Francesca Bonci e la sua arte caleidoscopica di colori e rumore
di Giovanni Panetta
Intervista a Francesca Bonci, artista visiva dalla psichedelìa realista e glitchata, e che collaborato con la Pete International Airport e molti altri artisti internazionali.
Francesca Bonci

Cover dell’album It Felt Like The End Of The World dei Pete International Airport, realizzata da Francesca Bonci.

Francesca Bonci è un’artista visiva di origini marchigiane impegnata nella creazione digitale di video per la musica, oltre a cimentarsi in altre tipologie di visual che la coinvolgono nell’arte del suono, ad esempio la realizzazione di artwork in lavori discografici. Per quando riguarda il montaggio di video, Francesca predilige riprese della realtà elaborate attraverso la saturazione dei colori o più in generale l’utilizzo creativo dei colori stessi, nonché la tecnica della distorsione video attraverso glitch, il quale appare come uno dei tratti più distintivi del suo approccio creativo. Artista cosmopolita, molte sono le collaborazioni con artisti internazionali, tra cui la più recente con i Pete International Airport di Peter G. Holmström (chitarrista e autore nei Dandy Warhols) in almeno quattro loro pezzi, nonché con Rachel Goswell (vocalist negli Slowdive), in veste di collaboratrice nella canzone Tic Tac degli stessi Pete International Airport.

Abbiamo approfondito gli argomenti citati ed altri con Francesca riguardo la sua arte. Di seguito l’intervista rivolta a lei.

Francesca, parlaci di come è cominciata la tua esperienza come video maker e graphic artist. Come avviene il tuo approccio tra realismo e astrazione?

“Ciao Giovanni, grazie a te e a tutta la redazione di Nikilzine!

“Non so quando sia cominciata esattamente, ma di sicuro ho cominciato a pensare per immagini e poi ad esprimermi attraverso esse molto presto, in tenera età. Quando poi ho avuto accesso a computer e tecnologia, sono stata in grado di fare i primi montaggi, assemblare cose, unire le immagini al suono. Fin da ragazzina ho creato vignette, illustrazioni, locandine per comunicare qualcosa agli altri, soprattutto quando volevo aiutare gli amici a promuovere un concerto o un disco e dalle silenziose immagini statiche a quelle in movimento, il passo è stato abbastanza naturale, oltre che necessario. Ho cominciato a capire che potevo farlo seriamente durante gli anni di studio all’Accademia delle Belle Arti, dove ho avuto accesso a macchine più prestanti e strumentazione professionale, e a capire che potevo mostrarlo al mondo grazie all’avvento e allo sviluppo di Internet. E internet mi ha davvero connesso con tutto il resto del mondo, anche dove non credevo di poter arrivare.

“Il mio approccio tra ciò che ascolto e quello che immagino è molto viscerale ed emotivo. Il primissimo impatto che ho con la musica che mi viene proposta è letteralmente un ascolto di stomaco. Chiudo gli occhi e sento le sensazioni che mi provoca. Se non arriva, so già che non riuscirò a creare nulla, se invece mi fa vibrare lo stomaco allora posso passare alla seconda fase. La seconda fase è lasciarmi trasportare da quella musica e immaginare cose che poi dovrò trasdurre in qualcosa di più comprensibile a chi guarda.”

Nei tuoi video una componente concreta risulta il mezzo di pattern astratti e fugaci, in cui il realismo dei singoli fotogrammi, saturati all’eccesso, constatano di sagome che vengono colorate in maniera psichedelica, creando dei caleidoscopi caotici; viene spontaneo pensare che all’osservatore viene naturale creare delle associazioni con qualcosa di personale, o più determinato da un punto di vista sociale. Parlaci di questo tuo stile, e come nasce e si sviluppa, ad esempio dalla tecnica del disegno con cui hai esordito originariamente.

