Una sperimentazione sempre diversa, legata ad esempio all’improvvisazione libera, continua a prendere forma anche negli ultimi anni, ridefinendo i parametri di caoticità per via anche di un’elettronica sempre più fuori dalle regole, e per l’affermarsi di una maggiore ecletticità, facendo interagire generi musicali in maniera idiosincratica e quanto più creativa e stocastica allo stesso tempo.
Conosciutisi intorno il 2017-18, Simone Garino (sassofonista) e Mario Conte (artista elettronico, produttore e compositore di colonne sonore per spettacoli teatrali, nonché sceneggiatore) danno vita al loro progetto di improvvisazione analogica o più sintetica Mizookstra. Il 1° Luglio 2022 pubblicano il primo album Also Sprach Mizookstra (Sangue Disken), disco in cui compare il sassofono baritono e contralto di Garino e l’elettronica di Conte (che si è occupato anche della fase di registrazione, mixaggio e mastering). Un lavoro lateralmente oscuro, legato a nuove forme, di matrice jazz ed elettronica noise.
Lo scorso 25 Agosto (2022) il duo si è recato ad Oslo, all’Istituto Italiano di Cultura, esibendosi insieme al pianista/percussionista/violoncellista Jon Balke, improvvisatore dal tratto weird, glaciale e rarefatto, le cui armonie essenziali rimandano, in un qual modo, al clima della propria terra di origine.
A seguire l’intervista al duo riguardo il loro lavoro recente, il background e le prossime novità.
Allora, parlateci di come nasce la sessione di Also Sprach Mizookstra, i suoi elementi più storicizzati (free jazz, free music, elettronica) e anche più futuristici.
MIZOOKSTRA: “Ci siamo conosciuti a Torino durante le registrazioni di Questo è pop, il secondo album dei Miriam. Da lì siamo diventati amici e, condividendo un senso comune di “torpore sociale”, volevamo fare qualcosa che fosse una specie di urlo liberatorio, buttare fuori un po’ di male, in modo scevro da qualsiasi sovrastruttura. Un progetto in cui si potesse frullare tutto il possibile provando a portare all’estremo anche il nostro rapporto con gli strumenti. Fin dalla prima prova c’è stata una profonda sinergia, e abbiamo capito che la cosa poteva davvero funzionare. Di lì a poco ci siamo trovati per registrare le session che sono finite sul disco.”
Parlando di qualche anno fa, la vostra precedente release, Session#5 (2020, Sangue Disken), ha elementi più diluiti e regolari. Il suono della traccia Session#9 racchiude un suono caotico a piccola scala che si disperde in modo tale che la traccia ha un andamento periodico (anche se armonicamente atonale); si deduce una vostra tendenza a dominare un certo rumorismo aleatorio senza essere travolti eccessivamente da un entusiasmo viscerale, in pieno stile della free music, e con un’attitudine che riflette l’utilizzo di loop (e quindi la tendenza a dare un ordine, una cadenza al suono). Quindi, qual è il rapporto tra la traccia Session#9 e la vostra ultima release del 2022, per l’appunto Also Sprach Mizookstra?
Simone Garino: “Session#5 e Session#9 sono state registrate negli stessi giorni di tutte le altre #session presenti nel disco. L’ordine è proprio quello in cui sono state registrate. Ci siamo chiusi per qualche giorno nello studio di Mario, il MobSound a Milano. È stato tutto molto spontaneo, non ci siamo dati alcuna regola particolare. Abbiamo semplicemente… suonato. Ricordo che #Session9 è stata registrata alle prime luci del mattino. Puoi leggerla come una trasposizione in suono del passaggio dal sonno alla veglia dopo una notte intensa, se vuoi.”
Mario Conte: “Volevamo provare a lavorare con le macchine come fossero una specie di essere umano. Così è nata l’idea di creare strutture cicliche imperfette tramite il realtime sampling. Il fatto che Simone non sappia quando e cosa io metterò in loop di quello che sta suonando, crea strutture di loop inaspettate per lui. A sua volta Simone può giocare o andare a contrastare i loop, restituendomi un nuovo flusso sul quale continuare a creare.”
