30 Door Key, suoni storici tra cinematic, krautrock e post-punk
di Giovanni Panetta
Intervista a 30 Door Key, ovvero Alessio Bosco, artista palermitano che si muove tra kraut, cinematic e post-punk a risonanza internazionale.
30 Door Key

Cover di 30 Door Key. Artwork di Alessio Bosco.

Alessio Bosco è un artista palermitano che da poco, a nome 30 Door Key per la prima volta, ha pubblicato un EP omonimo in formato 7″ pollici. Il disco è caratterizzato da sonorità kosmiche music e soundtrack, in cui si strizza l’occhio al post-punk a livello sia di ritmo che di melodie; brano Il brano Lucifer in Cefalu presenta anche chiari rimandi alla library music attraverso un artigianato plastico del suono con vincolo una mirata e vincolante periodicità. Il 7″ è uscito per la Feral Child Recording, etichetta inglese specializzata in sonorità krautrock, folk e new wave, insieme alla pubblicazione di private press.

Ritroviamo Alessio anche nella compilation L SERIES #6 della Russian Library, sempre a nome 30 Door Key, con un brano intitolato A Place Nobody Know; la tracklist di questo 10″ compre brani di artisti da più parti del mondo (USA, Portogallo, UK, Germania, non solo Italia), tutte offerte kraut/cinematic (con elementi anche ambient e spoken word) in cui il pezzo di 30 Door Key si muove in una direzione dilatata e lisergica, insieme ad un lirismo che riflette un certo progressive rock melodico (soprattutto nel finale). Probabilmente un brano che apre a nuovi orizzonti nella produzione dell’artista siciliano.

Di seguito l’intervista ad Alessio sulla sua uscita omonima, in cui abbiamo chiesto anche del suo passato e futuro.

Cominciamo dagli inizi. Parlaci di come ti sei approcciato alla musica e quali sono stati i tuoi precedenti progetti.

“Beh… credo di essermi approcciato alla musica come chiunque altro, mosso dalla curiosità, ascoltando qualunque cosa possibile… poi mi è venuta voglia di farne un po’ anch’io… I progetti sono stati parecchi, qualcuno un po’ più a fuoco, la maggior parte assai meno, qualcuno esiste ancora anche senza di me… Il punto zero della mia faccenda è stato Float, seppure oggi lo vedo piuttosto distante. Ne è venuto fuori anche un disco… E poi è arrivato 30 Door Key.”

Il tuo EP omonimo è permeato da suoni weird in chiave soundtrack con sonorità che ammiccano al krautrock dei Kraftwerk o a certo post-punk più plastico italiano simile per molti versi a Central Unit o Confusional Quartet. Sebbene il formato in Extended Play il suono appare ad ampio respiro, descrivendo forme geometriche in divenire dalla consistenza plastica, giocando con un’idea di arte povera quasi lo-fi nella tecnica, in cui il minimalismo costituisce il mezzo e la resa finale. Un’idea interessante che guarda ai ‘70 più eterodossi. Parlaci di un possibile concetto che permea il lavoro e come si è sviluppato il processo creativo.

“A leggere le tue osservazioni sarei quasi convinto di aver imboccato definitivamente la strada giusta… Per meri motivi anagrafici non ho potuto vivere gli anni ‘70 (ed anche gli ‘80, del resto, se non marginalmente) per cui tutto l’interesse che posso aver nutrito per il suono di quella decade (e per il suo immaginario visivo, contestuale, storico, artistico, politico, ecc.) è da sempre frutto di una fascinazione e, probabilmente, di un’idealizzazione, montata da una prospettiva fanta-archeologica: l’interesse per le vibrazioni prodotte dal mito della storia prima che per la storia stessa… Kraut e New Wave sono le lenti con cui mi guardo attorno, il filtro attraverso il quale passano tutti i miei ascolti, anche e soprattutto quelli molto diversi, e, di conseguenza, tutto ciò che faccio quando imbraccio gli attrezzi per far musica. Un dispositivo innescato da anni che si autoalimenta anche se, magari, non prendo in mano un disco dei Tangerine Dream o dei Wire da un gran bel pezzo…

