Kraut punk, tra garage e psichedelia, per i TV Dust
di Giovanni Panetta
Intervista ai TV Dust riguardo il loro album Transition, pubblicato per Maple Death Records, e la fase precedente della loro carriera.
Transition

Cover di Transition, artwork di Andrea De Franco.

L’insieme di sonorità che più vagamente viene denominato con l’etichetta di “kraut punk” è stato poco contemplato nel corso della pop music più eccentrica, che ha visto come alcuni dei principali esponenti storici i seguenti progetti: Devo, Pere Ubu, The Fall, Gang Of Four, The Pop Group, nonché i tedeschi, o autoctoni rispetto una parte delle origini, Teenage Panzerkorps; tutti gruppi diversi tra loro, in maniera differente, che hanno dato vita ad un’unione tra la visceralità del punk con la sperimentazione ritmicamente sghemba del krautrock, legata maggiormente a gruppi come i coloniani Can o i Neu da Düsseldorf, oppure più lateralmente Faust e Cluster.

I TV Dust, un progetto più recente proveniente da Milano, formato da Sergio “Byron” Tringali (batteria, percussioni), Filippo “Fillo” Aloisi (basso) e Gaetano “Tano” Pappalardo (sax, synth), utilizzano la formula citata di natura anglofona e tedesca, in connubio con altre influenze derivate in parte dal garage o dalla psichedelia, attingendo più largamente anche dal post-punk. Nel 2025 esce Transition per Maple Death Records, il primo album dei TV Dust in cui più organicamente si sviluppano le idee esordite nei loro EP pubblicati precedentemente.

Ne parliamo più nello specifico con i tre componenti dei TV Dust, delineando un percorso lungo la loro esperienza nel progetto.

Prima di Transition avete pubblicato quattro EP, che sono stati raccolti nella compilation 4 EP (Maple Death, My Own Private Records, 2022), ovvero: TV Dust (Occult Punk Gang, 2018), Forget (My Own Private Records, Occult Punk Gang, 2019), Beep (Sentiero Futuro Produzioni, 2021) e It’s Clear (per la prima volta pubblicato all’interno di 4 EP). L’EP omonimo naviga di più in una poetica sixties, in cui il pezzo Little Church rimanda a vaghe ispirazioni dalla psichedelìa decadente di Sister Ray dei Velvet Underground. Forget è più incentrato su uno psych kraut, dominato dalla più iconica Together per via del peculiare apporto strumentale. Beep unisce le polarità rappresentate dai due EP precedenti, in cui la chiusura propende verso una alienazione cosmica (Opposition, Believe), mentre l’ultima uscita tergiversa verso una summa in stile garage australiano. Tutti questi lavori rappresentano un percorso che confluirà verso Transition in una forma ancora più coesa ed esauriente. Volevo sapere da voi quali sono le contaminazioni per questi inizi in cui le influenze generalmente psych rock sono più evidenti.

Sergio “Byron” Tringali: “Essendo il tramite tra la vecchia e la nuova formazione, ti dico subito che non abbiamo mai sentito la necessità di seguire un genere musicale specifico. Né prima, né dopo. Personalmente ho vissuto questa transizione in modo naturale: con l’arrivo di nuovi membri, ognuno ha portato la propria personalità e il risultato è stato un mix unico di tre identità diverse. Riascoltando le nostre prime tracce la combinazione di suoni ci convinceva e, grazie anche ai pre-ascolti condivisi con i nostri amici più cari, abbiamo trovato la spinta per proseguire in quella direzione. Ascolto generi molto diversi tra loro: dal Jazz al Nu-jazz mischiato con la Black Music, il Funk degli anni ‘70, il Krautrock, il Post-Punk (sia il primordiale che il post-post) e la No-Wave. Naturalmente adoro la Psichedelia in tutte le sue forme.”

