KAOUENN, MUSICA METICCIA DAL SUD
di Giovanni Panetta
Viaggio nel Sud del Mondo attraverso Mirages di Kaouenn (Nicola Amici). Intervista all'artista marchigiano incentrata sul suo secondo percorso, tra futurismi e tribalismi.
Mirages

Cover di Mirages (2021).

La cultura DIY italiana si diffonde e va oltre ogni confine. Le Marche sono state una delle culle del movimento noise-no wave-free et similia a partire dagli anni ’00: Guinea Pig, Bhava, Lush Rimbaud, Butcher Mind Collapse, Jesus Franco & The Drogas hanno rappresentato quel movimento in maniera diversa, con l’obiettivo di superare qualsiasi paradigma imposto. Per molti di quei protagonisti l’avventura continua ancora oggi, tra cui con Kaouenn, one man band di Nicola Amici (in passato in Lebowski, Jesus Franco And The Drogas, Butcher Mind Collapse e di recente anche con il trio elettronico Barabba).

L’artista originario delle Marche si è trasferito a Nizza, e lì in Francia è venuto a contatto con diverse realtà, percorrendo idealmente il Sud, non solo come parte di un luogo; venendo a contatto a volte con il sud-ovest francese, più fiero e accogliente, altre volte con la controparte a sud-est, più “individualista”, e con musicisti cresciuti in Sud America, si è creato un amalgamarsi di sensazioni differenti nel loro complesso, che ha trasmesso una forma di entusiasmo evanescente. Questi miraggi che Kaouenn ha voluto raccontare in musica, sono per l’appunto presenti in Mirages; attraverso l’utilizzo dei synth, voci, chitarra, basso, organo, sax, xaphoon, samples e programming, Nicola attraverso un’elettronica allo stesso tempo moderna e vicina al krautrock, evoca un tribalismo spaziale, esprimendo il fatto che ognuno attraversa lo spazio percorribile portandosi con sé le proprie origini, e che quindi ciascuno di noi è meticcio nella propria terra natale. L’elemento dell’estraneo permea la realtà, quindi il concetto di viaggio diventa qualcosa di relativo, e la distanza ha una consistenza elastica; l’incontro tra futurismo e tribalismo, tra Nord e Sud sono gli elementi preponderanti nell’album, innalzando anche attraverso la fruizione della musica la bandiera multicolore della tolleranza.

Di seguito l’intervista a Kaouenn che si incentrerà su Mirages. Il disco è il secondo dell’artista marchigiano, ed è uscito il 5 Febbraio per Atypeek Music, Bloody Sound Fucktory, Beautiful Losers e Ph37 Soundlab.

Kaouenn

Kaouenn, foto di Caterina Fattori.

Mirages, visioni del passato e del futuro, tra realtà e profondità dell’inconscio, ma nell’ottica di un suono sintetico e futurista. Parlaci di qual è stato il corso di lavorazione e quali sono i punti di riferimento relativi al tuo nuovo album.

“La lavorazione del disco è stata piuttosto lunga e frammentata a causa di alcuni eventi contingenti (traslochi e trasferimenti in primis). I primi brani sono stati abbozzati già nel 2017, insieme a tanto altro materiale ancora inedito, mentre solo un paio di episodi sono di recente composizione. Le caratteristiche che avrebbe dovuto avere questo album mi erano già chiare dal principio: dopo i concerti legati al primo disco, mi sono reso conto che volevo depotenziare la voce per renderla un semplice strumento musicale, al pari di altri. Questo per far convergere ancora di più l’attenzione sulle “immagini” che i brani avrebbero potuto evocare, una volta svuotati quasi completamente del significato delle parole. Con i titoli do un suggerimento, uno spunto da cui partire, per elaborare delle visioni e stimolare la fantasia dell’ascoltatore. Trovo che insinuare visioni sia un po’ come trasmettere emozioni: per lo meno era quello che vivevo sulla mia pelle quando, da ragazzino, mi confrontavo coi primi ascolti “seri” e mi facevo dei grandi viaggi mentali. Sono sensazioni che ti rimangono e che, volente o nolente, segnano per sempre il tuo approccio alla musica.