“Ad essere del tutto sincera non sono sicura di essere molto brava a raccontare il mio stile e il mio processo creativo. Forse per questo mi piace sperimentare e lasciare che la mia emozione venga poi percepita dalle persone secondo le loro sensazioni. Però sono consapevole di avere uno stile riconoscibile, che rimane tale pur modificandone gli strumenti che lo definiscono. La mia sperimentazione parte dal fissare delle idee guida, che poi cerco di esprimere in immagini, che infine distruggo attraverso manipolazioni e alterazioni cromatiche. Come se volessi lasciare il senso dell’idea iniziale senza però mostrarlo chiaramente. Non ho proprio esordito con il disegno, mi piace fare schizzi e illustrazioni, a volte piccole animazioni, ma non mi sento una disegnatrice, il disegno é uno dei tanti strumenti che uso insieme a strumenti analogici, scanner, pennelli, fotocamere digitali…”

Un ruolo importante nella tua arte è conferito alla tecnica digitale del glitch. Dando una possibile interpretazione di questo approccio, con il glitch sembra che si emani un certo pessimismo, in quanto ipoteticamente mi immagino che amaramente l’osservatore recepisce la vita reale da uno schermo di un computer entrando in contatto fallacemente con il mondo esterno, privandosi in questo modo del contatto umano o delle sensazioni o emozioni a pelle del momento. Inoltre i paesaggi naturali hanno colori alieni, e la distorsione del glitch li rende surreali, infondendo sentimenti di suggestione per il paesaggio plastico ed armonico in modo complesso, tecnicamente ideale, ma che vuole suggerire una certa morale dal significato dolceamaro. Parlaci delle reali motivazioni dietro l’utilizzo del glitch e se in parte condividi quanto ho esposto.

“Sì, i miei video hanno sempre avuto questa componente di distorsione visiva, ma soprattutto nei lavori più recenti post pandemia, ho usato massicciamente il glitch, che però deriva da tecniche analogiche di distorsione del segnale e dell’immagine. Non so se sia intenzionale, ma certamente un senso di dolceamaro c’è in quello che creo. Rappresento la realtà, ma non in modo diretto, bensì dal punto di vista emotivo, attraverso metafore visive e va da sé che forse, sia il mio stato d’animo, sia la descrizione di un mondo nient’altro che solare e abbastanza apatico e complesso, si riflettano in quello che creo. Ho sempre basato la mia sperimentazione visiva su un atteggiamento simile a quello di uno scultore che cerca di tirare fuori l’essenza dal marasma della materia. La distorsione e l’imprevedibilità, mi permettono di arrivare a toccare la materia nel profondo. E proprio l’imprevedibilità, che caratterizza l’uso dei dispositivi di videosintesi analogica su vecchie TV a tubo catodico, mi ha molto affascinato e aperto a mondi inesplorati. Quella sensazione di sbandamento dell’estetica glitch esprime in pieno l’inquietudine che provo e che mi serve per esprimermi. E probabilmente in un certo senso, questa inquietudine, serve alle persone che guardano per connettersi con me.”

I tuoi video sono giochi, la cui astrazione rimanda a suoni in movimento da cui la componente immaginaria, concreta o mentale, prende vita. So che nei tuoi esordi disegnavi ispirata dalla musica proveniente da sessioni a cui assistevi dal vivo da molto giovane. In questo senso, come nasce il tuo legame con la musica e quali sentimenti sono più ricorrenti in te durante l’ascolto?

“Io amo la musica, in maniera davvero epidermica e profonda. Tanto che mentre la ascolto, non posso fare a meno di creare immagini nella mia testa. Il modo più immediato è sicuramente buttare giù piccoli schizzi e pensieri ed è quello che faccio da sempre. Anche perché ho sempre un blocchetto con me. Col tempo gli schizzi a penna si sono evoluti anche in piccole clip catturate in giro, fotografie, textures. Non mi sono mai chiesta come sia nato davvero il mio legame con la musica, ma so che da che ho memoria, la musica ha fatto parte della mia vita in modo considerevole. Ho avuto la fortuna di avere tantissimi input fin da molto piccola, che hanno contribuito alla formazione del mio background. I sentimenti più ricorrenti sono di libertà e coscienza. La musica ha un effetto terapeutico e lisergico. Ogni volta è come se entrassi veramente in uno stato di liberazione.”

