La musica tra punk e progressive rock – breve analisi su due generi ugualmente fervidi
di Giovanni Panetta
Discorso relativo ad un'ipotesi su quello in cui la musica, tra generi punk e progressive rock, dovrebbe convergere.
Quelli Che Restano

Umberto Boccioni, Quelli che restano (Versione II), 1911. Foto presa da imalpensanti.it.

Spesso bisognerebbe dare una valenza diversa al concetto di “confine”. Realtà come la Skin Graft (etichetta nata verso la fine gli inizi degli anni ’90 a Chicago) o la scena “now wave” che formava gruppi come Lighting Bolt, Black Dice, Wolf Eyes, Yellow Swans, XBXRX, etc… hanno ribaltato il concetto di musica punk o lo-fi con quegli elementi del suono di appannaggio di gruppi più massimalisti. Tale punto offre l’occasione per una riflessione che spesso dovremmo porci: travolti ogni volta da una certa semplicità nel prendere opinioni in musica (che caratterizza il mondo occidentale a partire dagli stessi anni ’90 – con tante buone eccezioni-, ma che recentemente tale comportamento ha avuto connotati parossistici a partire dagli anni ’10 del nuovo millennio, nel panorama più o meno mainstream), ha senso effettivamente distinguere la musica in due macrocategorie, ovvero: il minimalismo che viene associato al genere punk e all’etichetta lo-fi, e il tecnicismo per l’appunto massimalista del progressive o di altri stereotipi del rock più classico?

Innanzitutto una premessa. Risulta interessante come il termine “punk” risulti al quanto fumoso. Termine nato ben prima della sua nascita nella seconda metà dei ’70 (tale etichetta veniva persino attribuita ai Velvet Underground), il termine era sì effettivamente associato alla sporcizia del suono di quei gruppi, ma al contempo era legato ad una rivisitazione del rock ‘n’ roll degli anni ’50. Il termine a seguire ha avuto una valenza più neutra, al quale era associata ad un modo di fare comunque violento ma più astratto, legato ulteriormente ad un’esecuzione con dei tratti di aleatorietà. Quindi possiamo considerare che, a discapito del nostro modo di pensare più “idealista”, per il quale confondiamo i termini come idee assolute (nel tempo), è evidente che i concetti si adattano alla storia corrente. In questo caso, del punk è sopravvissuto l’elemento anacronistico del minimalismo, da qui la retorica dell’autenticità, a discapito della tecnica o di quel protocollo più consolidato che ha caratterizzato il periodo pre-punk.

Comunque possiamo dire che il concetto di punk (in senso esteso, comprendendo tutti i suoi sottogeneri che sono nati successivamente, e a prescindere dal suo valore storico, delle produzioni, etc…) ha una debolezza. Si dice che il punk sia soprattutto o solo attitudine, ma tale atteggiamento potrebbe essere in parte l’idea che c’è dietro il commercio sfrenato di quei tempi, ovvero può essere paragonato alla stessa logica keynesiana di quegli anni, proprio perché l’essere “sé stessi” è un concetto fumoso; agire di istinto può vuol dire essere sé stessi? Come ci si rende conto se uno è realmente autentico o sta perseguendo uno stile di vita di moda inconsapevolmente o acriticamente? D’altra parte il post-punk in particolare è stato un fenomeno che è ha fatto moda, anche in senso positivo. Anche se molto spesso il genere faceva uso di melodie più consonanti, seppur spesso con una cupezza e dissonanza di fondo; una caratteristica che ha rinnovato la musica, facendo emergere sonorità più tipiche del mondo underground.

Quelli Che Vanno

Umberto Boccioni, Quelli che vanno (Versione II), 1911. Foto presa da imalpensanti.it.