“Sul piano strumentale, rispetto al passato ho voluto dare maggior peso alle chitarre, recuperando un certo approccio psichedelico/desertico di matrice americana e “piegandolo” ad esigenze ambient. Inoltre, ho eletto le percussioni a vero motore propulsivo dell’interno disco, come per ricercare una possibile sintesi tra culture diverse…”.

Il suono di Mirages è soprattutto sintetico, colma i vuoti in quel senso. C’è sia elettronica che tradizione più analogica, ma soprattutto un modo di sviluppare quelle sonorità utilizzate in quel contesto come krautrock e afrobeat in un’ottica ambient. Il tutto con un approccio psichedelico alle varie forme che compongono essa, come un alchimista dei suoni dei nostri tempi. Il tema è il viaggio ipnagogico, ed infatti caratteristiche le atmosfere sintetiche, astratte e quasi celestiali, ma soprattutto c’è il tuo viaggio per l’Europa; ma fanno parte del percorso anche altri continenti, ma in maniera più ideale, come l’Africa, che emerge dalle atmosfere tribali del disco, e che sembrano avere origine onirica. Il Sud infatti è un’entità astratta, che può essere del mondo o diventa una parte di una zona specifica. Detto da te, volevi infondere di una certa ubiquità del suono, come se si trasmettesse a più realtà? Inoltre, che tipo di ruolo gioca “l’africanismo” nell’album?

“Più che “africanismo” utilizzerei il termine “tribalismo”, nel senso che, come accennato sopra, l’utilizzo marcato delle percussioni ha giocato un ruolo fondamentale per il rimando diretto a determinate aree geografiche del sud del mondo, ma non è solo l’Africa ad essere presa come paradigma. Più ampiamente è la “black music” delle origini ad essere esplorata, sempre filtrata da un punto di vista occidentale/europeo come il mio. La volontà, anche alla luce di una migrazione vissuta in prima persona, è di mettere in evidenza i punti di contatto che ci possono essere tra culture differenti, con l’auspicio di un’integrazione e uno scambio a più ampio raggio nella società reale. Dagli incontri che ho vissuto posso dire che è possibile, con impegno reciproco, oltre che necessario. Mi piace sempre ricordare, infatti, quanto sia relativo il concetto di “straniero” e quanto sia ricorrente, nella storia, la necessità dei popoli di spostarsi per la sopravvivenza o per la ricerca di condizioni di vita migliori. In fondo, ciascuno di noi è sempre lo straniero di qualcun altro e questo dovrebbe farci riflettere rendendoci più accoglienti e tolleranti. Per cui, quando sogno ad occhi aperti il mondo, lo vedo meticcio e la mia musica lo rispecchia”.

Kaouenn

Kaouenn, foto di Caterina Fattori.

L’album esce per etichette sia francesi che italiane, infatti Atypeek Music è di Lione, Ph37 Soundlab di Nizza, mentre Beautiful Losers e Bloody Sound Fucktory sono rispettivamente di origine veneziana e jesina, e all’ultima citata per molti tuoi precedenti progetti hai fatto affidamento. Infatti è possibile rintracciare sia un suono a volte più oscuro a volte più aperto, che potrebbe collegarsi al tuo passato (polarità opposte rappresentate da progetti sconnessi come Lebowski e Jesus Franco And The Drogas), ma anche una certa elasticità, che può rimandare ai Butcher Mind Collapse o più semplicemente c’è voglia di evadere, escludendo una linea di continuità. Quello che voglio dire è: elementi più storici o meno che vengono scomposti, alleggeriti e trasformati in un processo di sintesi ottenendo un risultato più innovativo. Ti chiedo quindi, più semplicemente, che legame c’è col passato e quanto c’è di nuovo.

