Nel 1975 Franco Battiato stava sviluppando un momento di sfiducia verso il suo pubblico. Momenti nei quali gli ascoltatori ai concerti non sembravano apprezzare la sua vena estremamente astratta e cosmica (frequenti erano i fischi o qualche più internazionale “go home“, rivolti contro di lui durante i suoi set), e situazioni nelle quali manifestava un distacco dai suoi fan (caso emblematico a Torino, dove durante un’esibizione apostrofa gli ascoltatori con un diretto: “volevo solo dirvi che siete un pubblico di merda“). Un momento di incomprensione stava attraversando quel periodo, dove a quei suoni cosmici di matrice krautrock (emblematici i casi degli album precedenti di quell’anno, come Foetus e Sulle Corde Di Aries) stava prendendo posto qualcos’altro.
Battiato quindi per una seconda volta (un altro periodo simile e decisivo nella sua poetica fu nel 1973) torna nella sua terra natìa, ovvero la Sicilia. Qui ad ispirarlo saranno l’accento, il dialetto e la tradizione della sua isola, che permeeranno il suo quinto album M.Elle Le “Gladiator”, uscito nell’Ottobre del 1975, per la Bla Bla, che già aveva pubblicato il già citato Sulle Corde Di Aries e Clic, e prodotto da Pino Massafra; un collage di nastri, conversazioni in dialetto, suoni di processioni religiose e canti popolari di quella terra per Goutez Et Comparez, e un organo dalle linee dissonanti e maestose in Canto Fermo e Orient Effects, e lo strumento in questione, impronta in prossimità della sua provenienza (area di Catania), è quello della Cattedrale di Santa Maria Nuova di Monreale, uno dei più grandi del mondo. Un luogo, quello di Monreale, che nel passato ha ospitato molte popolazioni, come greci, latini, arabi e normanni, e che ha dato un tocco inconsciamente esotico alla comunità risultante. Goutez Et Comparez, che costituisce la prima facciata del vinile, non è solo un esperimento di derivazione antropologica, ovvero un possibile riferimento agli studi nel suddetto campo di De Martino e Lomax, ma anche un collage di rumori aleatori, dove è possibile sentire un rumore di telegrafo, trasmissioni radiofoniche, riproduzioni di 78 giri e Battiato stesso che canticchia o che sembra intrattenuto in qualche conversazione; una casualità che potrebbe indicare la sospensione che appartiene al momento, ovvero un flusso di coscienza che simula il vissuto di Battiato e il suo sguardo alle origini. Per quanto riguarda il lato B, Canto Fermo e Orient Effects sono un esperimento di matrice cosmica, dove la risonanza delle note sui soffitti a volta della Cattedrale di Monreale genera un effetto riverberato e magmatico, attraverso linee eteree manifestazione di un Eterno Ritorno, dove la Sicilia delle Origini è l’essenza che permea microscopicamente quello spazio dedicato alla contemplazione dell’ignoto che Battiato insegue. Le due facciate rappresentano gli Input e output della condizione dell’autore siciliano, che andranno a riversarsi nella fase successiva.
M.Elle Le “Gladiator” può essere visto benissimo un disco di transizione nella poetica di Battiato, la quale propenderà verso la musica colta, prodotta dalla Ricordi e non più l’etichetta Bla Bla. Adesso Franco Battiato, musicista poliedrico, è un compositore di musica d’avanguardia, sotto il consiglio di Karlheinz Stockhausen e la guida di Paolo Castaldi e del violinista Giusto Pio. Dopo due anni di studi esce il primo lavoro della serie, ovvero Battiato, che ricalca a suo modo M.Elle La “Gladiator”, con un altro collage (Cafè – Table – Musik) e un altro pezzo per strumento a tastiera (in realtà al piano, cioè Zâ), dove in entrambi suona il pianoforte Antonio Ballista, e canta in Café – Table – Musik la soprano Alide Maria Salvetta. Zâ è periodica, segue le onde del mare, con momenti di naturalistica aritmia; un brano quasi monocorde, con variazioni nel tempo e qualcuno nella melodia, dove la stasi per la periodicità dell’accordo e il vuoto è una componente fondamentale per l’ascolto. Café – Table – Musik è più astratta, dove c’è un alternanza tra astrazione e melodismo, tra collage analogico di voci recitate, vocalizzi aleatori e musica di piano, in cui Battiato non si lascia sfuggire tracce della sua Sicilia con qualche reading nel dialetto della sua terra.
Nel Maggio del 1978 viene pubblicato Juke Box. Originariamente pezzi che compongono il disco dovevano far parte della colonna sonora del film storico per la televisione Brunelleschi, dedicato al citato architetto rinascimentale; tali tracce furono ritenute inadatte per il lungometraggio, e al posto di questi si inserirono pezzi di altri suoi album precedenti, come Pollution e Sulle Corde di Aries e oltre che di altri autori come Luciano Berio, Roberto Cacciapaglia, Olivier Messiaen, Igor Stravinskij, Keith Jarrett e Terry Riley. Le sei composizioni di Juke Box sono più organiche, barocche in senso lato e obliquo, ed infatti ci sono varie combinazioni di strumenti: spiccano in primis i violini, più sospesi e cripticamente melodici quelli di Martyre Celeste, più atonali e astratti in Telegrafi (ancora una volta il campione reale o l’immagine ricalcata di quel passato strumento di comunicazione). Hyver e Agnus, più liriche nella voce, sono contraddistinte da un melodismo che si riverserà nel periodo successivo (dal ’79 in poi), e, senza tradire ancora una volta la sua attitudine, fondendo sperimentazione e cultura pop.
Di Settembre dello stesso anno è la volta de L’Egitto Prima Delle Sabbie, titolo ispirato da un racconto del mistico armeno Georges Ivanovič Gurdjieff, maestro di Battiato; per quanto riguarda il disco, due pezzi che occupano ciascuno una facciata, all’insegna di suoni rarefatti. Se la prima traccia, omonima, è un pattern arpeggiato che si ripete oscillando intorno ad una posizioni di equilibrio (al piano ancora una volta compare Antonio Ballista), Sud Afternoon è un dialogo tra i due pianisti che suonano (Ballista e Bruno Canino), un flusso minimalista dove da più angolazioni si ammirano paesaggi lirico-geometrici, con un certo leitmotiv melodico continuo. Un disco, che fu insignito del Premio Stockhausen (un riconoscimento internazionale), in fede ad un minimalismo, romantico e sghembo allo stesso tempo, dove i respiri e le pause seguono tempi non lineari e quantitativamente complessi. Ma molto presto gli esperimenti di Battiato confluiranno in qualcos’altro, dove la popular music, in senso proprio, prenderà di più il sopravvento.
Successivamente, nel 1979 Battiato torna (anche se con un’impostazione diversa) alla musica leggera come autore (aveva arrangiato precedentemente brani di artisti pop, come Giorgio Gaber, Alfredo Cohen e Ombretta Colli) con L’Era Del Cinghiale Bianco, ma questa è un’altra storia. Noi lo vogliamo ricordare per la sua fase più eterodossa, sghemba e in questo caso colta, senza screditare il resto delle sue produzioni. Un Battiato dimenticato che, a nostro avviso, deve riemergere.