3.Le prime due tracce, Session#8 pt. 1-2, raccontano una storia in forma di prologo; la prima traccia, modellata secondo una struttura sempre più mancante, viene plasmata in un fluire più regolare e con dei pattern più rumoristici, che svolgono il ruolo di climax o segnano uno sviluppo diverso del suono, anche a livello di aggiunta e sottrazione di voci. Volevo chiedervi come avviene la maggiore fisicità del suono in questa traccia, in vista anche del suo ruolo di traccia conclusiva della sessione di registrazione.
Simone Garino: “Quando abbiamo cominciato a registrare Session#8 io e Mario ci siamo dati una semplice regola, ovverosia non usare suoni definiti. Credo sia l’unica traccia in cui ci siamo dati una qualche forma, seppur rudimentale, di “disciplina”! Io ho cercato di utilizzare il sax baritono in tutti i modi, tranne quello tradizionale. Prima ho utilizzato soltanto i soffi, poi solo il corpo dello strumento come uno strumento a ottone, poi a percuotere la campana del sax… e via dicendo.”
Evidenziando il contributo dell’elettronica, Session#7 e Session#2 hanno un carattere sintetico e periodico maggiormente complesso. Attraverso l’automatizzazione, Session#7 varia al suo ricorrere tra sali e scendi dinamici, mentre in Session#2 le linee sono più a-melodiche, legate al krautrock o alla techno, facendo emergere un immaginario distopico che viene attenuato dalle dissonanze più elastiche del sassofono. E, per l’appunto, un simile discorso potrebbe essere applicato per Session#1 e Session#5, in cui un processo di automatizzazione, attraverso loop, viene applicato al sassofono. Il suono risulta scolpito e più organico, offrendo l’idea di una polifonia a due o tre voci, sottraendosi al contesto dell’improvvisazione libera in senso stretto, delineando scenari più meditati. Da sempre nella musica sperimentale, avant, si sono combinati questi due elementi, il fluire di una stessa idea e il caos prodotto in termini naturali, dal krautrock o a molte combinazioni tra rock ‘n’ roll, elettronica o black music, ma come avviene in voi questo processo legato al free jazz sintetico?
Mario Conte: “Diciamo che i due grandi generi elettronici in cui mi muovo circa gli aspetti ritmici dell’album sono sicuramente la techno e l’hip hop. Non in senso stretto, piuttosto come impatto emotivo. Volevamo un disco molto dark, che fosse più una serie di visioni sonore che un album in senso stretto. Quasi una soundtrack, con una serie di incursioni molto decise ma in generale in una dimensione sospesa.
“Session#5 e Session #1 ma anche Session#4 sono più materiche, organiche. Il suono del sassofono crudo, campioni violenti e ritmiche ispirate al Brasile.
“Session#2, Session#8 Pt. 2 come session #9 appartengono a un mondo più elettronico in senso stretto. Avevo in mente un po’ il sound delle ritmiche dei Flanger fatto di dinamiche, piccoli suoni e flow minimale.
“Discorso a parte per Session#7, unica traccia dell’album che parte da una sequenza pre-programmata. Ha un suono diverso da tutti gli altri brani. Abbiamo cercato di rappresentare la luce, come fosse un’esperienza pittorica. Il ciclo dei sintetizzatori che diventa sempre più frenetico e veloce, ma sempre identico, rappresenta il “chaos”, il dubbio. Il sassofono la certezza, la via da seguire.”
