L’ALIENANTE NOISE IONICO DEI RELEVATOR EYE
di Giovanni Panetta
Intervista a Enzo Notorio
Relevator Eye

Foto di Relevator Eye con un amico (l’ultimo a destra) nel 1991. Da sinistra a destra: Enzo Notorio, Luca Di Mira, Giorgio Mignogna.

La cultura new wave, si sa, ha avuto un grosso seguito a Taranto, a cominciare dai vari concerti di New Order, Ultravox, The Sound, Siouxsie & The Banshees etc.; tutti avvenuti in quella discoteca che era il simbolo della cultura alternativa dell’epoca, ovvero il Tursport. Poi panta rei, e dopo le angosce trasmesse dai versi di Adrian Borland si perde ogni barlume di ragione con le dissonanze e distorsioni del noise rock americano; Sonic Youth, Hüsker Dü, Butthole Surfers, Big Black, Scratch Acid aiutarono ad avere maggiore familiarità con l’abbruttita realtà industriale. Su questo versante Taranto, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, ha avuto i suoi piccoli grandi protagonisti, durati piuttosto poco, e a dir poco sono stati fulminei. Parliamo dei tarantini Elevator Eye di Enzo Notorio, con cui abbiamo chiesto delucidazioni su questa realtà. Le sue parole sono davvero preziose in quanto scarseggia sia il materiale musicale che quello informativo.

GP: Enzo, parlaci un po’ della vostra storia. Chi erano i Relevator Eye?

EN: I Revelator Eye sono stata una band tarantina durata due anni, dal 1990 al 1992. La band nacque dalla fusione dei Black Noise 009, attivi dal 1988 al 1990 e dai Phobia attivi nello stesso periodo. I Black Noise 009 avevano un sound protopunk, di estrazione Damned/Stooges mentre i Phobia gothic rock, tra Sisters of Mercy e Fields of the Nephilim. I Revelator quindi erano Enzo Notorio voce dei Black Noise 009, Giulio Mignogna e Luca Di Mira dei Phobia. Il trio era supportato da una drum machine e la classica line up due chitarre e basso. Nel 1991 Luca Di Mira lascia la band poi continuerà con I Giardini di Mirò, band emiliana dove tuttora è membro stabile. Revelator Eye hanno passato quei due anni proponendo un sound elettro-rumoristico miscelando scene rock appartenute a Sonic Youth, Einstürzende Neubauten, Hüsker Dü e Big Black, con liriche spesso in italiano. Diversi gig soprattutto a Taranto, ma anche sparsi in Sud Italia, condividendo serate con Not Moving, Uzeda, Gronge, Kina, ecc. Prodotti tre demotape e una collaborazione con Stefano Giaccone dei Franti che sarebbe dovuta sfociare in un E.P. e un tour tra Nord Italia e Svizzera. A gennaio del 1993 Revelator Eye si sciolgono definitivamente anche se durante questi 26 anni ci siano stati diversi momenti di riprendere quel progetto, ma con esiti negativi. Al momento Luca di Mira è tastierista dei Giardini di Mirò e altre collaborazioni, Enzo Notorio ha autoprodotto una raccolta di brani propri e si diletta a cantautorato casalingo, e Giulio Mignogna si occupa di produzioni house internazionali avendo allestito un proprio studio di registrazione.

GP: Uzeda, Franti, Not Moving, tante storie italiana importanti da città diverse che si intrecciano con una realtà tutta tarantina. È una cosa che fa molto riflettere. Ma parlami un po’ del clima che respiravate voi di Relevetor Eye in quegli anni nel capoluogo ionico. E secondo te per quale motivo quella scena si è sgretolata nella metà dei ’90?

Relevator Eye

Relevator Eye live. A sinistra Giulio Mignogna, a destra Enzo Notorio.

EN: All’epoca, circa 30 anni fa, non esisteva una scena. In quei due anni c’eravamo praticamente solo noi. Qualche anno dopo ci furono altre bands. Era un periodo di stallo a Taranto, mi riferisco al rock alternativo, di tendenza. Avevamo un seguito anche abbastanza interessato, ma non ci rendevamo conto che eravamo l’unica realtà rock a Taranto. Lo stesso brano “Sedie e Tappeti Volanti sul Mar Piccolo prima della Circonvallazione” era l’esempio dell’alienazione di una band solitaria in una città industriale senza vie di fuga. Oggi le cose a Taranto sono profondamente cambiate. e anche nel periodo precedente al nostro probabilmente il fermento giovanile era più attivo.

GP: Quando intendo scena intendo a gruppi come Vena, The Act, No Codex, Veronika Voss, No Codex, Mother Pearl… Che in effetti sono durati pochissimo. Però, voglio dire, hanno dato il loro contributo.

EN: Queste bands che hai citato non sono contemporanee a noi, considerato il breve periodo di Revelator Eye. Alcune bands ci sono state prima e altre dopo di noi. Ma se ti riferisci ad un periodo più ampio, diciamo 1985/1995 allora siamo contemporanei.

GP: Sì, ecco. Intendevo proprio quello.

EN: Avevano un’estrazione molto diversa dalla nostra. L’unica band che in qualche modo si avvicina a Revelator Eye sono Veronika Voss. Gli Act erano una band rock blues, i No Codex più new wave, i Vena erano dark.

GP: Sì, infatti. Quando ho ascoltato i vostri pezzi e quando hai citato Sonic Youth e Hüsker Dü nelle influenze vi ho associati ai Veronika Voss. Però (ritornando a prima) tutto è concesso considerando che al disco della collaborazione tra la scena del Great Complotto di Pordenone e quella di Taranto diedero un contributo una band metal di Mottola (gli Hellbound) tra i vari gruppi che erano gran parte new wave.

EN: Great complotto è una collaborazione unica. Trasversale, probabilmente unita da fini più politico-sociali che musicali. Siamo ai primi degli ’80. I Veronika Voss erano più indie rispetto a noi; noi facevamo più rock rumoristico, però hai ragione, forse l’unica band che ci assomigliava furono loro. Tra l’altro anche dal punto di vista umano perché eravamo e siamo amici.

GP: Te lo chiedo candidamente: il rock a Taranto potrà mai avere un suo seguito come in quegli anni? Le tue parole mi sembrano pessimistiche in merito, o sbaglio?

EN: Io credo che oggi sia molto meglio di allora. Penso che a Taranto ci potrà essere una bella scena rock. Sicuramente il web ha appiattito un po’ i fermenti giovanili, ma non solo a Taranto, in tutto il globo. Ma Taranto è la più importante città industriale d’Italia, ha bisogno di rock industriale. Sono ottimista in merito.

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