“Tanto più che 30 Door Key vagheggia attorno a semi piantati anche prima dei Kraftwerk stessi: la Moog music, quella che comunemente chiamiamo library, gli studi di fonologia, il BBC Radiophonic Workshop. L’elettronica giurassica, quella delle caverne… Il minimalismo di cui parli viene essenzialmente da lì, piuttosto che da Steve Reich o La Monte Young ed è il principio che anima tutto quello che amo fare ed ascoltare. Minimalismo come approccio, quindi, l’insistita volontà di scarnificare il suono, di ridurre tutto all’essenziale. In tal senso potrei fare un elenco infinito di artisti che considero fondativi per i miei scarabocchi, da Morricone a Steven Stapleton, da Mick Vickers a Renaldo And The Loaf, da Holger Czukay ai Matmos ai Cabaret Voltaire… A tal proposito mi fa molto piacere aver letto i nomi di Central Unit e Confusional Quartet accostati al mio progetto. Con Minox ed Alexander Robotnik rappresentano il mio maggior riferimento tra i wavers italiani della prima ora. Adoro quel modo tutto loro di reinterpretare i modelli esteri riportandoli ad un contesto così insistentemente mediterraneo ma senza alcuna forzatura, con una naturalezza del tutto ineffabile. I Confusional, in particolare, riuscivano a mettere insieme ogni cosa possibile, anche quelle cose che andavano in contrasto tra loro, con un piglio divertito e sarcastico, anche umoristico (ma assolutamente non comico, cosa che in musica odio a morte), con un’organicità che ha dell’incredibile e che io posso solo sognarmi. Probabilmente il mio viaggio intorno alle “musiche utilitarie” nasce anche dai ripetuti ascolti dei loro falsi jingle… Questo non vuol dire però che sia completamente ancorato al tempo che fu. In realtà, per quanto ricerchi fortemente un afflato retrò, non ho alcuno spirito passatista. Non farei quello che faccio se non fossi cresciuto con l’elettronica degli anni zero, la Warp, i Boards Of Canada, la cosiddetta indietronica, la scena intorno alla Morr Music, i Múm, gli Isan… Sono molto critico su ciò che sta succedendo alla musica nell’ultimo decennio ma la maggior parte della roba che ascolto è del tutto attuale e non necessariamente vicina alle mie cose. Non so, Space Afrika, Sault, Jpegmafia… Non sono un fanatico dell’analogico, proprio per niente. Uso il computer e non ho alcuna remora nel renderlo evidente.

“Ed in sostanza 30 Door Key è un concentrato di tutto quello che ho scritto finora, condotto all’interno di un preciso universo narrativo. Un racconto in divenire, in effetti, una storia vera e propria (chiamalo horror/mystery o cyberpunk o, boh, solo un mucchio di sciocchezze). Un canale tv emette segnali da una dimensione altra, posizionata in dei recessi oscuri di degli anni ‘70 alternativi, nella quale il tempo è ripiegato su se stesso, si curva, trova una sua qualche convergenza tra le sue tre fasi, smette di esistere nella sua linearità. Un contesto entro il quale la mia elettronica ricombinatoria, fatta degli scarti poveri e sporchi (samples trovati, strumenti d’accatto…) di tutto quello che la musica sintetica ha prodotto da sessant’anni a questa parte, potrebbe avere una sua qualche ragion d’essere. Un canale aperto su una frequenza fantasma, i cui contenuti, essendo fatti di memorie quasi perse, falsi ricordi ed immaginazioni svanite, devono essere necessariamente sgranati, logori, mai totalmente distinti…