Gaetano “Tano” Pappalardo: “Credo che le influenze derivino da un approccio variegato all’ascolto della musica. Di solito ascolto un po’ di tutto: dalla musica Classica alla Trap, dal Rock al Cantautorato, fino all’Elettronica d’ascolto o dance. In generale, non mi sento legato a un genere specifico, ma apprezzo ogni singolo brano, e mi piace trarre ispirazione da diverse fonti.”

Filippo “Fillo” Aloisi: “Il krautrock dei Can e Neu è stato d’ispirazione anche per i vecchi Tv Dust. Quindi ho cercato di creare qualcosa nello stesso contesto ma che mi appartenesse, che mi piacesse. Credo che nell’ensemble in trio, sia molto più chiara la questione delle influenze musicali. Cambiando solo uno strumentista su tre le intenzioni di un brano o di un gruppo possono cambiare completamente. L’ascolto è molto importante se si vuole creare musica, ma soprattutto conoscere i movimenti e le contro-culture che hanno generato musica così variegata e bella. L’ascolto dovrebbe essere d’ispirazione, non per imitare, ma per stravolgere quello che si è imparato e capito. Le band che mi appartengono di più sono: Il Teatro degli Orrori, Uzeda, Zu, Swans, Lightning Bolt, Sun Ra Arkestra, Pharoah Sanders, Moondog, Terry Riley, Thelonious Monk, Charles Mingus, Portishead, Beak, Autechre, Squarepusher, Boards of Canada.”

Parliamo del processo creativo di Transition. Un cambio di poetica è decisivo in questo lavoro, quindi volevo sapere cosa ha contribuito maggiormente e più nel dettaglio in tale processo. Quanto ha influito l’arrivo del nuovo componente al sassofono e tastiere, ovvero Gaetano Pappalardo?

Gaetano “Tano” Pappalardo: “Prima di intraprendere l’avventura con i TV Dust, ero alla ricerca di nuove soluzioni timbriche per il sax e avevo appena iniziato ad avvicinarmi al mondo dei Synth. Con Byron ci siamo conosciuti intorno al 2019 (grazie all’amico Bruno Casiraghi, nostro carissimo amico che si è occupato della saletta in cui provavamo in quelli che erano gli albori di Macao in viale Molise) e abbiamo cominciato a registrare in modo molto spartano i primi esperimenti, che sono poi confluiti nell’album-session Toxic Natives. Da questi esperimenti siamo partiti per forgiare il suono dei TV Dust. L’approccio è stato istintivo e il più possibile privo di dogmi: ciò che ci piaceva e che sentivamo ci portava verso sonorità che consideravamo efficaci è stato integrato con alcune soluzioni della precedente formazione. È stato un po’ come navigare a vista. La scelta di una strumentazione puramente musicale ci ha permesso di liberarci dal vincolo del linguaggio verbale, lasciando che il suono parlasse per evocazione anziché per un significato fisso e determinato.”

Sergio “Byron” Tringali: “Ha avuto un impatto significativo, sia sul suono che sulle intenzioni del gruppo. L’arrivo di Tano – con cui avevo già sperimentato per anni in precedenza – ha segnato la fine di un capitolo e l’inizio di uno nuovo. La mancanza di una voce, di un cantante, ci ha liberati da immagini e sentimenti che spesso rimanevano personali o introspettivi. Ora, senza parole, il suono si apre a molteplici scenari possibili, diventando una voce collettiva. Un qualcosa di non immediatamente identificabile e quindi più profondo, più unico.”

Dall’andamento sinusoidale e stocastico, richiamando una struttura non matematica ma bensì naturalmente imperfetta, è il pezzo Why Spuzz Out, un dialogo oscillante a più voci. Il pezzo è nel segno di un suono dance punk in bilico tra no wave e baluginanti rimandi alla mutant disco. Uno dei brani più istintivi dell’album ma con una forma familiarmente ben definita. Come avviene l’idea e l’esecuzione di questo pezzo?

