Fiesta Alba, oltre le frontiere dentro i confini
di Giovanni Panetta
Intervista al progetto Fiesta Alba, si parla del loro primo album Pyrotechnic Babel, per Bloody Sound e neontoaster multimedia dept., tra suoni e contesti geopolitici occidentalizzati ed esotici.
Fiesta Alba

Artwork di Pyrotechnic Babel, ad opera di Guido Ballatori.

Il progetto Fiesta Alba, attraverso una facciata di anonimato, si esprime con una forma cosmopolita, sia nel suono che negli intenti a sfondo sociopolitico, in cui si naviga tra una componente di occidentalizzazione legata al suono hip hop, noise o popular, ma anche legata all’afrobeat o in generale da sonorità esotiche o dal Terzo Mondo. Infatti, nel loro primo album Pyrotechnic Babel, uscito per Bloody Sound e neontoaster multimedia dept., troviamo la collaborazione con la cantante senegalese trap/hip hop Sister LB in Je Suis Le Wango, e quella con il rapper giapponese Judicious Broski in Waku Waku, che hanno come sfondo il contesto geopolitico associato. Infatti, come già avevamo osservato nell’EP di esordio omonimo, il gruppo non solo esplica una complessità geometrica e rumoristica con l’intento di oltrepassare le frontiere sperimentali, ma descrive il paesaggio urbano e politico all’interno dei confini dell’uomo, svincolandosi dal contemplare una realtà specifica, e concernendo comunque l’umano, fin troppo umano.

Fiesta Alba è un progetto formato da Octagon (composizioni, chitarre, graphic design), Dos Caras (produzione/arrangiamento, synth) e Fishman (basso), in cui nell’ultimo lavoro Pyrotechnic Babel si alternano alla batteria altri due componenti anonimi: El Mistico e Pyerroth.

Trattiamo più approfonditamente di Pyrotechnic Babel nella seguente intervista rivolta al progetto.

Cominciamo dalle generalità dell’album. Quali sono state le intenzioni dietro Pyrotechnic Babel, e come si sono sviluppate le originarie intuizioni?

“In realtà Pyrotechnic Babel nasce in continuità con l’EP precedente, ne è, in buona sostanza, una prosecuzione ideale di più ampio respiro che ci ha permesso di rappresentarci mediante un più grande arsenale sonoro e una possibilità maggiore data dalla lunghezza dell’album rispetto all’EP d’esordio di due anni fa, portando quegli stessi concetti a un livello sonoro e compositivo superiore. Questi due lavori insieme tracciano un perimetro concettuale e musicale della nostra musica, e costituiscono un DNA ricercato che delinea appieno i nostri principi e valori estetici. E dichiariamo già dal titolo i nostri intenti nel voler ibridare i generi, le voci e le migliori istanze musicali, che sono per noi fonti d’ispirazione, e nel volerlo fare con una tensione evolutiva, dinamica, pirotecnica. D’altra parte il nostro nome Fiesta Alba proviene dal nome di piccoli petardi, come quelli che vogliamo far scoppiettare nella testa di chi ci ascolta.”

Parliamo dei pezzi. Peculiare e ariosa è la collaborazione con Kat Poklepovic in No Gods No Masters. Il testo ha le caratteristiche tipiche di un brano del duo di cui fa parte, ovvero i So Beast, in cui il rimando al loro album Brilla (Needn’t, BlauBlau Records, 2023) appare più che evidente, soprattutto da un punto di vista delle sonorità in cui, similmente al vostro brano, si manipolano suoni patinati e urbani di natura elettronica e hip hop, rimandando ad un immaginario futuristico e alieno. Radio-friendly nell’aspetto, la narrazione appare matura ed esemplificativa di un momento storico complesso, in cui, come dettaglio interessante, dal mio punto di vista, si evidenzia quanto sia importante rivedere la propria forma mentis, o educazione, per affrontare i problemi sociali o comportamentali di riferimento. Come avviene tale contributo vocale e di scrittura in questo pezzo?