“Insomma, niente di nuovo (rivendico a gran voce la forte ispirazione di Zaffiro E Acciaio), niente che non sia già stato pensato prima e molto meglio anche in musica da gente come Mordant Music o il tipo dietro Scarfolk o, soprattutto, dall’intero programma della Ghost Box. Ma, che tu ci creda o no, quando ho iniziato a gettare le basi del mio progetto non avevo alcuna dimestichezza con le loro produzioni e meno ancora col concetto di hauntology se non molto, molto vagamente. È stato curioso scoprire certe corrispondenze. Ho approfondito la loro conoscenza a lavoro già iniziato ma, beh, a quel punto sono entrati, inevitabilmente, a far parte dell’intero processo creativo. Chiamala affinità elettiva, eterogenesi dei fini, pura casualità…”

Mistery & Imagination guarda ad un krautrock italianizzato à la Franco Battiato nella prima fase. Il pezzo ha un andamento cronometrico che scandisce il tempo, secondo un groove freddo e asimmetrico; qui il suono anni ‘80 si confonde in una libertà adulta e al tempo stesso senza vincoli relativa ai ‘70. Parlaci di come avviene questa premessa più oscuramente eterogenea.

“Nelle intenzioni Mistery (scritto proprio così, con l’errore ortografico) dovrebbe suonare come la sigla iniziale della 30 Door Tv per qualunque cosa verrà (sempre se verrà…) da ora in avanti. Volevo che fosse come il tema di The Changes composta da Paddy Kingsland: un riff sintetico da notiziario, molto morbido, quasi lounge, che sprofonda di colpo in un gorgo di dissonanze. Poi, lavorandoci su, il pezzo ha preso una strada tutta sua ma è da lì che sono partito: The Changes… come trasmessa, però, da un canale tv regionale, ad una qualità bassissima, coperto dal nevischio statico di un televisore catodico che capta male il segnale, interrotto a metà da un documentario sull’arte classica, magari musicato da Egisto Macchi.

“È chiaro che mentirei se dicessi che ho formato i miei ascolti sullo studio, che so, delle sofisticate produzioni della KPM piuttosto che su Bandiera Bianca ma è pur vero che non sono esattamente un adepto al culto di Battiato. Non ho seguito la sua vicenda artistica successiva, diciamo grossomodo, a Cafè De La Paix, cioè ho pressoché ignorato la parte del suo lavoro a me contemporanea. Ma ovviamente per la sua prima produzione è altra cosa. Pollution o Clic, sono lavori imprescindibili. Adoro il suono di quei dischi, la loro totale libertà creativa, il loro tono sottilmente sardonico e, perché no, il loro essere tremendamente snob. Chissà, magari li ho talmente interiorizzati da farli venir fuori senza neanche rendermene più conto. O forse i siculi l’elettronica la manipolano in un modo tutto loro.”

Essonfance è un preludio più spettrale che ricorda il tocco mistico ed organico (nonostante la breve durata) di M.lle Le Gladiator sempre di Battiato. La successiva The Autumn People rimanda a certe divagazioni sintetiche di Piero Umiliani, in cui un suono più omogeneo e vellutato assume un ruolo di protagonista. I due pezzi citati vivono in una simbiosi tra polarità opposte, il cui ascolto è percepito in un’unica istanza, contrassegnata da una certa omogeneità intrinseca. Parlaci dei ruoli di questi due pezzi.

“È interessante la lettura che hai dato a questa sequenza. Sarebbero, in realtà, due tracce del tutto autonome… sempre che Essonfance possa ritenersi una traccia… è davvero poco meno che uno scherzo, il residuo di un brano che non riusciva a venir fuori e che infatti ho ridotto fino quasi a cancellarlo del tutto. Anche a me piace il senso di spettrale sospensione che comunica, anzi la durata infinitesimale me lo rende ancora più straniante. Si trova piazzato prima di Autumn proprio perché crea una qualche continuità con questo ma è qualcosa che ho colto anch’io solo nella fase di assemblaggio. In realtà sono nati in momenti decisamente diversi, l’uniformità che rintracci probabilmente è dovuta, più che altro, al fatto che provengono dalla stessa mano… In generale, per questa prima uscita minore, ho radunato dei pezzi che mostrassero una faccia più omogenea del progetto. Banalmente, che si somigliassero un po’ più tra loro.

