Mattia Loris Siboni è un musicista elettronico che segue in maniera approfondita un percorso di ricerca nelle sonorità di natura elettroacustica. Nato a Cesena nel 1996, e dopo aver cominciato a studiare chitarra classica all’Istituto musicale A. Masini di Forlì, si avvia ad un’altra formazione musicale iscrivendosi al corso di Musica Elettronica al Conservatorio G.B. Martini di Bologna, diplomandosi successivamente con Lode e Menzione d’onore; egli inoltre è membro di Elettronica Collettiva Bologna e di Minus – Collettivo d’improvvisazione. Nel suo ruolo di sperimentatore elettroacustico fa ruotare la sua professionalità intorno al concetto di silenzio, come avviene d’altra parte con il disco Laeyee (pubblicato nel 2018 per Miraloop Records – Diamonds) e in maniera più matura con Quiet Area suite, quest’ultimo uscito il 5 Marzo 2021 per la Slowth Records, etichetta che promuove la musica sperimentale e di ricerca, e di cui Siboni è co-fondatore.
Quiet Area suite è una raccolta di quattro brani elettroacustici che ruotano intorno ad un’idea di silenzio come compensazioni di vuoti in movimento, e di un dinamismo dell’aria in senso centripeto, senza che il tutto si annichilisca in maniera assoluta, immortalando l’idea di realtà come area quieta, possibile tramite un silenzio relativizzato, attraverso tecniche digitali e sessioni di field recording. Per esempio viene sviluppato il concetto di silenzio tradizionalmente inteso in un ascolto di un disco, come in Mind The Gap, nel quale si sperimenta estrapolando dalla pausa interposta tra il pezzo precedente e quello successivo un brano vero e proprio, evocando un’entità a-musicale attraverso suoni elettronici e registrazioni di materiale vetroso. Il silenzio è un entità viva, componente fondamentale nell’ascolto, e parte essenziale della perturbazione dell’aria senza la quale la vita sarebbe un effettivo errore.
Di seguito l’intervista a Mattia Loris Siboni che approfondirà i temi citati e non solo.
Parliamo di Quiet Area suite. Come nasce in te l’intenzione di creare un’opera basata sul silenzio. Cosa ti colpisce in generale di questo fenomeno acustico, che nella tua tesi, per il Corso di Musica Elettronica al Conservatorio di Bologna, descrivi come non assoluto (ci vorrebbero strumenti specifici per creare qualcosa di approssimativo al silenzio assoluto, come la camera anecoica, utilizzata da John Cage), e relativo sia per l’ascoltatore che per i fini degli autori in musica e non solo? Pensi che il silenzio sia sottovalutato in generale?
“L’intenzione di studiare il silenzio nasce quasi per gioco, tutto è partito da una semplice chiacchierata in cui la frase “non è scontato che un silenzio sia uguale a un altro” è uscita come una semplice – e poco divertente – battuta, credo fosse l’estate del 2018. Riflettendoci a posteriori l’idea poteva essere plausibile e ho cominciato quindi a ragionare in questo senso, chiedendomi quante e quali fossero le tipologie di silenzio possibili e i loro scopi, metodi di utilizzo, analizzando e ricercando quindi il silenzio in musica.
“Di fondamentale importanza è stato il contributo di Francesco Giomi, mio Maestro e figura di riferimento, il cui pensiero ha sicuramente stimolato questa mia ricerca; in più, avere partecipato più volte come musicista al suo progetto Back To Silence, mi ha dato l’opportunità di osservare questo fenomeno in prima persona anche all’interno della musica dal vivo e dell’improvvisazione.
“Del silenzio mi colpisce la capacità di dare valore a ciò che non è silenzio, prima che stretto fenomeno acustico è una condizione in cui compositore e ascoltatore devono porsi, l’essere umano infatti (per fortuna) non può godere dell’esatto fenomeno fisico dell’assenza totale di suono.
“Non credo che sia sottovalutato, spesso chi tende a evitarlo semplicemente lo teme, la condizione del “fare silenzio” infatti porta a mettersi in confronto direttamente con sé stessi, fermandosi.
“Il silenzio è sempre più attuale e le riflessioni che si possono fare a riguardo evolvono con il passare del tempo, l’ultimo periodo ne è stato la prova. Come compositore ma prima di tutto come ascoltatore, sono curioso di come tutto ciò possa riflettersi in ambito musicale”.
Nella prima traccia, Now Hush and Look Around, troviamo il tema del silenzio sia come sintassi dei suoni, che come semantica si può dire, centrale in quelle frasi prese da film. Si potrebbe dire che si parla di un “meta-silenzio”. In merito, parlaci di come è nato questo pezzo e con quali intenti, di questo silenzio che determina e non sé stesso.