“Avviene per “affinità elettive” e per stima reciproca. Quando abbiamo ascoltato “Brilla” dei So Beast ci è apparso chiaro che, sebbene in forme diverse, possedevamo in comune un senso evolutivo e moderno della musica, che travalicava i generi, li ricomponeva, e utilizzava i linguaggi attuali del panorama musicale in cornici differenti. Abbiamo voluto quindi coinvolgere Katarina che ha accettato con slancio di collaborare con noi sul brano, scrivendone il testo che ha cantato con una particolare ispirazione. “No Gods, No Masters” tratta di una dimensione politica e personale nello stesso tempo, è un testo intimo e sovversivo, che parla di disagio e ribellione matura. La musica, che combina riff angolari di chitarra con la ricerca del groove contaminato dal drum’n’bass, ne accompagna l’assertività e il video mette in scena una fisicità agìta da Alessandra Cristiani che trascende il proprio corpo nudo, vergato dalle liriche del testo, in uno spazio metafisico, un teatro dove si mette in scena la propria interiorità.”

Nei pezzi Collective Hypnosis e Post Math il carattere strumentale si fa organico attraverso una sperimentazione che delinea rumori o pattern geometrici di superfici non-euclidee. Se nel primo brano citato compare una valenza maggiormente familiare nel suo svilupparsi da un incipit composto da granuli digitali, un’atonalità dalle inflessioni oscure appare più preponderante nel secondo pezzo. Come avviene quest’approccio ondivago nel vostro contributo creativo più eterodosso?

“Nel progettare un album di lunga durata, il nostro approccio è sempre orientato alla visione d’insieme, immaginiamo il disco come un unico racconto sonoro di circa 40 minuti. Per funzionare questo racconto ha bisogno di alternare momenti di intensità e leggerezza, armonie e dissonanze, parole e silenzi. Queste dinamiche guidano l’ascoltatore per tutta la durata del disco. In Pyrotechnic Babel, la narrazione segue una logica frammentata, ispirata a un’estetica “lynchiana”. I brani strumentali si distinguono per una struttura più libera e autonoma, al contrario nei pezzi con voce la musica e gli arrangiamenti si piegano — non nella fase compositiva, ma in quella di missaggio — alle esigenze del testo, sia esso cantato o composto da frammenti vocali campionati. Per chiarire cosa intendiamo con “lynchiano”: ci piace immaginare un ascoltatore che, pur aspettandosi svolte tonali o strutturali, venga sorpreso da passaggi mai del tutto prevedibili, e trasportato in paesaggi sonori inattesi, capaci di incuriosire e disorientare. Il processo creativo di questo disco ha seguito uno schema piuttosto coerente: per ogni brano siamo partiti dalla scrittura su strumenti a corda, passando poi alla sezione ritmica, e infine agli arrangiamenti di fiati e tastiere. A questo punto, il percorso si biforcava: se un brano prevedeva voce o speech campionati le parti strumentali venivano amalgamate alle basi armoniche, creando un contesto sonoro su cui il cantato potesse inserirsi con coerenza. Se invece il pezzo era sviluppato come strumentale — come nel caso di “Collective Hypnosis”, “Post Math” o “Dromocracy” — valorizzavamo le linee soliste, inserendo assoli strumentali oppure scrivendo sezioni aggiuntive, funzionali alla continuità narrativa e musicale dell’album. Un esempio significativo in questo senso è la parte finale di “Collective Hypnosis”, aggiunta in fase di arrangiamento: una deviazione in stile dance anni ’90 della parte armonica del pezzo, costruita attorno al timbro caratteristico di uno strumento in quell’epoca molto usato, la bassline Roland TB-303.”

Fiesta Alba

Fiesta Alba, foto di Samantha Marenzi.

