Durante questo attuale periodo di pandemia, il corso della musica è stato a lungo ostacolato, sia a livello di produzione musicali che anche per le esibizioni dal vivo. Ma non è mancato l’entusiasmo di creare nuovi flussi di suoni con tutti i mezzi a disposizione del passato lockdown. È il caso di Lorenzo “Blanco” Sguanci (Djeco e Sbrotha), e Stefano Spataro già in Ada-Nuki, Occhio Trio, La Sedia Di Wittgenstein, Bokassà e negli HysM?Duo, questi ultimi tutt’ora in attività, che il 26 Aprile di quest’anno fanno uscire un disco split, chiamato per nulla a caso Spit A Split, per l’etichetta di Stefano, ovvero la HysM?; un lavoro formato da quasi trenta minuti formati da infette particelle di Flügge di elettronica deviata che ha come punti di riferimento Tangerine Dream, This Heat, i più recenti A Short Apnea (in cui a pari merito con il duo succitato si sperimenta con field recording e distorsioni), aggiungendo qualcosa di Aphex Twin. L’edizione del CD si è presentata come limitata – solo 20 copie da distribuire per chi, in tempi di lockdown, voleva vivere a casa un ritiro pandemico tra oscuri suoni cosmici e digitali, segnando con l’orecchio e la mente nuove coordinate spaziali.
Sentiamo quindi cosa hanno da dirci Lorenzo e Stefano, i quali nel lavoro si presentano rispettivamente come Miss Blanche e Big Whan Mojo Arakkhmel.
Partiamo dal contesto: Spit A Split esce durante il periodo di lockdown, facendo cogliere l’occasione di allietare il vostri ascoltatori in quarantena attraverso un kraut-post punk che attinge all’elettronica. Ma nello specifico, come nasce la vostra collaborazione e quali furono i vostri reali intenti?
Lorenzo Sguanci: “Con Stefano ci scambiamo spesso, per non dire sempre, il materiale che produciamo o di cui veniamo a conoscenza; non solo in termini di musica, ma anche di scritti (Stefano è ormai uno scrittore avviato, io qualche volta mi diverto con dei racconti brevi), di fumetti, ecc. Tutti argomenti di un certo piacere, insomma. Così, quando ho cominciato a sfruttare questa lunga quarantena per avvicinarmi alla produzione di musica in digitale, mi è stato naturale inviargli ciò che mi stava venendo fuori. Ci siamo così spronati a vicenda: io a continuare e definire quello che stavo facendo, Stefano a tirare fuori dal frigo alcune idee mai assemblate del tutto. Il risultato è Spit a Split. Riguardo all’intento, il mio è stato quello di provarmi su un terreno che conoscevo solo da ascoltatore, ma che non avevo ancora saggiato come compositore”.
Stefano Spataro: “Personalmente, dopo un periodo di tempo nel quale la nostra etichetta stava ferma da un po’ di tempo, sentivo l’esigenza di produrre qualcosa di nuovo. In regime di quarantena, poi, la cosa più semplice è stata tirare fuori dagli archivi pezzi di field recordings e una vecchia session solista inascoltabile e missarla in una sorta di presa diretta a due vie. L’unico (o uno dei pochissimi) disposti a farsi prendere bene abbastanza da una cosa del genere era Lorenzo, che ora che ci penso mi passò il suo materiale da ascoltare. Da lì a pensare a uno split c’è stato il tempo di due battute sulla chat di Facebook”.
Come accennato, Spit A Split gioca con molti elementi oscuri e sghembi del krautrock e del post punk, adattati a volte alla poetica dell’elettronica, ma con mezzi un po’ diversi; diciamo che in certi momenti mi avete fatto pensare ad Aphex Twin. Attraverso suoni più analogici vengono riprodotte le stesse intuizioni dello sperimentatore irlandese, anche senza pensieri riguardo all’utilizzo di percussioni o a volte di un basso. Ma balza all’orecchio un suono, spesso “granulare”, dell’elettronica. È chiaro il gioco analogico/digitale che è il vero leitmotiv del lavoro. Magari le vostre idee avevano bisogno di più mezzi, ma a me è piaciuto proprio questo: sembra che l’arrangiarsi dà spazio ad una creatività a suo modo aldilà dei tempi. Per me questo rende unico questo lavoro. La domanda è quindi naturale: quanto c’è di meditato e quanto di improvvisato nel disco in merito a quanto detto?
Lorenzo Sguanci: “Beh che dire riguardo Aphex Twin, il modo in cui compone e “tratta” le parti ritmiche e percussive sono, forse scontatamente, ciò che mi è sempre piaciuto di più di lui; quindi riguardo il mio progetto, penso sia inevitabile qualche rimando. Meditata è stata la contrapposizione tra le nostre musiche, evocanti spazi opposti: un luogo chiuso e fin troppo fisico, sperimentato con la quarantena e richiamato da Stefano. Io mi sono invece concentrato su gli spazi aperti, o meglio sul ricordo di essi, che ci stavano mancando”.
Stefano Spataro: “Nelle mie tracce (Big Whan Mojo Arrakhmel) c’è stata una sorta di doppia improvvisazione. La prima fase è stata quella della raccolta dei suoni ambientali (da una parte) e la registrazione, in impro, della session (dall’altra). Dopodiché, come ho accennato, ho missato tutto in presa con un programmino da dj digitale, anche qui, one shot. L’unico aggiustamento in fase di mastering è stata la rimozione (spesso brutale) di alcuni glitch davvero troppo innaturali e disturbanti”.