“Sebbene il progetto Kaouenn sia nato proprio per farmi misurare con delle sonorità che fino a quel momento non avevo mai affrontato con gli altri progetti, il legame che c’è con il passato risiede sicuramente nella volontà di ricercare soluzioni musicali il più personali possibili ed oblique tra generi. Da sempre si è ritenuto che l’appiattirsi sui canoni e sulle mode del momento non fosse la strada giusta da percorrere, ma si è cercato di rielaborare gli input esterni attraverso un proprio punto di vista, un proprio vissuto: se anni fa tutto questo avveniva come risultato del processo di mediazione tra le personalità che componevano le band, ora avviene come mediazione tra il mio io più intransigente/sperimentale e l’io accomodante/pragmatico. Paradossalmente, non è detto sia più facile oggi trovare una sintesi rispetto a ieri…”.

Si possono percepire parti di sax, sia digitali che analogici, e a volte mi sembra che i synth seguano linee tipiche di fiati. So della tua pregressa esperienza con il sassofono (per esempio Lebowski). Parlaci del tuo rapporto con questo strumento, e in che modo il suo utilizzo e di quel tipo di frasi più frequenti ricade in Mirages?

“Il sax è stato il mio primo strumento musicale: a 11 anni, nei primi anni ‘90, iniziai dal contralto prendendo lezioni per circa tre anni. Un po’ come il primo amore, non me ne sono mai dimenticato, sebbene con l’adolescenza mi fossi ritrovato a saper suonare qualcosa che non trovava spazio nella musica rock/grunge che ascoltavo e fu davvero frustrante. Passai così alla chitarra e al basso da autodidatta, ma, di lì a qualche anno, l’ottone tornò a far capolino in sala prove. Nella prima metà degli anni ’00, infatti, in piena bulimia nowave/lowrock/noise/avant/jazz/core, rispolverai “a modo mio” quanto avevo appreso un decennio prima e fu molto divertente: finalmente avevo scoperto come il sax fosse uno strumento preziosissimo nell’ambito della musica alternativa che stavo frequentando e come fosse capace di caratterizzare il sound di un artista dalle fondamenta. Mi dissi che non lo avrei più abbandonato, e così è stato fino ad oggi. Sebbene non possa certamente definirmi un virtuoso dello strumento, cerco sempre di metterlo al servizio del pezzo, magari infarcendolo di effetti, molte volte per “colorare” le atmosfere o per tratteggiare scenari meno stereotipati. Nel disco, comunque, ho utilizzato anche lo xaphoon, una sorta di ibrido di bambù tra sax e clarinetto, dal suono molto caldo e “legnoso””.

Parlando delle collaborazioni, ci sono i contributi di Above The Tree e Sara Ardizzoni (Dagger Moth). Mirage Noir, con Above The Tree, è caratteristica per come la sua chitarra entra in dissonanza con le varie parti. Mentre nell’ultima traccia, K2, dove appare il contributo di Dagger Moth, il suono della sua chitarra si confonde caoticamente tra le linee dei synth. C’è un certo approccio disarmonico con i tuoi collaboratori, frutto forse di un’impostazione più malleabile dell’atonalità (che si incastra in un’ottica modale). D’altra parte i pezzi in solo risultano essere più consonanti; ti chiedo quindi come nasce la collaborazione con quegli artisti e come si sviluppa quell’impostazione disarmonica di quelle tracce.

“Con Above The Tree siamo amici da oltre 15 anni: siamo cresciuti nelle Marche a pochi chilometri di distanza e spessissimo, dalla seconda metà degli anni ’00, le nostre strade si sono incrociate. Oltre che musicisti, siamo stati sempre attivi nell’organizzazione di eventi/festival/rassegne ed agitatori dell’underground, Marco con le associazioni Marinaio Gaio e Casa della Grancetta a Senigallia, io con l’associazione Valvolare a Jesi. Da one-man-band sono sempre stato rapito dal suo sound minimale e visionario, sicuramente una fonte d’ispirazione.