Queste questioni, seppur semplici, mettono comunque in luce un fenomeno che era lo specchio dei suoi tempi. Ma non sto assolutamente criticando il fenomeno in sé. D’altra parte stiamo parlando di un filone che era underground, con nuove idee, e che aveva una maggiore risonanza nella comunità giovanile dell’epoca. Tale considerazione comunque non vuole essere in ogni modo una critica ma un’analisi legata al fenomeno musicale, la quale non riguarda in generale il significato dei testi, dell’attivismo politico di molti cantanti;  essa prende il punk, post-punk, etc…, come fenomeno musicale, ovvero il mio obiettivo è capire in che modo il tessuto sociale è in relazione con gli ascolti, la musica in sé. Io penso che una produzione non sia solo ed esclusivamente esaminabile dal testo o le interviste agli artisti (anche perché nel post-punk ci sono tanti testi intimi, se non la maggior parte), ma che spesso è necessario che il critico musicale metta in relazione ogni singolo elemento (o una parte, a seconda dei suoi interessi) con la totalità. L’aspetto musicale è di per sé espressivo, e va interpretato secondo un’analisi quanto più approfondita. In questo caso, dal momento che la musica post-punk, e anche la new wave, hanno o hanno avuto una forte componente pop o ritmata (rendendo la musica di per sé ballabile), potremmo intuire che tale aspetto abbia avuto un grande impatto nel pubblico dell’epoca, in parallelo ad una creatività comunque intelligente e nuova per l’epoca.

Tuttavia il punk – termine con cui indichiamo l’associato spettro – è un concetto creato dal critico, musicista o discografico – dall’uomo insomma – e di per giunta una convenzione. Infatti già Simon Reynolds in “Rip It Up and Start Again” aveva messo in relazione il post-punk con il progressive, per via delle sonorità più barocche per entrambi i generi, anche se nel primo caso si contempla una creatività più low fidelty e anti-capitalista, nonché un minimalismo nell’abilità tecnica. Sicuramente il fenomeno del post-punk è “a valle” sia del prog rock che del punk, ma è ancora evidente nel post-punk una maggiore affiliazione per il secondo, senza nascondere l’origine precedente legata alla musica più tecnica. Ciò non toglie che il passo che porterebbe da una musica più sporca ad una che unisce il punk inteso come musica lo-fi o caotica con musica più virtuosa – le due caratteristiche possono non escludersi – non avrebbe tardato arrivando verso il 1990 (degni rappresentanti in questo senso già esistevano come ad esempio la scena punk-free jazz di San Pedro con Minutemen e Saccharine Trust, in parte la no wave newyorkese, i canadesi Nomeansno, gli inglesi Gang Of Four, The Pop Group, primi fra tutti i Cardiacs, che avevano già anticipato di un decennio precedente quei bipolarismi in musica; citiamo inoltre i classici Stooges e Velvet Underground a cavallo tra ’60 e ’70, nonché la ESP-Disk, una delle prime etichette dalle sonorità oscure e meno blasonate).

Aggiungiamo che d’altra parte il punk ha apportato un valore aggiunto molto importante nell’artigianato musicale; il genere nato ufficialmente alla fine degli anni ’70 ha reso più libera la cultura musicale dall’idea che possedere una conoscenza e abilità tecnica fosse l’unico prerequisito nel creare musica. Però tale elemento di contrasto che avviene con il movimento musicale più nuovo non lede necessariamente la complessità della produzione. La musica prog non è solo “complessa” ma “ego-riferita”, ovvero si immagina che da una parte tutto ciò che è complesso deve essere contemplato, in più tale elemento viene ricondotto alla tecnica di esecuzione (nel prog comunque c’è una componente più “freak” che non è abilismo tecnico, o che non è fine a sé stesso, vedasi per esempio il primo minimalismo di Terry Riley e Steve Reich, il krautrock tedesco o il Franco Battiato agli esordi). In questo contesto non si pone il problema dell’evolutività della musica, in quanto il vincolo del tecnicismo risulta un limite, elemento da cui il punk si è sottratto, permettendo un’evoluzione che potremmo dire duri ancora tutt’oggi.

Gli Addii

Umberto Boccioni, Gli addii (Versione II), 1911. Foto presa da imalpensanti.it.

