Il post-rock dei Mallard Blowflies, tra jazz e krautrock
di Giovanni Panetta
Intervista ai Mallard Blowflies, sul loro esordio Pato Aguilera Tapes, con il loro post-rock permeato da elementi jazz e kraut.
Mallard Blowflies

Cover di Pato Aguilera Tapes, artwork di Sara KO Fontana.

Trio nato dalle ceneri dei pisani Dr. Snaut, i Mallard Blowflies esordiscono con l’album autoprodotto Pato Aguilera Tapes, in cui, al contrario del progetto pregresso citato, la componente post-rock, molto affine alle sonorità della tedesca kosmische musik, sovrasta la componente di ispirazione jazz, più legata alla tradizione del genere sopramenzionato sviluppatosi in pieni anni ’90, caratteristica della sezione ritmica. Il trio è formato dai due ex-Dr. Snaut Federico Luti (batteria, già nei Metzengerstein) e Tommaso Barbieri (basso, precedentemente componente dei Hopes are Burning, gruppo post-hardcore di Viterbo, dalle tinte metal ed eteree), con l’aggiunta di Gabriele Bartolucci, il quale conferisce un tocco decisivo nel creare atmosfere eteree e in diversi punti plastiche sia attraverso la chitarra che l’elettronica. Il disco è stato registrato da Luca Matteucci al Redroom Studio, a Nodica (PI), ed è stato masterizzato da Gianni Peri a Lucca.

Abbiamo intervistato i Mallard Blowflies su Pato Aguilera Tapes e i pezzi più caratteristici contenuti nell’album.

Federico, parlaci di come nasce quest’ultimo tuo trio, ovvero Mallard Blowflies, all’insegna di un post-rock jazzato in senso cool.

Ogni volta che inizio un progetto cerco sempre queste influenze perché fanno parte un po’ dei miei ascolti e un po’ del mio modo di suonare, alla fine del progetto Dr. Snaut, dove le parti di ogni strumento si incastravano in maniera maniacale con Tommaso il bassista, sentivamo un po’ la necessità di tornare su sonorità ritmicamente più libere e post-rock, fortunatamente siamo riusciti a coinvolgere Gabriele, un chitarrista molto affine a queste intenzioni.

Pato Aguilera Tapes consta di un suono leggero nei movimenti, in cui sembrano esserci anche elementi più esotici rispetto la poetica del post-rock tout court. Un disco che ha elementi di aleatorietà e libertà, nell’ottica del riferimento musicale citato insieme a qualche influenza, sebbene più rarefatta e dispersiva, al math rock. Parlaci di come si sviluppa il lavoro quali intenzioni creative quest’ultimo cela?

Principalmente volevamo un progetto ritmico, il nuovo chitarrista aveva lavorato molto con l’elettronica e questo ci ha permesso di spaziare su più fronti chiaramente siamo sempre stati influenzati da gruppi che hanno fatto di questo genere un’arte come Tortoise, Mice Parade, Him (non il gruppo metal ma la formazione jazz statunitense di metà anni 90) e Dylan Group per citarne qualcuno.

In Glaxo l’atmosfera è più sospesa, in cui un hit-hat periodico e complesso sembra riprodurre in suono del fogliame autunnale le cui singole componenti seguono traiettorie stocastiche ed armonizzanti. Il pezzo si dirige verso linee epifaniche in musica via via crescendo, secondo la tradizione del post-rock più classico. Parlaci di come avvengono le idee contenute in questo pezzo.

In quel periodo sentivamo gruppi come Date Palms e Robedoor, musicisti che basavano la loro musica su atmosfere psichedeliche dilatate e ripetitive, quindi abbiamo lavorato su quel mood. Personalmente cerco sempre di lavorare su groove che si incastrano molto con la melodia; quel charleston di cui parli è un botta e risposta tra la batteria e la melodia del basso.

Mein Freund Gaetano è permeato da melodie più austere dall’impronta blues in chiave moderna. Tale traccia appare più frammentaria nello sviluppo dei riff chitarristici, in cui le parti più jammate assurgono ad una maggiore organicità ed autoconclusività. Parlaci di questo elemento duale nel pezzo appena citato.

L’architettura del pezzo nasce da una sessione basso batteria ed elettronica, in cui abbiamo jammato alla ricerca di una linea di basso che dettasse una melodia al brano. Per l’intro ci siamo ispirati come sempre ad un certo krautrock di metà anni ’70, ibridato con suoni elettronici che riprendono i synth del periodo. La chitarra è stata aggiunta dopo e i riff sono improvvisati e buttati giù come parti per incastrarsi con la fase ritmica, in modo da dare quel senso di jam spaziale che connota spesso il nostro sound.

Attraverso riff più scampanellanti, Crodi si sviluppa in suono più melodico dalle tonalità eterodosse ed aperte. Partendo da un’impostazione rumorista e quasi dub, il pezzo confluisce ad un suono lateralmente esotico con l’aggiunta di dettagli di astrazioni. Da dove trae origine tale melodicità diversa e diversificata?

Crodi è un pezzo che trae spunto per le atmosfere delle quotidiane discussioni tra noi componenti, prova a seguire i diversi ritmi del dibattito tra le parti, a volte rumorosi, a volte cordiali, per poi terminare con un’aria tribale per non dimenticare i lontani conflitti di chi si affida sempre all’improvvisazione.

L’ultimo pezzo, Ula Nina, segue un andamento spaziale di gran lunga più astratto, tergiversando verso uno sperimentalismo che appare come un outlier all’interno dell’album, nell’ottica di una diversificazione ogni volta peculiare. Come avviene tale aspetto di originalità nel finale di Pato Aguilera Tapes?

Per l’ultimo pezzo avevamo in testa l’idea di un ritmo di batteria frenetico e marziale dove il basso in appoggio avrebbe fatto il tema principale; Gabriele, il chitarrista, è stato molto bravo ad incastrarsi in questo tipo di idea. Il bello di suonare con questa libertà senza schemi predefiniti è che puoi entrare e uscire a tuo piacimento, in quanto nessuno è legato all’altro; questo permette di mettere in pratica quello che ti viene in mente al momento senza frenesia.

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