Learn To Ride Hurricanes, performata dalla voce di Alessandra Plini (Mi Manca Chiunque), il cui testo è stato scritto da Octagon, rievoca con distacco il comportamento dell’uomo medio senza preoccupazioni, intrinseco ad un carattere pantomimico in senso inequivocabilmente stereotipato. Il pezzo ha un andamento ondivago, segnato da dei momenti di hook in chiave post-rock o, più generalmente, da iati malinconici e al tempo stesso ieratici. Parlateci di questo pezzo e del sentimento che volevate trasmettere.

“È senz’altro l’episodio più teatrale e narrativo dell’album. Volevamo raccontare una storia paradigmatica che partiva dalla quotidianità di una coppia e allargava lo sguardo alla condizione umana nel contesto attuale del nostro modello di sviluppo capitalista. Nel testo si accenna alla trasformazione in senso sempre più autoritario e disciplinare della cornice democratica del mondo occidentale, il cui orizzonte è dominato dal controllo tecnologico. I protagonisti così sono coinvolti a loro insaputa e a loro spese in un vortice quotidiano — quello che Mark Fisher, la cui voce è protagonista dell’ultimo brano del cd, descrive bene nel suo libro “Realismo capitalista” — un uragano che minaccia le vite di ciascuno e il loro futuro tra guerre, cambiamenti climatici, insicurezze, diseguaglianze globali. Alessandra lo racconta teatralmente riecheggiando una tradizione autoriale che va da Zappa a Mike Patton passando dai Black Midi, e l’arrangiamento di archi lo sottolinea accennando a un immaginario che arricchisce di un ulteriore colore la tavolozza delle influenze della band.”

Dromocracy e Safoura rappresentano idealmente due aspetti complementari e opposti. Se la prima traccia citata rappresenta lo sviluppo del mito della velocità dei nostri tempi, in particolare del contesto occidentale (riprendendo in un certo senso un’argomentazione pasoliniana, sebbene il termine “dromocrazia” sia stato coniato da Paul Virilio, architetto e filosofo francese), il tutto attraverso un sound aperto e armonicamente caucasico, Safoura è permeata da un senso di scrittura afro, in cui, attraverso il sample del compositore senegalese Pape Siriman Kanoute, si palesa ulteriormente il rimando a tale istanza culturale. Due pezzi, a mio modesto parere, che si rapportano in maniera simbiotica durante l’ascolto, proprio per rappresentare non solo due caratteristiche speculari in musica, ma anche due polarità concettuali. Realmente, c’è una ragione specifica per questa consequenzialità tra i due brani?

“La scommessa qui è tutta giocata sul far convergere le varie estetiche apparentemente molto distanti in un unicum coerente. “Dromocracy” — concepita come una bonus track strumentale non distribuita sulle piattaforme digitali e presente solo nelle versioni fisiche del cd — rappresenta un incontro tra il math rock e l’elettronica IDM basata sul concetto di velocità e di flusso sonoro, tesa alla ricerca di un groove a cui provvede una sezione ritmica acustica e su cui si sovrappongono loop chitarristici e synth trance. Dall’altro capo delle influenze della band “Safoura” riprende le tematiche etniche ispirate dalla musica africana su cui si innestano elementi di rock progressivo. La voce di Pape Kanoute canta in lingua mandinga di un amore per una donna intravista e trasognata con cui stabilisce un dialogo immaginario ed è la metafora dell’innamoramento tra due emisferi musicali che si rincorrono come succede ad esempio tra Angelique Kidjo e i Talking heads. La ricerca del “groove” sulle poliritmie e i tempi dispari è la cifra stilistica che accomuna nell’estetica dei Fiesta Alba le diverse ispirazioni rintracciabili in questi e negli altri brani del cd. Il tentativo ultimo del lavoro è proprio quello di gestire con coerenza, di uniformare con lo stile unico della band, tutti i mondi evocati nell’album e di proiettarli in una dimensione evolutiva che se affonda le radici nel passato si pone il problema della contemporaneità e del futuro di quella musica che siamo abituati genericamente a chiamare “rock”.”

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