Filippo “Fillo” Aloisi: “Se non ricordo male, Tano tirò fuori tre note dalla Bontempi. Da questo punto di partenza, abbiamo collaborato tutti alla creazione di questo cocktail alchemico, suonandolo senza sosta, lasciandoci trasportare dal piacere di sentirlo scorrere dentro di noi. Pian piano abbiamo capito cosa funzionava per Why Spuzz Out. L’andamento era una dinamica in crescita, pochi elementi scelti con cura per dargli carattere, senza badare troppo all’armonia. Il cambio di tempo alla fine non era pianificato; è venuto fuori in modo naturale. Forse eravamo semplicemente saturi di suonare quelle tre note nella stessa metrica. Grazie al pre-ascolto di cui parlava Byron, siamo riusciti poi a ricostruire a casa ciò che era stato catturato nelle registrazioni delle sessioni. È l’unico pezzo con un assolo di basso nel disco. Sapevo davvero poche cose su quell’assolo. Precisamente due: la prima che dovevo farlo, l’altra che mi ero imposto di farlo con il Whammy Ricochet.”

Gaetano “Tano” Pappalardo: “Siamo partiti da tre notine della Bontempi e poi è andata come ha detto Fillo! Confermo.”

L’ultimo pezzo, una suite caotica e rumorista di nome Volcanic Collapse, crea un epilogo dirompente, nel nome della vostra energia lavica e arabescata. Il pezzo, in cui il leitmotiv è il disordine sonoro, si intensifica in tal senso sempre più nel suo progresso, in cui si simula ricalcando, metaforicamente con carta carbone e larghi gradi di libertà, uno dei precedenti pezzi che formano l’album, secondo un modus operandi a dir poco etilico. Come nasce l’idea di questa quasi-improvvisazione nel nome della stocasticità? 

Sergio “Byron” Tringali: “Un giorno ero solo e sconsolato in saletta, registrando e sperimentando. Volevo creare qualcosa di astratto, completamente libero. Ho lasciato sedimentare quella traccia registrata di batteria per qualche mese. Inizialmente durava circa 16 minuti – successivamente l’avrei tagliata a circa otto minuti per farla entrare nel disco. Era una traccia non destinata ai TV Dust, per me rimaneva una sperimentazione. Poi, quando eravamo in chiusura del disco, Jonathan (Maple Death) con il suo adorabile aplomb mi disse: ”Sai cosa manca? Un pezzo pazzo”. Non ricordo le parole esatte, ma il senso era quello. Da lì mi è tornata in mente quella vecchia traccia di batteria astratta e ho deciso di riportarla in vita. Con Tano, eravamo in fase di transizione, senza un bassista, abbiamo scelto di aggiungerci sopra il sax. Devo dire che col suo sax ha colto alla perfezione il caos ritmico che sentiva nelle cuffie mentre lo registrava. Il giorno dopo, ascoltando il pezzo, gli ho fatto i miei più sinceri complimenti. Oggi tengo molto a questo pezzo perché è qualcosa di incalcolabile. E come tutte le cose incalcolabili, al primo ascolto può spiazzare, ma se gli dai tempo, potresti anche affezionarti.”

Gaetano “Tano” Pappalardo: “Quando abbiamo registrato Volcanic Collapse con Byron provavamo gli altri brani con il basso pre-registrato, per impararli bene. Prima di cominciare a fare le prove con i pezzi che avevamo già strutturato ci riscaldavamo improvvisando con sax e batteria. Alcune cose che sono uscite fuori le ho portate nella registrazione di Volcanic collapse. Probabilmente se non ci fossimo ritrovati solo io e Byron un pezzo così non sarebbe mai uscito fuori. Penso che questo brano sia proprio il risultato di qualcosa che va oltre la musica. Capita che delle situazioni arrivino senza preavviso e allora dici: “ma sai che c’è? Qua c’è da sparigliare tutte le carte”.”

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