L’immaginario rétro e hip hop di 30 Door Key
di Giovanni Panetta
Intervista a 30 Door Key (Alessio Bosco) in merito all'album A Warning To The Curious, per Subexotic. Rivisitazione di krautrock, library music e suoni lounge.
A Warning To The Curious

Cover di A Warning To The Curious, grafica di Alessio Bosco.

30 Door Key è un progetto di Alessio Bosco immerso nel mondo della nella musica elettronica dall’estetica storicizzata, in cui rivisita sonorità library, lounge, contemporanee, krautrock in una veste moderna, attraverso ad esempio l’aggiunta di beat e tecnica sampling di derivazione hip hop. Il tutto permeato da citazioni cinematografiche più rétro, in cui non a caso ’30 Door Key’ è la citazione del titolo di un film di Jerzy Skolimowski (‘Ferdydurke’ in Polacco, ispirato dall’omonimo romanzo di Witold Gombrowicz). 30 Door Key, l’artista, rimodella il tutto con un approccio intimo ed entusiasta, riprendendo quello spirito old-fashioned, il quale, nel vincolo di specifiche regole, ha dato vita ad un corpus di poetiche musicali esteticamente fervide e di impatto al di là di tutti i tempi.

Dopo il confronto in merito alla prima uscita omonima, riprendiamp a dialogare con 30 Door Key nella seguente intervista, in merito all’album A Warning To The Curious, pubblicato nel 2025 per Subexotic.

Parlaci di come avviene il processo creativo per questo tuo primo album, ovvero A Warning To The Curious.

“Non ho un preciso metodo di lavoro, anzi non ce l’ho per niente. Non saprei definire come, quando e perché certe vaghezze arrivino a prendere forma. Succede che qualcosa ti rimandi a qualcos’altro e poi a qualcos’altro ancora, che si riallaccia ad un ricordo che fa venir fuori un’idea che può essere un microsuono, un sample, un ritmo o una qualche armonia. Con 30DK mi sono guardato bene dal pormi dei limiti. Riprendiamo un madrigale del ‘500 e lo trasformiamo in una sorta di parodia ritual ambient? Certo. Decontestualizziamo il monologo finale di Railway Children fino a caricarlo di un senso sinistro e spettrale? Ok. Suoniamo i Popol Vuh su una tastiera MIDI fino a renderli irriconoscibili? Non vedo perché no.”

L’album viaggia su più parametri espressivi rispetto al precedente EP omonimo; se le tracce dell’uscita 30 Door Key hanno una struttura più consonante, di aspetto da library music o easy listening, con A Warning To The Curious si devia più verso la cinematic, infondendo una profondità di pattern che plasma l’emotività nell’ascolto. Come avviene questo cambio di direttive?

“L’EP omonimo era un primo, piccolo, atto. Doveva essere un biglietto da visita, un modo per farsi conoscere. Ho creduto fosse più opportuno, nello spazio ridotto di quelle 4 tracce + 1, raggruppare dei brani che avessero qualche linea comune, che fossero più simili nei tratti essenziali. Di fatto quei brani nascevano dalle stesse sessioni di quelli di A Warning… ho soltanto operato una selezione dei pezzi che immaginavo più adeguati a quel formato, non c’è stato un cambio di direttiva perché in effetti fin dal principio le direttive sono state orientate in ogni luogo possibile. Nella misura più estesa del doppio LP ho soltanto lasciato che attraverso lo schermo dimensionale della 30DK TV passasse anche ogni altra cosa, senza più alcuna limitazione. 30DK è la stazione televisiva di un altrove all’incrocio degli assi del tempo e dello spazio. I brani di A Warning… sono i programmi di un palinsesto ultra dimensionale, che usa i suoni in luogo delle immagini. Ecco perché può apparirti cinematico, perché in effetti fa di tutto per esserlo. Cinema filtrato da uno schermo catodico distillato in tracce audiofoniche.”

La prima traccia inedita, Yz Klömidjia, naviga tra pattern sintetici di onde pure à la Klaus Schulze, generando un effetto in cui le melodie sinusoidali sfumano in beat oscillanti elasticamente. Come avviene questa idea dualistica in un’istanza?

