LA SST RECORDS E I BUTTHOLE SURFERS: DUE MONDI CHE COLLIDONO
di Giovanni Panetta
La collaborazione tra Spot e il gruppo di Gibby Haynes che non andò a buon fine.

Che il mondo punk si fonda sul valore della propositività e della coesione è ormai un fatto insindacabile; mondo che abbastanza paradossalmente Thurston Moore definiva “movimento hippie nichilista”. E nichilista in un certo senso è la musica dei Butthole Surfers; dissonante e distorta, caustica e grottesca, accompagnata da luci stroboscopiche, immagini apocalittiche ed operazioni chirurgiche, e atti osceni da parte dell’indiscusso leader Gibby Haynes.

Uno di questi legami con la band originaria del Texas è quello fugace col produttore Glen Lockett, in arte Spot, ovvero colui che ha direzionato il sound dei gruppi sotto contratto con la SST Records (etichetta californiana cogestita dal chitarrista, nonché leader dei Black Flag, Greg Ginn) verso derive free jazz o tendenzialmente hard bop, alla stregua di un punk spesso “cameristico”; più di quanto potesse fare un assiduo ascoltatore di jazz e Grateful Dead quale era Ginn. Tra produzioni e coproduzioni di capisaldi della musica più sporca e arty à la Flipper (gruppo punk, in un certo senso proto-indie che non disdegnava affatto ai bohémien di San Francisco), oltre all’opera prima Jealous Again dei Black Flag, in cui si fa un buon lavoro e in cui si implementano ulteriormente le dissonanze nel suono della band di Hermosa Beach, si va fino in fondo su questa strada con la produzione o la coproduzione di album come Paganicons dei Saccharine Trust, Damaged degli stessi Black Flag, Kill From The Heart dei Dicks o di What Makes A Man Start Fires dei Minutemen, oltre che il monumentale Zen Arcade firmato dagli Hüsker Dü.

Quello che non molti conoscono è, per l’appunto, una demo del 1982 dei texani Butthole Surfers prodotta dal prode Spot; esiste una copia pirata che data il lavoro l’anno dopo, ovvero l’83. Ma parliamo un po’ del background: la band, il cui nucleo principale era il già citato cantante e sassofonista occasionale Gibby Haynes e il chitarrista e cantante Paul Leary, stufi del modesto successo in San Antonio, la città in cui avevano esordito, decidono di trasferirsi in California, insieme ai fratelli Quinn e Scott Matthews (rispettivamente batterista e bassista). Arrivati a destinazione, ottengono subito un ingaggio al Grandia Room di Los Angeles, insieme a Minutemen, Descendents e i Big Boys (questi ultimi compagni di scena in Texas); Jello Biafra assiste, e vuole immediatamente che aprano per i suoi Dead Kennedy e TSOL a quello che all’epoca fu il punto di riferimento per il punk losangelino, il Whiskey a Go Go; lì il gruppo texano corona il suo sogno di notorietà, dove, durante l’esibizione, fu caratteristico il lancio in direzione del pubblico pezzi di carta con sopra stampati degli scarafaggi, pezzi di hamburger, preservativi, e trappole per topi. L’esibizione impressionò tutta la comunità punk e, di lì a poco, avvenne l’immancabile incontro con i Black Flag, e con Spot, il quale li spronò a incidere su vinile, mettendosi a disposizione per l’appunto come produttore. Fu così che i prodi texani andarono nello studio di registrazione associato alla SST Records, il Total Access Recording Studios, ed incisero su nastro una prima demo. Sfortunatamente per i Butthole Surfers la collaborazione con la SST finì lì, in quanto chiesero per le registrazioni del nastro una spesa troppo alta, tenendo conto che il gruppo viveva in una condizione di miseria: la somma fu di 300$.
Dopodiché il gruppo tornò in terra natia, cambiò formazione (reclutando tra le diverse cose l’altro componente storico Jeffrey Coffey, in arte King Coffey), e firmò successivamente per l’Alternative Tentacles Records, l’etichetta cogestita da Jello Biafra, confidando così nella stima nei loro confronti da parte del punk rocker californiano.

Il gruppo sembra avere le idee chiare fin dall’inizio della loro carriera: causticità e velocità che si incastrano con inflessioni free noise, alternati con una certa propensione per melodie spesso taglienti, con quel ché di lisergico. Il picco assoluto è Something, nel quale collabora Spot al sassofono; versione più dissonante e più diretta rispetto a quella ufficiale pubblicata nel loro EP omonimo dell’83, e Leary, che canta sbraitante in questo pezzo, fa il suo esordio di grande chitarrista conferendo alla band texana quel loro caratteristico suono, atonale e luciferino allo stesso tempo; volendo trovare dei difetti del lavoro si può parlare della sezione ritmica, un po’ semplicistica rispetto al flusso vulcanico della chitarra di Leary e anche del sarcasmo trasfigurato in musica caratteristico del cantato di Haynes. Anche se il tutto viene incastrato bene grazie al ruolo dei due leader di bravi artigiani del suono.

Quelli di Spot e dei Butthole Surfers sono mondi che si incontrano, interagiscono e si lasciano, regalando però gemme esplicative di un sostanziale potenziale, oltre che di storica importanza.

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