Session#6 è una delle tracce più dinamiche, quasi strutturata a suite. All’inizio la tensione del suono cresce più, in cui sax e synth si incorrono in maniera ciclica; nella seconda parte le due voci tengono lo stesso passo, attraverso una creatività più oscillante e automatizzata; una corrente sonora che andrà completamente in corto circuito. Narrando una storia immaginaria, il sound è meno magmatico, più cinematografico, per cui potrebbe essere confrontata con l’idea creativa, spontanea o meno, di Session#9 di cui abbiamo parlato prima. Parlateci dell’organica spontaneità di Session#6, e se voi intravedete possibili, inconsci o meno, riferimenti con Session#9.
Simone Garino: “Beh, effettivamente non ci avevo pensato, ma è possibile che ci sia un legame: del resto quando si suona senza strutture predefinite è quasi inevitabile che, in qualche modo, la struttura si crei da sola, e che le idee sedimentino, tornino, e si trasformino in qualcos’altro. Si può immaginare la nostra musica come un’oscillazione continua tra mutazione e ripetizione. Senz’altro nella nostra musica c’è anche una componente che proviene dal serialismo: tra i miei autori preferiti ci sono sicuramente Terry Riley, Philip Glass e Steve Reich, ad esempio. E Mario ti può sicuramente confermare la sua grandissima passione per i Kraftwerk.”
Parlando dell’origine dei nomi, “Mizookstra” deriva dalla parola “mizuk” coniata dal drammaturgo tedesco Bertolt Brecht, riferendosi ad una musica che comprende ogni tipologia di suoni, rumore compreso. “Also Sprach…”, da cui l’album, potrebbe riferirsi al romanzo filosofico di Friederich Nietzsche Also Sprach Zarathustra (delineando forse l’avvento di una musica che Brecht potrebbe definire nuova, proprio come il pensiero del filosofo nato a Röcken). Ci volete parlare di questo riferimento?
Simone Garino: “Qualche anno fa Franco Fabbri (con cui mi sono laureato, ormai qualche anno fa, in Popular Music Studies) durante una conferenza citò il concetto brechtiano di “misuk” a proposito dello status delle musiche “non colte”, e ne rimasi immediatamente affascinato. Durante la registrazione del disco, nelle pause tra una session e l’altra, nel cortile di MobSound a Milano, io e Mario cominciammo a porci il problema di come chiamarci. Concordammo subito sul fatto che uscire come “Conte/Garino” o roba simile sarebbe stato piuttosto banale. Pensando a quello che stava venendo fuori nelle session, mi venne in mente proprio quel termine, “misuk”. Mario ne fu subito entusiasta, e propose una crasi tra “misuk” e “orchestra”. In mezzo ci infilammo anche “zoo”: spesso le nostre idee timbriche partono da versi di uccelli, o di altri animali: del resto anche noi homo sapiens siamo animali (anche se facciamo finta di non esserlo). Fu così che nacque il nome “Mizookstra”. La rima con “Zarathustra” ha fatto il resto, e quindi ecco Also Sprach Mizookstra: non abbiamo resistito alla tentazione! Personalmente non ho la pretesa di cambiare la storia della musica e lo ritengo più un gesto dada che non una dichiarazione di intenti… anche se devo confessare che lo Zarathustra di Nietzsche è uno dei miei libri preferiti.”
In conclusione, parlateci di prossime novità riguardo tour o altri progetti, o se siete a lavoro con il prossimo tour.
Simone Garino: “Lo scorso agosto abbiamo fatto il nostro debutto fuori dall’Italia, con un concerto a Oslo, all’Istituto Italiano di Cultura. Sono stato in Norvegia quattro settimane per una residenza artistica organizzata da MIDJ: Mario mi ha raggiunto per l’ultima settimana, insieme a Barnaba Ponchielli di Sangue Disken. Tra l’altro quella sera abbiamo avuto come ospite un grandissimo musicista norvegese, Jon Balke.”
Mario Conte: “Siamo rimasti entusiasti tutti e tre del risultato, e presto continueremo la nostra collaborazione, anche con dei concerti in Italia. In inverno registreremo altre nuove session in studio, questa volta con il contributo di una serie di amici musicisti ospiti.”