“Di 30 Door Key, Autumn, è uno dei primi brani ad esser stato pensato. Come anche per tutti gli altri ciò che volevo raggiungere era ed è un’impressione, un quadro d’insieme. Richiamare in chi ascolta l’idea che l’ambiente dei miei pezzi vorrebbe portare con sé. Il film o, per meglio dire, lo stralcio di film immaginario di cui rappresenta il commento sonoro. Dici bene quando citi Piero Umiliani, perché alla fine sto parlando di nulla più che del concetto che sottende alla library music (anche quella attuale) all’interno della quale Umiliani fu tra gli sperimentatori più arditi. Un genio assoluto, una mia grande influenza, più in questa veste che in quella di compositore, diciamo, classico (il brano che chiude il disco, Lucifer In Cefalu, è tante cose ma in definitiva è un omaggio al suo Switched On Naples).

“Volevo rendere il più beffardo possibile un riff á la Jean-Michel Jarre, caricandolo, poi, di timbri parossistici proprio sul modello di Umiliani. Volevo tirare fuori qualcosa di divertito ma che evocasse uno spazio lovecraftiano, tra l’ancestrale e il cosmico, giocando con le suggestioni che alimentava su di me questo titolo non mio. È un doppio carpiato: la traduzione in inglese del titolo italiano di Something Wicked This Way Comes di Ray Bradbury (Il Popolo Dell’Autunno), che peraltro non ha proprio niente di Lovecraft.”

Getting Out a Gutter è musica in un contesto tra una spy story o fantascienza distopica, in pieno stile di John Carpenter. Nel finale il beat ritmico, complesso e sintetico, rende tesa l’atmosfera, in cui tale sospensione confluisce in un termine improvviso del pezzo, aprendo a possibili scenari ideali, e certamente ad un’idea di creatività aperta. Un pezzo molto interessante anche a livello compositivo nella costruzione del ritmo. Parlaci di quali sono state le effettive ispirazioni per questo pezzo.

“Carpenter c’entra sempre… cosa potrei dire… uno dei miei grandi maestri. Almeno tre o quattro suoi film rientrano a pieno titolo tra i miei preferiti di sempre. Fondamentale per tanti aspetti della mia crescita personale, dal mio modo di intendere il cinema nella sua forma più pura, alla mia visione del mondo, alla politica, alla musica ovviamente. Pensa alla colonna sonora di 1997, a proposito di essenzialità: una progressione ripetuta di tre accordi, due variazioni e stop. Epocale, potrebbe uscire domani e suonare ancora attualissima… La coda di Getting è carpenteriana senza ombra di dubbio, tutta la linea melodica, probabilmente lo è… e, sì, l’intero brano è un piccolo raccontino fanta-horror costruito sull’accostamento di queste voci trovate provenienti davvero da mondi agli antipodi o quasi… volevo tirare fuori il mio pezzo hip hop… tanto che nella sua forma embrionale poggiava su un sample dei Digable Planets (che poi era un sample a sua volta)… poi ho preferito lasciarlo fluttuare nel vuoto per metà e costruire una base ritmica meno presente ma anche meno lineare che crescesse poco per volta. Alla fine sembrano due pezzi cuciti insieme e invece è tutto venuto fuori in un unico take.”

In ultimo, parlaci del prossimo passo a livello di futuri live set, e quali nuove idee convoglieranno nella nuova uscita.

“Sto cercando di trovare un modo adeguato per poter portare i brani dal vivo ma al momento non è una priorità. Sto curando l’uscita dell’album che sarà a breve. Le idee sono quelle che ho snocciolate fino ad ora ma lo spettro delle soluzioni dei singoli brani sarà decisamente più ampio…”

 

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