“Il brano è stato composto, nella sua prima stesura, a inizio 2019, commissionato per una prima fase del Premio San Fedele Musica Elettronica che ho avuto poi l’onore di vincere a fine 2020. La richiesta era quella di comporre una miniatura di pochi minuti, su tema libero, ho colto quindi l’occasione per provare a mettere in pratica i primi appunti e passi della ricerca, partendo proprio dall’indagine di quello che nella tesi definisco “silenzio suggerito”. “I legami estrinseci all’interno della musica elettroacustica sono un mezzo a mio parere fondamentale, trascendono l’evento sonoro richiamando un collegamento per così dire “esterno” al contesto stesso della composizione; allo stesso modo le citazioni quindi guidano e veicolano la riflessione sul tema stesso, richiamando il vissuto del singolo ascoltatore che può ritrovarsi – come non ritrovarsi – nelle voci che ascolta.
“Questo brano ha acceso il desiderio di perseguire la ricerca sia dal punto di vista teorico che pratico con la scrittura degli altri tre movimenti, per questo si può vedere Now Hush and Look Around come movimento riassuntivo e anticipatorio dell’intero disco”.
Balumina è un viaggio attraverso diversi scenari, in un’immaginaria imbarcazione a vela; si può sentire il vento che percuote la balumina attraverso distorsioni eteree, della natura di quel percorso immaginifico, astratto, sospeso nella sua frammentarietà. Il suono si gonfia in voci mediorientali, e in maniera anti-musicale viene tradito quel silenzio di rumori di fondo inanimato. Per via di quel vasto percorso, i suoni di questa traccia descrivono una curvatura a risonanza ellittica, ma ti chiedo: che ruolo ricopre il tema del viaggio in Balumina e che valenza hai voluto dare ad esso all’interno della release?
“Ogni movimento affronta in modo autonomo diversi aspetti e tipologie di silenzio, questo anche per merito dei diversi materiali e contesti sonori presenti in ognuno. Balumina si concentra sul silenzio nel paesaggio sonoro urbano della città di Cagliari, che ho avuto il piacere di visitare a giugno del 2019, su invito di Tempo Reale nell’ambito del progetto “Il paesaggio sonoro in cui viviamo”, seminario di registrazione del suono in ambito urbano all’interno del progetto Erasmus Plus sostenuto dall’associazione Amici della Musica di Cagliari.
“Il viaggio è presente nel percorso tra un luogo e l’altro, e include al suo interno le “sorprese” sonore che hanno caratterizzato i diversi ambienti e stupito in primo luogo me stesso durante le diverse sessioni di field recording; il verso di un gabbiano, il suonare di una campana o il vociare dei passanti. C’è un aneddoto che amo raccontare a riguardo: di ritorno da una sessione di registrazione sul porto di Cagliari, ci siamo imbattuti in una manifestazione di persone africane che, cantando, sfilavano con cartelloni e costumi tradizionali (purtroppo non ho avuto occasione di chiedere cosa riguardasse la manifestazione). Quell’energia sonora mi ha letteralmente investito, è stata una bellissima sorpresa, davvero inaspettata. Dopo essere stati testimoni della quiete del porto, quei canti e quelle grida hanno assunto un valore sonoro ancora maggiore, e allo stesso modo ho deciso quindi di includerli nella composizione, come una vera e propria sorpresa al centro del brano.
“Questo, sommato alla mia passione per il mondo nautico e della vela che non nascondo, ha portato al desiderio di sviluppare questo movimento come centrale e forse più complesso. Di fatto il paesaggio sonoro circonda costantemente ogni individuo, che può scegliere di lasciarsi stupire e trasportare dagli eventi sonori”.
Al termine dell’album, Qui Nella Maestà Del Silenzio il tuo lavoro diventa più comunicativo. Verso l’inizio del crescere una voce cattura la nostra attenzione, e successivamente si possono sentire versi di Bibbia che si accavallano; verso il termine si può ascoltare un passo del libro di Qoelet, quello che comincia con “C’è un tempo per…”; ogni azione rientra in un tempo finito, e la maestà del silenzio dà la conferma tacita a quelle parole; infatti parole che in realtà ruotano intorno al concetto di fine, in quanto i silenzi provengono dal Cimitero monumentale della Certosa di Bologna, e le voci recitano le epigrafi presenti nel cimitero. Dalla parola segue il silenzio, ma la realtà è permeata non solo da questo panta rei di disincanto, ma anche un silenzio che può essere manipolato, proprio come l’aria può essere perturbata secondo i nostri desideri, e che essere artefici del proprio destino e del logos può essere deterministico per la realtà e liberatorio per noi stessi. Qui Nella Maestà Del Silenzio vuole esprimere dissenso o incanto propositivo attraverso il suono?
“Credo incanto propositivo, anche in questo brano l’elemento della sorpresa è centrale, le voci recitanti le epigrafi sono articolate per dare un senso di attesa, nascono e si evolvono per poi sfociare nei diversi silenzi dei vari ambienti della Certosa, circondano l’ascoltatore che può lasciarsi condizionare dal significato semantico come dalle proprietà sonore della voce. Mi piace pensare che ogni ascoltatore possa in qualche modo essere protagonista dell’esperienza d’ascolto, e che in questa abbia dunque un ruolo centrale e attivo”.