Volevo chiederti, in vista del tuo approccio ispirato dai suoni, è stata pubblicata This is not a Love Song, la finta musicassetta di cartone apribile a poster con immagini create digitalmente da te in cui compaiono tuoi disegni a mano, ispirati dal pezzo dei Radiohead Exit Music (for a Film), pubblicata su OK Computer (1997). Parlaci di questo progetto e l’ispirazione trasmigrata in visual.

“Quella con TINAL Song é stata un’esperienza molto piacevole. Seguo questo interessante progetto da tempo e l’anno scorso ho deciso di partecipare al concorso per vincere due biglietti per il VIVA festival poiché le canzoni da illustrare erano Sun di Caribou e Tides di Bonobo, due artisti ai quali sono affezionata. Non ho vinto, ma i ragazzi di TINAL Song mi hanno contattata e invitata a disegnare una cassettina su una canzone a scelta. Mi sono ispirata al film per il quale era stata composta la canzone, ovvero “William Shakespeare’s Romeo + Juliet” di Baz Luhrmann. Mi piace a volte misurarmi con le immagini statiche come se fossero istantanee estrapolate da un video e che dovessi tenere strette per non farle scappare fuori di bordi. Lo faccio anche quando creo immagini per una copertina di un disco. Uso ogni tanto il disegno e l’illustrazione per magliette in edizione limitata e oggetti disegnati e poi dipinti a mano, ritratti. Ogni tanto capita, ma il mio approccio è sempre come se immaginassi qualcosa in movimento.”

Interno di This is not a Love Song.

This is not a Love Song

Cover e finta tape di carta in This is not a Love Song.

Hai collaborato al videoclip del pezzo di Ippio Payo (nome d’arte dell’artista tedesco Josip Pavlov) intitolato Talking Birds, dalle sonorità barocche e jazzate. In questo video compare un tuo tratto più naturalistico, in cui la tecnica del glitch è più diluita, conferendo una sensazione di creatività leggera e introspettiva, anche grazie ad una certa naïveté ideale del disegno. Parlaci di come avviene questa armonia ludica tra immagini e musica.

“Talking Birds è stato il terzo video che ho creato per il progetto di Josip e devi sapere che la nostra collaborazione è cominciata con un video completamente in animazione, il secondo più etereo e questo è stato un mix delle due cose… Quando mi ha chiamata per chiedermi se volevo lavorare sul suo pezzo, stavo attraversando un periodo particolare in cui facevo ogni mattina delle passeggiate nel parco e ai lati del sentiero c’erano delle piccole casette di legno per uccelli. Inoltre gli uccelli sono un altro elemento ricorrente nel mio lavoro e in quel periodo vedevo spesso questi stormi di uccelli irrequieti che danzavano da un albero all’altro emettendo suoni simili ai fiati del brano. Così ho inserito textures fatte con l’ambientazione che vedevo ogni mattina – asfalto, prato, alberi, cielo – ho usato le riprese di uccelli danzanti e ho inserito qualche elemento disegnato. È stato come entrare dentro il viaggio di qualcun altro attraverso il mio.”

Tra i tuoi lavori vi è il sodalizio con il producer francese Romain Jauzas, ovvero Jauzas The Shining, con il pezzo Miserable Lie. Qui i pattern grafici sono più elastici e futuristi, in sintonia con la techno dilatata caratteristica del pezzo, in cui entriamo in uno scenario più futuristico, sonoramente distopico. Parlaci di come avviene tale ispirazione da questi suoni.