“Sara Ardizzoni, invece, l’ho conosciuta grazie ad una trasmissione radio: era il 2016 ed eravamo nel pieno della promozione del mio album d’esordio e del suo secondo album come Dagger Moth. Fu trasmesso il mio singolo in chiusura della puntata dedicata a lei. Il suo sound mi folgorò al primo ascolto: lei, one-woman-band, proponeva un mix personalissimo di rock d’autore ed elettronica dal grande fascino e con una tecnica chitarristica sopraffina. Non a caso, ora collabora con Massimo Volume e Cesare Basile. Bravissima.

“Ad entrambi ho dato carta bianca, avendo prima fornito un primo canovaccio di brano scelto da me. Fortunatamente questo ha stuzzicato la loro creatività, tanto da ricevere indietro diverse tracce che ho potuto poi gestire con la massima libertà: super generosi. Entrambi i loro contributi a questo disco sono per me, a dir poco, strepitosi”!

Kaouenn

Kaouenn, foto di Caterina Fattori.

Kaouenn” in bretone significa civetta, ovvero un animale notturno che rimanda al suono onirico e a suo modo psichedelico del tuo progetto. Ma detto da te come mai la scelta di quel totem che ti accompagna non solo nel monicker, ma anche come icona grafica nella tua discografia e nelle foto promozionali?

“È un simbolo esoterico che si ritrova in tantissime culture del mondo e ad esso viene dato, di volta in volta, valenze differenti, perfino contrapposte in certi casi. L’ho scelto per varie ragioni: in primis, come hai ben detto tu, è un animale della notte e, in principio, la musica che avevo in mente di comporre era molto “notturna”, quasi “crepuscolare”.

Inoltre, in quel periodo ero rimasto ammaliato dal sonetto “I Gufi” di C. Baudelaire, contenuta ne “Les Fleurs du Mal”: alla vigilia di un cambio di vita importante per me, come quello di emigrare all’estero, l’ho trovato un monito su cui riflettere. Contiene temi come l’opposizione tra l’uomo ebbro e il saggio, la dialettica notte e giorno, moto e staticità (l’ho anche musicato nel primo album nel brano “Les Hiboux”).

“Infine, grazie a questa maschera totem non avrei dovuto espormi direttamente col mio viso, salvaguardando da inutile stress la parte più introversa del mio carattere, da un lato, e spostando unicamente l’attenzione sulla musica, dall’altro.

“Per tutto questo, quindi, il gufo è perfetto per essere eretto a simbolo del mio percorso solista”.

Per concludere, secondo la tua discrezione esponici qualche anticipazione delle prossime novità riguardo i tuoi futuri progetti. Cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima uscita di Kaouenn?

“Al momento sono molto soddisfatto di “Mirages” e credo che, almeno per il momento, cercherò di insistere su queste sonorità. In effetti ho già iniziato a lavorare a nuovo materiale con l’obiettivo di far uscire almeno un brano entro l’anno. Questo sarà caratterizzato dalla collaborazione col percussionista francese Oxaï Roura, sperimentatore e, al tempo stesso, fine conoscitore della tradizione ritmica della Guiana. Un sodalizio che, nei nostri piani, dovrebbe poi materializzarsi anche sui palchi, sebbene la ripresa dei concerti sembri al momento una chimera.

“Inoltre, parallelamente, mi son fatto una bella lista di artisti con cui mi piacerebbe molto instaurare una collaborazione in futuro e che, in qualche modo, proverò a contattare nei prossimi mesi.

“Nel frattempo usciranno nuovi videoclip estratti da questo album, nonché il remix che ho realizzato per l’artista veneto Are You Real?, conosciuto grazie all’etichetta Beautiful Losers di Venezia. Se son rose…”.

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