Interessante è la tua tesi, dal titolo “Silenzio. Indagine tipologica e utilizzi nella musica elettroacustica”, per il diploma accademico di I livello relativo al Corso di Musica Elettronica al Conservatorio di Bologna G. B. Martini; in essa vengono esaminate varie tipologie di silenzio in musica, e la tua opera Quiet Area Suite. Viene anche analizzata un’opera elettroacustica, ovvero Espaces Inhabitables di François Bayle. È esplicativo come quei suoni si evolvono e come viene scolpito il silenzio, tra due polarità, una acustica e l’altra in senso elettrico, ovvero come viene riprodotto quel percorso vitale attraverso l’esordio di un timbro e la sua conclusione, in un intervallo esistenziale nel quale il silenzio è materia viva, attraverso quella perturbazione, un impulso continuo che rende energica l’aria atmosferica. Il suono si basa su formule differenziali, attraverso un’alterazione del silenzio, una variazione in senso analitico, leibniziano, ed infatti si potrebbe dire che il suono vive di silenzi intermedi, infinitesimi. Quella concezione poteva essere assimilata inconsciamente da Bayle, vivendo in quella natura intensa del Madagascar, che aveva fatto dei rumori analogici di quel quotidiano una sostanza da contemplare con meraviglia, in senso ieratico, e che hai saputo cogliere nella tua analisi, e che viene immortalata nell’espressione di “silenzio magmatico”. Cosa pensi di questa chiave di lettura fisico-matematica? Parlaci della scelta di Bayle nella tua tesi, se ti va.
“La scelta dell’analisi di Espaces Inhabitables di François Bayle come approfondimento della tesi dipende dal fatto che questa è stata una delle prime opere nelle quali ho trovato affinità e relazioni con i contenuti teorici della mia ricerca. Ho trovato interessante, piuttosto che lavorare su ciò che è stato dichiaratamente scritto sul silenzio, studiare repertori nei quali non fosse esplicito – o magari inconsapevole – il suo utilizzo come mezzo compositivo. La chiave di lettura che proponi può essere interessante, i silenzi capillari che circondano il suono potrebbero esserne la cornice che di fatto esalta e dà valore al suono. É proprio la cura che Bayle applica all’immagine sonora e la sua capacità di contestualizzare ogni singola immagine all’interno di uno spazio sonoro estremamente curato che mi ha portato istintivamente a “cercare conferme” in Espaces Inhabitables”.
Spostandoci sul tuo primo disco, ovvero Laeyee, viene anticipato il silenzio rispetto a Quiet Area Suite. C’è un vuoto più disteso, e un modo di architettare il silenzio meno dinamico e più dormiente; una struttura sospesa, che mostra uno scenario possibile, concettualmente nuovo per questi tempi, che deriva dalla tua idea di musica. La volontà di creare del rumore in senso anti-musicalmente onirico e più oscuro. Mi chiedo in che modo Laeyee converge verso il più organico lavoro di questo Marzo.
“Laeyee è frutto di un concept diverso, è la creazione di un sentiero attraverso ambienti e paesaggi totalmente immaginativi, il silenzio viene anticipato perché l’interesse in questo senso precede l’uscita di Laeyee, avvenuta nel dicembre del 2018. In particolare il silenzio si può ritrovare in Bergice, ultimo brano di Laeyee; chiaramente si tratta di un silenzio più “didascalico” e meno approfondito, usato come assenza più comunemente intesa. In Quiet Area suite il silenzio è usato come mezzo compositivo a 360 gradi, in maniera più consapevole e non solo come “semplice” vuoto tra due eventi”.
Per concludere, se vuoi anticipaci qualcosa sui tuoi prossimi progetti, e se e in che modo saranno associati alla definizione di silenzio.
“Al momento ho diversi progetti in ballo, senza anticipare troppo, sia come compositore che come musicista. Questa esperienza mi ha dato la prova di come il silenzio sia uno dei tanti mezzi con il quale si scrive, si suona e si ascolta musica; è un parametro tanto importante quanto altri. Scegliere il silenzio è un atto totalmente musicale e in questo senso credo che debba essere sempre preso in considerazione, avere consapevolezza sull’uso del silenzio significa quindi anche saperlo evitare.
“Posso sicuramente affermare che qualsiasi lavoro al quale sto lavorando o lavorerò in futuro porterà con se un’attenta riflessione a riguardo, se il silenzio non sarà presente vorrà dire che, di fatto, ho scelto di non includerlo, e quindi l’assenza del silenzio sarà consapevole”.
Grazie e a presto.
“Grazie a te e a tutti i lettori per l’attenzione”.