Tuttavia non bisogna perdere di vista un punto oggettivo. Andare contro l’estetica punk è un pregiudizio come andare aprioristicamente contro il prog. Se un pezzo di genere punk può risultare semplice o stucchevole non è detto che lo sia in generale, come d’altra parte sarebbe sbagliato ritenere in generale il progressive rock inaccessibile o fine a sé stesso. In generale, senza considerare la politica di produzione, possiamo essere in grado di apprezzare suoni diversi di entrambe le polarità, in quanto dietro la musica ci potrebbero essere variabili o caratteristiche che la nostra mente considera ma di cui non siamo consapevoli, e forse di cui nessuno parla. Spesso siamo abituati a confrontarci con quello che leggiamo e su cui ci documentiamo, ignorando forse che il suono ha una grande variabilità, forse maggiore delle stesse parole. Potrebbe essere sfuggente associare le caratteristiche del suono, la cui espressività è quasi dell’ordine del continuo (come vedremo tra un po’) con le parole di un vocabolario, che sono finite.

Ma ha ancora senso distinguere realmente lo spettro del punk con quella che viene definita la sua antitesi, ovvero il progressive rock? In vista di un futuro vicino o lontano, il potenziale della musica può esaurirsi, il combinare più elementi generando nuove innovazioni, a patto che si crei una formula del suono “riconoscibile esteticamente” ma che sia fresca per l’epoca – e quindi che ci si evolva a piccoli passi -, non può che essere un valore aggiunto che deve essere apprezzato (*).

Quindi far convergere più punti di vista, altre idee, vecchie e nuove deve essere un valore aggiunto, perché la musica ha diritto di evolversi, quindi unire le due polarità di punk rock e progressive rock non può che fare piacere per due generi che hanno fatto tanta cultura nel mondo giovanile.

___

(*): Per quanto riguarda l’esaurirsi del potenziale espressivo della musica – come equivalentemente dell’arte grafica -, riportiamo la Legge di Fechner, ovvero che ogni sensazione è proporzionale al logaritmo della misura, di conseguenza avremo misure diverse di cui si sentirà la differenza, in maniera quasi lineare, ma se prendiamo misure molto grandi vicine tra loro, la loro sensazione sarà praticamente la stessa. Inoltre, differenze molto piccole di suono saranno impercettibili, per cui possiamo supporre che le variazioni dei suoni avvengono per insiemi discreti la cui lunghezza dipende dall’intensità (quelli molto lontani da 0 saranno molto più grandi dei rimanenti); in più tali differenze varieranno tra 20 Hz e 20.000 Hz (tutte queste misure sono soggettive in generale per ogni individuo, anche se per convenzione prenderemo gli infinitesimi più piccoli e una palette di suono che sia una buona unione tra tutte quelle esistenti per tutti gli individui). Quantizzando il suono in questa maniera, se poniamo una lunghezza massima per brani o equivalentemente per uscite discografiche, tutte le possibili combinazioni di suono, create con un certo gusto che siano originali ma al tempo stesso voci del periodo temporale considerato, dovranno esaurirsi nel corso della storia.
Ma al discorso di sopra infondiamo una speranza. Forse l’uomo, durante la sua evoluzione nel corso dei futuri anni riuscirà a percepire quelle stesse differenze di suono che precedentemente non riusciva a rilevare, allo stesso modo per cui la sua statura cambia, come le sue conoscenze, tecniche e stile di vita; quindi la palette sonora potrebbe essere sempre più vasta nel corso del tempo, in cui quei valori infinitesimali potrebbero aumentare di numero e allo stesso tempo diminuire asintoticamente a zero o ad altri valori.

___

BIBLIOGRAFIA:

Musica

  • Valerio Mattioli – “Superonda – Storia Segreta della Musica Italiana” (Baldini & Castoldi, 2016);
  • Simon Reynolds – “Post-Punk – 1978-1984” (Minimum Fax, 2018);
  • Stevie Chick – “Psychic Confusion – La Storia dei Sonic Youth” (Arcana Edizioni, 2009).

Altro

  • Nassim Nicholas Taleb – “Il Cigno Nero” (il Saggiatore, 2014).
  • Jules Henri Poincaré – “La Scienza e L’ipotesi” (Edizioni Dedalo, 1989).
Share This