“Jauzas l’ho conosciuto anni fa quando stavo lavorando come visual artist per l’etichetta londinese Specimen Records, dove ho potuto essere libera di sperimentare e conoscere tantissimi artisti della scena elettronica e tecno. Quindi conoscevo già le sue tematiche e il suo sound. Mi sono semplicemente fatta trascinare dalle ambientazioni e dal sentimento di spaesamento che Jauzas stava trasmettendo in quel brano e ho cercato di raccontarlo attraverso immagini. Anche in questo caso era il terzo frutto della nostra collaborazione, dopo “Then” e “The Reasoning of the Soul””

Uno dei tuoi progetti più ricorrenti nell’ultimo periodo sono i visual accompagnati da mixtape realizzati durante lo showcase di MINDFRAME, realizzato da Francois Dillinger e trasmesso per l’emittente di Detroit Deep Space Radio. In collaborazione con l’artista grafico digitale ed analogico Diz_qo, realizzi dei visual più omogenei, dalle figure ricorrenti, caratterizzate da un astrattismo geometrico e concettuale, in cui il tutto si armonizza con la musica dalle sonorità techno dinamiche, slabbrate ma dall’impostazione largamente ordinata. Parlaci di come avviene e si sviluppa questa tua collaborazione che è ricorsa spesso negli ultimi tre anni.

“MINDFRAME nacque da un progetto di Francois Dillinger, un produttore di Detroit, in collaborazione con Specimen Records, che veniva mandato in onda da Deep Space Radio, sempre da Detroit. I musicisti che venivano invitati a susseguirsi nei vari episodi erano quasi tutti usciti con quell’etichetta, che tra l’altro faceva uscite solo in vinile e io mi occupavo di creare i video per la promozione. Quando abbiamo cominciato con l’esperienza di MINDFRAME è stato molto bello perché la libertà espressiva e la sperimentazione si sono spinti a livelli davvero alti. Inoltre io e Mark, Diz_qo, ci alternavamo – purtroppo non abbiamo mai creato un visual insieme – avevamo molto feeling e ci ispiravamo a vicenda. La tua interpretazione mi sembra abbastanza corretta, essendo qualcosa che doveva sostenere un’ora di visione, senza stancare, ma cullandoti in una sorta di viaggio, aveva sicuramente una struttura e una sorta di ordine scandito anche dai brani, ma ogni visual – ho coperto 19 ore – era profondamente diverso dall’altro e come per i video più corti, erano figli di uno studio profondo delle emozioni, del sound e delle tematiche dietro ad ogni artista. Si trattavano temi come la distopia, l’ecologia, la tecnologia, il controllo delle menti… temi umani molto attuali. È stata una bella esperienza che ci piacerebbe ripetere, ha coinvolto davvero un sacco di artisti e ci ha reso felici.”

Sei una grandissima ammiratrice dei Dandy Warhols e da un paio di anni collabori con Peter Holmström nei suoi Pete International Airport. La loro psichedelia urbana si combina con quella del dinamismo dei tuoi video, secondo un ritmo astratto e narrativo con un retrogusto estetico quasi anni ‘90. La collaborazione con Peter ha incluso la corrispondenza con Rachel Goswell degli Slowdive, la quale ha collaborato nel pezzo Tic Tac e come apparizione nel video, oltre a dare una parte delle direttive nei visual. Hai utilizzato una politica specifica per questi quattro video per la Pete International Airport?

“È stata un’esperienza incredibile, fatta di tante connessioni. Mai avrei creduto di poter avere questo privilegio di lavorare con artisti che adoro e invece è successo, nella maniera più dolce e naturale possibile, in un momento in cui ne avevo davvero bisogno. Rachel mi ha mandato alcuni filmati di lei che cantava e un paio di clip di cose filmate durante il tour, che se volevo potevo inserire nel video, ma non mi ha dato direttive. Alla fine ho usato una clip di campi di fiori gialli perché mi hanno ricordato il video di “Shine”, quindi è stato una specie di tributo. La cosa bella del mio lavoro, è che ho la totale fiducia e carta bianca da parte delle persone con cui lavoro.

“Per tutti i quattro video di PIA, ho usato più o meno gli stessi devices, video sintetizzatori analogici, vecchi mixer andando ad agire su una tv a tubo catodico e poi sovrapponendo decine e decine di parti di immagini manipolate. Ma per ognuno di loro ho cercato di trasmettere il mood molto chiaro e peculiare di ogni canzone attraverso le immagini e i colori. Cerco sempre di entrare nei brani, coglierne l’essenza, comprenderne le dinamiche e darne la mia interpretazione emotiva, rispettandola.”

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