L’HARDCORE DALLE TANTE FACCE DEI SACCHARINE TRUST
di Giovanni Panetta
Discorso su "Surviving You, Always", un lavoro oscuro
Surviving You Always, Saccharine Trust, 1984

Cover di Surviving You, Always (1984).

Il 1984 l’underground americano viveva nel suo pieno fulgore, e focalizzandoci nel post hardcore il giornalista musicale Michael Azerrad etichettò nel suo libro “Our Band Could Be Your Life” (uscito in Italia come “America indie 1981-1991. Dieci anni di rock underground”, edito dalla Arcana) quattro album di quell’anno come fondamentali: “My War” dei Black Flag, “Zen Arcade” degli Hüsker Dü, “Double Nickels On The Dime” dei Minutemen e “II” dei Meat Puppets; i lavori citati furono infatti seminali per il genere cosiddetto “indie rock” che a partire da quell’anno stava subendo una genesi ulteriore, manifestando amore per il post punk inglese, che fu ripudiato da quella “new thing” d’oltreoceano ancorata agli stilemi dell’hardcore (proprio gli stessi Minutemen sono una delle eccezioni che confermarono la regola). Molti gruppi di questa seconda ondata devono molto a gruppi come PIL, Wire, Cabaret Voltaire, Fall, che hanno catalizzato in gruppi come Sonic Youth la propria latente attitudine melodica unita ad un’austera intelligenza rumorista. Ma prevalentemente, e ancor più rispetto ai loro fratelli maggiori, la loro musica è un atto di riconoscimento per la musica dei sixties, declinata a volte in elucubrazioni oscure sonore che rispecchiavano il contesto sociale di quegli anni ’80.

E i Saccharine Trust, gruppo appartenente a quella “prima ondata”, ha saputo al meglio andare oltre quei parametri imposti da quel punk ortodosso di inizio decennio, affacciandosi rispetto ai propri coetanei all’estetica della generazione seguente. Patriarchi della SST Records insieme ai già citati Black Flag e Minutemen, vestivano il ruolo di pecora nera dell’etichetta per via del loro suono abrasivo debito del free jazz, e dove anche qui c’è lo zampino degli inglesi; grazie all’amicizia coi Minutemen, praticamente concittadini, ed in particolare per il fatto che i chitarristi e co-leader delle rispettive band, Joe Baiza e D. Boon, condividevano la stessa abitazione, i futuri membri dei Saccharine Trust furono introdotti al post punk. Sta di fatto, che, siano pur Ornette Coleman o i Gang Of Four l’ispirazione diretta, il suono risulta nello stesso tempo incentrato sia su geometrie ritmiche ben cadenzate sia sulla melodia atonale.

Dopo l’esordio in Extended Play “Paganicons“, il più oscuro della loro discografia, in quel famigerato ’84 i Saccharine Trust pubblicano il loro vero primo album, ovvero “Surviving You, Always“, il loro lavoro più progressivo, con una massiccia componente rumorista, che continua la tradizione di “Paganicons” di album nella veste di modelli per il cosiddetto post-hardcore, che tra qualche anno sarebbe nato. “Surviving You, Always” è un oggetto non identificato, commistione di sound e intuizioni più disparate, tra l’altro una pecora nera ingiustamente emarginata da quei quattro album citati da Azerrad (lavoro così emarginato che successivamente non fu ristampato in nessun formato). Copertina emblematica: il corpo esanime di Evelyn McHale, ragazza degli anni ’40 che lavorava nella Grande Mela e stava per sposarsi, buttatasi dal 86° piano dell’Empire State Building di New York nel 1947. Come se, scalfendo la superficie patinata di un singolo può emergere l’oscurità più insospettabile, ma allo stesso tempo comune ad una società, rispecchiando così la poetica del gruppo e soprattutto il clima sociale degli anni ’80. Infatti, nel contesto di una musica tutto sommato claustrofobica, ci sono a tratti cenni di implorazioni, ma soprattutto di puro disincanto, che sia l’hardcoriana The Giver Takes, il pezzo The House, The Concrete, The System in cui strofa e ritornello si mescolano tra di loro, Remnants arricchita da una parte in spoken word, e la suite noise Yhwh On Acid.

Un lavoro sfortunato che deve molto alla sapienza e all’attitudine dei loro autori. Speriamo quindi ad una immediata ristampa del disco.

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