Le due tracce esclusivamente ad opera di Stefano Spataro (su questo disco in arte Big Whan Mojo Arrakhmel) gioca con linee più oscure; inoltre il suono va oltre ipotetici punti di riferimento come l’industrial à la Throbbing Gristle, tingendosi di tonalità più asciutte e più circolari. Soprattutto c’è un artigianato musicale più “palpabile”: in Palingenesi si utilizza la voce di Pier Paolo Pasolini (presente in un intervista di Enzo Biagi del 1971) mentre in Apnea si sentono rumori di musica concreta. Un suono più casalingo di efficace intuizione e con un senso melodico che a tratti a certa library music. Stefano, ma quali sono stati i tuoi effettivi punti di riferimento per Spit A Split?
Stefano Spataro: “I punti di riferimento essenziali per me (in questo lavoro in particolare) sono stati i grandi del krautrock elettronico: Klaus Schulze, Tangerine Dream, Edgar Froese da solista, ma anche un certo sound post-punk più d’avanguardia, come potrebbe essere quello tratto dal primo disco dei This Heat (nelle parti meno rock) o dal Fred Frith più marcio e sperimentale. Poi, si sa, gli ascolti influiscono tutti, e il tributo agli A Short Apnea c’è anche nel titolo di un pezzo…”.
Per quanto riguarda Lorenzo Sguanci (in arte questa volta Miss Blanche) c’è sempre e comunque una certa ombrosità in musica, ma forse più in senso melodico; il suono che assomiglia ad un sfioramento di bicchieri di cristallo in Stàrec, il basso elettrico in J Dica e l’effetto granulare dell’elettronica in generale trasmettono una certa calorosità a livello sonoro che a volte guarda a certa ambient o a certi dettagli del progressive. Rispetto ai tuoi precedenti progetti c’è un maggiore sviluppo in territori maggiormente elettronici. Per caso, Lorenzo, l’elettroacustica e una maggiore attitudine consonante segneranno il futuro musicale?
Lorenzo Sguanci: “Il mio intento è stato proprio quello di provare ad utilizzare suoni che esprimessero un luogo scuro ma non necessariamente aggressivo, tipo un deserto di notte ma con un cielo stellato. Tutto il contrario di ciò che faccio con gli altri miei progetti (Djeco, Sbrotha) in cui l’atmosfera è molto più frenetica e veemente. Anche e soprattutto questa è stata la sfida con me stesso, uscire più possibile da quella che è solitamente la mia comfort zone di cambi di tempo violenti e volumi alti. Comporre principalmente in ore notturne penso abbia aiutato”.
Ciascuno di voi ci spieghi l’origine dei vostri moniker e il perché della scelta. Mi risulta che Miss Blanche sia un modello di un oggetto di design artistico (una sedia di plastica acrilica nei cui strati si trovano delle rose finte); per quanto riguarda Big Whan Mojo Arrakhmel il tema è quello della pandemia. Diteci un po’ di più.
Lorenzo Sguanci: “Uno dei materiali preferiti di Kuramata, padre appunto dell’opera Miss Blanche da te citata, era la plastica acrilica (di cui la sedia è composta), perché era da lui considerato un “materiale ambiguo, freddo come il vetro e allo stesso tempo caldo come il legno.” Questo contrasto di sensazioni mi è piaciuto molto, e rispecchia ciò che volevo trasmettere quando l’idea del progetto elettronico cominciava a formarsi”.
Stefano Spataro: “Qualche tempo fa feci uno di quei giochini online dove inserivi il tuo nome e la tua data di nascita e il programma di forniva un moniker hip hop. Bene, non ricordo assolutamente quale fosse, tuttavia ricordo fosse Big qualcosa, poi Whan richiamava, come dici, la situazione che stavamo vivendo. Il resto non chiedermelo perché non saprei dirtelo, cercavo qualcosa di lungo, che suonasse bene e anche un po’ mediorientale/rap, per fare qualcosa di elettroacustico e rumoroso. Poi a Miss Blanche piacque subito, quindi…”.
Per concludere, speriamo di sentirvi dal vivo al più presto anche in set individuali. Vi chiedo se ci saranno nuove uscite per quanto riguarda i vostri progetti, HysM?Duo e Sbrotha compresi. In più, Stefano, ci saranno buone notizie anche dalla HysM? etichetta, dal momento che si è abbastanza riattivata?
Stefano Spataro: “Dubito di poter fare un live con un set con questo nome davvero infruibile! Scherzi a parte, magari ci sarà modo di fare qualcosa anche in telepresenza, una diretta o chissà… HysM?Duo ha progetti in cantiere per quest’estate e so che i due Djeco (Lorenzo e Mattia (Betti, rispettivamente bassista e batterista nel gruppo citato, ndr) son tornati a farsi le fusa da quando si può uscire di casa. HysM? ha sfornato delle cose, è iniziata la fase di archiviazione di tutto il catalogo e ci sono in cantiere diversi progetti, tra cui un mio disco, che stavolta chiamerò a mio nome. È un periodo difficile (lo è per tutti), ma la volontà di tornare a sfornare musica è sempre viva”.