“Seppure so per certo che non sarà recepito da tutti come tale ma alle mie orecchie quello di 30DK è pop, persino folk, e come tale tende a non rinunciare ad una sua qualche forma melodica. Non è una legge assoluta ma finora è andata così. L’elettronica per me è stata sempre un mezzo, non un fine. Un mezzo che, seppure non mi appartenga in alcun modo la ricerca inesausta sulla purezza del suono (direi proprio tutto il contrario), il sound design, l’attenzione maniacale sulle frequenze, la caccia costante alla strumentazione più attuale, mi diletta alquanto. Tuttavia, non è detto che in futuro possa anche cedere il posto a qualcosa di più organico, acustico, chissà. Ti dirò di più, in effetti la necessità di una parte squisitamente armonica è proprio il lascito degli infiniti ascolti di numi come Schulze o Tangerine Dream, quando andavano oltre l’atonalità e arrivavano a quelle sorte di sospensioni sinfoniche wagneriane. Per non dire di tutto quel filone, tra library, Moog music, lounge, ecc. che seguiva le suggestioni bislacche dei suoni sintetici per definire composizioni folli ed ironiche, sempre profondamente melodiche, a tratti persino popolaresche (Kingsland, Vickers, Umiliani…). Filone che ho molto a cuore, specie se rivisto attraverso quella annebbiata prospettiva storica che lo rende pure straniante ed onirico.”

Hozra Too Da Kuriuz segue una direzione quasi “carlosiana” (da Wendy Carlos), in cui si aggiungono parti di batteria e un collage hip hop di una parte vocale quasi in senso scattato. Il pezzo appare peculiare rispetto agli altri pezzi, con un quid in più; si cerca di convergere in una direzione più espressiva attraverso un artigianato eterogeneo. Come avviene questa caratteristica più slegata dal leitmotiv generale?

“Avevo tirato fuori quella fanfara di synth che si può ascoltare a metà del pezzo. Aveva un afflato medievaleggiante che mi andava di rimarcare. Mi ricordava Almost Medieval degli Human League. Allora mi domando perché non catturare qualcosa di arcaico come le percussioni di una danza tradizionale scozzese e un marranzano siciliano, metterle insieme e vedere che succede. E se tutto questo ti ricorda, inspiegabilmente, Matmos o The Books, perché non riprendere quel loro modo giocoso e straniante di rimontare i cut up vocali? Ecco, perché non farlo? Solo perché si rischia il bizzarro e l’esotico fine a se stesso? Fino a un po’ di tempo fa avrei detto che sarebbe stato più che un buon motivo, oggi mi sembra la forma più alta alla quale aspirare! Avere abbastanza personalità per prendere ogni cosa, anche la più stramba, e rimodellarla fino a renderla nuova. Far in modo che pure l’improbabile diventi plausibile, che le singole parti non risultino più una somma di elementi diversi, non più così distinguibili gli uni dagli altri e rendere il tutto inconfondibilmente tuo. Ci sono riuscito? Ovviamente no! Per fortuna, così ho ancora la giusta motivazione per continuare a provare.
Hozra è la titletrack tradotta in 30DKish, il modo “migliore” per avvertire di un pericolo imminente: una serie di parole tagliuzzate e rimontate a caso, una lingua che a tutti può apparire stranamente familiare ma che nessuno potrebbe decodificare per davvero…
L’hip hop c’entra senz’altro, perché se maneggi beats e samples non puoi far finta che tutto non venga da lì, e Wendy Carlos a maggior ragione, perché la zia è presente in ogni tasto di ogni synth, in ogni cavo, in ogni potenziometro, in ogni modulare presente al mondo (con i Kraftwerk, Schulze, Vangelis, Ciani, Jarre…).”

Dal carattere più onirico è la traccia Thashee, in cui si riproducono scenari di cinematografia anni ‘50; all’inizio sembrano stagliarsi pattern visivi in musica, di riflessi cromatici a spicchi caleidoscopici, che sfumano poi etereamente in scenari fantascientifici, quasi à la The Twilight Zone. Parlaci di come si delinea questo evocare più forme d’arte.

