Tidiane Thiam – Sitorde (Sahel Sounds, world/ethno-blues): La Sahel Sounds Records è un’etichetta che si fa portavoce dei suoni provenienti dall’Ovest del Sahel, ovvero la zona compresa dal deserto del Sahara e la Savana Sudanese. Girando quelle zone (Mali, Mauritania, Niger, Senegal…) con un registratore per cassette, captando quei suoni, ipnotici e sorprendentemente morbidi, Christopher Kirkley, proprietario della Sahel Sounds, arricchisce il proprio repertorio discografico, promettendo metà del ricavato a quegli artisti autoctoni. Parliamo di suoni che non si diffonderebbero nel mondo in nessun altro modo, dal momento che quei pezzi non esistevano nell’etere informatico e passavano tra gli abitanti di quei luoghi di telefonino in telefonino tramite sistema bluetooth (in tempi più recenti utilizzano Whatsapp). Si va dal Tuareg guitar unito ad elementi delle tradizioni rurali nigeriane de Les Filles De Illighadad, l’afrofuturismo della tastiera di Mahamadou “Hama” Moussa, e l’afrobeat primitivo dalle tinte motorik degli Etran De L’Aïr, ed ovviamente Mdou Moctar, che con il suo Tuareg guitar psichedelico ha suonato in Europa, e anche USA dove ha tra l’altro registrato i suoi ultimi dischi. Il disco che verrà presentato è di un senegalese, ovvero Tidiane Thiam, il quale, oltre a suonare la chitarra, è fotografo, artista visuale e studioso del folklore del Sahel; Siftorde, pubblicato il 15 Maggio di quest’anno, dà voce al passato di quella terra, con una chitarra suonata come un hoddu (strumento a corde della tradizione del popolo Fula) attraverso la tecnica del fingerpicking, e registrato di notte nello spazio all’aperto della casa sul fiume del musicista, con sottofondo di grilli e altri occasionali rumori. L’intento di Tidiane di far emergere quella tradizione si riflette nel tocco ieratico e onirico nell’utilizzo di quella tecnica, come se quegli ancestrali vivessero nella memoria e nell’inconscio di chi non vuole dimenticare. Il tocco fluido e che riflette il paesaggio naturale nella quale la performance è immersa non viene mai tradito, tranne un po’ per la più sospesa e per questo più enigmatica Douga. Per quanto detto prima, titolo esplicativo: Siftorde è la traduzione di “ricorda”, una parola che grazie a quelle armonie afro sognanti è difficile dimenticare.
Karkhana – Bitter Balls (Unrock, world/free jazz/noise/electronics): L’ultimo disco dei Karkhana presenta un’interessante novità. Il free jazz etno-noise psichedelico a cui eravamo abituati con il gruppo di musicisti dalla tripla origine egiziana-libanese-turca implementa ancora di più suoni elettronici attraverso interessanti effetti ad opera di Mazen Kerbaj. A dire la verità avevamo avuto un interessante prologo con lavori come Molto Bene degli stretti colleghi Konstrukt (il chitarrista Umut Çaglar dei Karkhana ne è un componente), il quale presenta diversi punti in comune con gli album dei Karkhana, che però non sono abbastanza per la maggiore e affastellata configurazione dello schema che emerge. Nonostante molte intuizioni siano inalterate, i loro lavori continuano a sorprenderci ancora di più. La musica dei Karkhana, non mezzo ma fine attraverso la creazione di interessanti istanze musicali, di bordoni fluidi e mai ripetitivi, ci offrono un’interessante idea di flusso di coscienza che ha come punto focale sonorità di origini medio-orientali. La chitarra free, la tastiera cosmica, le ance etniche che si confondono con suoni elettronici sono gli elementi peculiari dell’album. La prima traccia, Huli Huli, dopo un’introduzione etno-rumorista, inzia il pezzo vero e proprio che sembra avere la sua impostazione da chiusura, con la sua grandeur di suoni tonali che si accavallano. Al Sal3awa e Containment hanno un andamento centrifugo e all’ascolto sembra di attraversare discontinuamente ambienti eterogenei, che giocano tra melodismo medio-orientale e avanguardia. Si chiude Con Rock Farock che replica concettualmente il discorso fatto con Huli Huli, a parte esacerbarsi di più in suoni noise elettronici. Sicuramente, dopo alcuni ascolti, risulterà il disco più interessante della band.
Mike Watt & The Secondmen/Zig Zags – L.A. To Pedro (Nomad Eel Records, punk/soul-punk/noise): Dopo vari dischi di collaborazioni con altri artisti e alcuni tributi, i Mike Watt & The Secondmen tornano con un altro split insieme ai losangelini Zig Zags. La band dello storico bassista dei Minutemen, progetto tragicamente chiuso, è solita cimentarsi in un soul psichedelico dall’impostazione punk caratterizzato dall’organo elettrico di Peter Mazich, e col supporto di nessuna chitarra. Basso, organo e batteria non perdono un colpo, e rende scorrevole l’ascolto di Sunken City e di Johnny Weismuller; semplice, intensamente vivace e spontaneo, quindi potremmo dire tranquillamente punk, se non ci sia di mezzo l’interposizione della vena più psych rock, un aspetto caratteristico del modo di fare musica di Watt, sempre affascinato da gruppi come i Blue Öyster Cult, e ispirato in quel modo di suonare più astratto. Per quanto riguarda i Zig Zags, anche loro in un certo senso approfondiscono quell’aspetto, suonando una cover dei Minutemen presente in 3-Way Tie (For Last), ovvero Political Nightmare, non a caso scritta da Watt (insieme a Kira Roessler, storica componente nei Black Flag, e anche in Dos insieme al succitato bassista), e dandone una versione più heavy con quel sound “hard noise” tipico degli esecutori. Un disco che gioca con un pezzo storia che viene rivisitata attraverso suoni nuovi o del passato più lontano.