom/stoner più classico, in cui è facilmente riscontrabile una certa dimestichezza nel passare da parti più lente in senso doom/sludge ad altre più veloci legate allo stoner o al metal. Come avvengono questi elementi nell’album?
“La nostra storia comincia addirittura nel 2006 con il nome di Koan ed una formazione per ¾ uguale a quella di oggi a parte per il batterista: all’epoca suonava con noi Andrea Milanesi, poi nel 2012 sostituito da Gabriele Calvi, allora batterista dei Musashiden. Poco dopo l’ingresso di Gabriele ed aver registrato con lui una cover di John Lennon “Instant Karma”, sempre per la Martinè Records, abbiamo deciso di cambiare nome in Mooth. Ci è sempre piaciuto suonare un mix di stoner e noise rock: abbiamo sempre ascoltato band come Kyuss, Masters Of Reality, Fu Manchu, ma anche Jesus Lizard, Melvins, Shellac, Uzeda, Dazzling Killmen ecc… In tutti questi anni siamo cresciuti insieme sia personalmente che musicalmente: abbiamo sperimentato insieme suoni, strumenti, ritmi, cercando sempre di migliorarci. In Slow Sun abbiamo racchiuso, a mio parere, proprio tutto un capitolo di questa evoluzione inserendo anche elementi di quel hardcore in stile Black Flag (vedi il brano Red Carpet On The Hillside) che ci è sempre piaciuto.”
Riguardo la serie dei vostri quattro EP, come avviene l’idea della serie delle quattro uscite discografiche che tutte insieme devono vedere ancora la luce? Esiste un concept che permea il tutto?
“Noi facciamo parte di quella schiera di band che suona da anni con una certa costanza ed ha scritto una serie infinita di riff e brani tanto da lasciare a volte nel dimenticatoio brani davvero validi. Allora, seppur contrariamente alle logiche promozionali in ambito “rock”, abbiamo deciso di fare una cernita di alcune idee e trasformarle in brani e, non appena pronti, registrarli. Per ora, per motivi familiari di alcuni di noi, ci siamo fermati a due EP, ma in realtà abbiamo già pronti i pezzi per i prossimi due. Li registreremo il prima possibile e saranno diversi dai due precedenti.”
Leaden (per Vollmer Industries e Edison Box Records) si distingue per un carattere più psichedelico in cui la componente della melodia è centrale. Sweat, oscillante in una impostazione psych blues, offre un’idea di suono stoner/metal ideale nella generazione di suoni consonanti in associazione a distorsioni e elementi di dissonanza. Parlateci di queste caratteristiche.
“I brani del primo EP Leaden sono stati scritti dando più spazio alla voce: abbiamo fatto in modo di inserire meno variazioni ritmiche e “tenere più il punto” sui riff. Poi, anche dal punto di vista lirico abbiamo cercato di scrivere testi più acidi, sempre introspettivi come vuole la buona vecchia scuola HC, ma comunque più “strani”. Personalmente mi ricorda alcune cose dei Butthole Surfers e dei Royal Trux.”
Drizzle, il secondo EP della serie, è maggiormente incentrato su sonorità baritonali e fisiche, un’attitudine a creare rumore dall’impatto marmoreo e barocco, verso una destabilizzazione statica. Come avviene il processo creativo della suddetta uscita?
“I brani del secondo EP in realtà sono stati scritti prima di quelli di Leaden e conservano lo spirito di un periodo in cui avevamo solo voglia di tirare giù i muri. Credo di poter dire che siano più grunge sia nei suoni che nell’attitudine. Il nostro modo di creare musica, alla fine, non ha uno stilema particolare: suoniamo da così tanti anni che non abbiamo bisogno nemmeno di guardarci per capire dove ognuno di noi vuole andare a parare o cosa suonerà nell’attimo successivo. Ci conosciamo bene e sappiamo darci spazio e valorizzare le capacità dell’altro. Per cui se qualcuno di noi porta in sala prove un riff, di certo gli altri sanno renderlo al meglio senza rovinare lo spirito stesso dell’idea.”
In Slender vengono eseguiti dei pattern sonori più netti, caratterizzati da toni più bassi, mentre nella successiva Spangled il suono è più distorto, i riff si diversificano attraverso riff più aleatori, in cui vengono contemplate note più acute. Due pezzi che sembrano vivere di una certa simbiosi, con una attitudine verso uno stoner quasi astratto, poco legato al suo contesto. Come avvengono tali elementi?
“Sono brani che giocano un po’ con la sperimentazione ritmica, soprattutto Slender, in cui abbiamo cercato di incastrare anche una melodia vocale che si distaccasse da ciò che un riff del genere potesse richiamare. Le sonorità heavy finali poi preparano all’ascolto di Spangled che invece è una “cavalcata” stoner in stile Red Fang ma con una strizzatina d’occhio sempre al noise rock.”
Un suono più blues e psichedelico caratterizza l’ultima traccia Godspeed, in cui diventa centrale un suono grunge, attraverso strutture spigolose e matematiche. Una chiusura più melodica all’interno dell’EP, in cui si incontrano la creatività di Leaden e il tocco impattante dei due pezzi precedenti. Ci volete parlare di come trova senso questa unione di elementi?
“Esattamente, Godspeed suona come uno di quei brani dal sapore grunge ancora un po’ influenzati dalla new wave. Volevamo dare un po’ di respiro all’EP per dare poi un input a quello che sarà il prossimo che avrà uno stile ancora diverso.
“Alla fine, il trait d’union dei brani e della musica in generale che facciamo/scriviamo da anni oramai è la nostra amicizia e tutto il percorso di vita che ha seguito. Non siamo mai stati una band che ha puntato alla ribalta, e di certo non lo faremo ora. Mi è sempre piaciuto pensare ai Mooth come ad una sorta di essere multicolore mutante e mutevole dallo spirito anarchico e libero da convenzioni, come rappresentato dalla copertina di Krav Maga, nostro disco del 2009 ancora a nome Koan. (Un’immagine della cover di può trovare a qui presente link di una recensione di Krav Maga firmata da Fabrizio Bertogliatti, pubblicata su metal.it, nda.)”