“Descrizione eccellente! Non ci avevo pensato fino ad adesso ma hai portato a visualizzarla così anche me. Un caleidoscopio con granuli sonori che si intersecano, sdoppiano, sovrappongono…Divoro il cinema con ingordigia, me ne nutro avidamente da quando ne ho memoria, parlo di cinema in continuazione, è il filtro attraverso il quale guardo la realtà, forse anche più della musica. Ho pure giocato a fare il critico cinematografico per un po’ (e in effetti continuo a farlo in privato, a danno della pazienza di amici e conoscenti). E poi, non sono per niente un esperto, anzi so che non ne saprò mai abbastanza, ma ho una particolare passione per l’arte grafica, per il fumetto, l’animazione… Ed ho sempre adorato gli esperimenti infradisciplinari tra musica ed altro, le confezioni bizzarre, le copertine apribili in modi inattesi, ecc. Da subito ho pensato a 30DK in quell’ottica. Finora ho realizzato solo dei piccoli video ma ho qualche altra idea che mi piacerebbe sviluppare…”

Altra traccia più insolita è Monolith In Bowler, in cui si palesano elementi downtempo intra res. È interessante come scenari più legati agli anni ‘90 si uniscono a uno sfondo di musica cinematic e library, nell’ottica di un agglomerato interessante nella sua generale eterodossia. Come avviene tale mix di istanze?

“Monolith… è quello che considero il mio pezzo plunderphonico. Ho raccattato suoni qui e lì e li ho cuciti insieme. Sempre nel nome della più assoluta libertà da vincoli di qualsiasi sorta. Quello che m’interessa è rievocare un’atmosfera, una qualche rimembranza, uno stato emotivo, la sensazione di una qualche sospensione temporale. L’idea che quello che stai ascoltando possa arrivare contemporaneamente dal passato, dal presente e dal futuro. Ogni volta diventa quasi una sfida con la pagina bianca da riempire ed ogni volta questa mia piccola, ostinata, ricerca mi conduce in territori che possono differire nella forma ma in definitiva, direi, non tanto nella sostanza. In questo caso ho giocato a fare Negativland, provando a portare quel tipo di concetti in un territorio meno ostico a me più congeniale. Stavo riascoltando la OST di Ghost Dog e mi è venuta voglia di partire da qualcosa che mi richiamasse proprio il mood epico e gracchiante che tiene RZA in quel lavoro. Quindi l’hip hop c’entra anche in questo caso.”

In conclusione, e tradendo di nuovo il trend generale, Kynna Mær è delineata da linee melodiche consonanti e morbide che si ripetono ondivagamente, il tutto in una lullaby spaziale con momenti di hook musicalmente più intensi. Come avviene questa epifania musicale, in cui compare una certa variazione di colore?

“Volevo il “pezzo finale”. Quel brano che si distacca un po’ dal resto e mette un punto al disco. Tipo Decades su Closer, Death Trip su Raw Power, A Day In The Life su Sgt. Pepper’s, insomma ci siamo capiti. Ho lavorato a Kynna proprio nell’ottica di farne il “pezzo finale”. Non avendo in corpo neanche una particella subatomica del talento degli autori dei titoli colossali che ho citato sopra, non potevo certo riprodurre malamente quel meccanismo di elegante commiato. Così ho pensato ad un “pezzo finale” che, non accompagnasse tanto fuori dal disco, ma che al contrario fosse la porta d’accesso al mondo parallelo vagheggiato per tutto il resto dell’album. La parte terminale del percorso. Ho ripreso una melodia à la Neu e l’ho spostata su un’ostinato funk siderale. La mia idea di psycho-house, la mia Groove Is In The Heart! Solo che, piuttosto che evocare danze sfrenate, pasticche e disimpegno, ti spinge nell’ignoto, con subdola, ineffabile, fantasmatica, malinconia lisergica. Un down che dovrebbe incuriosire, che dovrebbe spingere verso una nuova, prossima, avventura ed intanto indurre (si spera, almeno nelle intenzioni) a riascoltare tutto il disco daccapo. Avrai capito a questo punto che quelle di 30DK e A Warning… sono storie di fantasmi, di archivi, di rievocazioni di cose più o meno perdute, più o meno personali. Memorie costruite con altre memorie, memorie di vite mai vissute o vissute a distanza o vissute da altri…

“Mi scuso per l’interruzione. I programmi riprenderanno il più presto possibile.”

Share This