Loris Cericola, classe ’95, è un producer e musicista della zona di Macerata, attivo inizialmente nel punk e nel metal, in particolare con il progetto Spirale, progetto noise-sludge-industrial, per un periodo di circa sette anni a partire da fine 2012. Recentemente Loris si è cimentato in sonorità più introspettive in quattro album solisti (a nome di sé stesso), in cui compaiono sonorità ambient con sfumature oscure, con tracce library o lateralmente post-internet. Placenta è l’ultimo progetto a nome del musicista Marchigiano, che si muove verso direzioni noise, industrial e black metal, con una forte valenza nichilista delineata da un realismo pessimistico. Loris Cericola è anche artista grafico, e più recentemente si è cimentato nella video-arte sfruttando tecnologie obsolete come televisori a tubo catodico o videocamere, elaborando immagini stocastiche dalla struttura psichedelica attraverso il fenomeno del video-feedback.
Di seguito l’intervista a Loris sulle sue produzioni più recenti, tra solo, Placenta, la collaborazione con The Cosmic Gospel, e l’esperienza nelle arti visive.
Loris, parlaci dei tuoi esordi come producer e musicista e del tuo percorso fino ai progetti Placenta e quello solista a tuo nome, e come mai questi ultimi hanno una forma abbastanza differente.
“Ciao Giovanni e a tutta la redazione di Nikilzine, grazie in anticipo per lo spazio concesso. Ho cominciato a suonare la chitarra da autodidatta all’età di 12 anni provando ad azzeccare ad orecchio canzoni metal. Le mie prime esperienze live cominciano appena nel 2010 con un gruppo thrash metal di Porto Recanati di nome Eliminate (ai tempi ci chiamavamo “Harsh“) e con le band hardcore punk Infects e Set To Destruct, attraverso le quali mi sono approcciato al mondo dell’autoproduzione e del punk in generale. In quegli anni però divoravo tantissima musica diversa soprattutto quella propinatami da musicisti e amici più grandi di me, quindi dal punk e al metal ho cominciato a mangiare il noise, l’industrial, l’elettronica e la sperimentazione sonora, ma anche forme rock come il grunge, l’alternative, lo stoner e il doom. Finite le “militanze” punk, a fine 2012 è nato il trio Spirale insieme al bassista Giorgio Balestrieri e al batterista Stefano Rutolini (ora con gli Storm[O]), ovvero l’esperienza che mi ha accompagnato fino a non troppi anni fa. Partiti come band che ammiccava al grunge più nero e allo stoner, negli anni siamo finiti a toccare lidi più post-hardcore, noise rock e industrial, specialmente quando Fabrizio Baioni (già alle pelli dei Drunken Butterfly, dei Leda e di Pierpaolo Capovilla e i Cattivi Maestri) è entrato nella band. Abbiamo suonato dal 2013 al 2019 pubblicando due album (“Spirale” e “Carne della mia carne“) e un singolo prodotto da Gionata Mirai (chitarrista de Il Teatro degli Orrori e Super Elastic Bubble Plastic); con loro ho avuto la maggior parte delle esperienze e soddisfazioni ma soprattutto è la parentesi che mi ha fornito le basi per quello che faccio e per quello che sono oggi.
“Le mie esperienze più solitarie invece sono iniziate nel 2015, nel periodo in cui iniziavo a registrare i miei giochi notturni su cassetta con una vecchia piastra Technics, che si sono poi evoluti nel progetto Vacuum Templi, una sorta di dark ambient/ post-industrial oscuro e dall’estetica esoterica suonato con un organo elettronico Eko e un piccolo 4-tracce a cassetta: sotto questo moniker ho pubblicato dei demotape e un disco per Svbterrean Tapes nel 2018, (“Death Chamber Musick“) per poi chiuderlo definitivamente a fine 2019. Dalla chiusura di Vacuum Templi ho cercato di approcciarmi a suoni più distesi e melodici e trovare una formula più libera da “formalità estetiche”, o semplicemente fare la musica che mi andava di fare senza scegliere necessariamente un moniker appropriato (suonare o produrre con il mio nome di battesimo non è una scelta stilistica) o focalizzarsi su determinate figure o concetti, ed è cominciato il percorso che mi ha portato a produrre “Memory Hole“.
“Placenta invece è nata per puro gioco: avevo questo EP drone metal/ industrial assemblato in pandemia ma non sapevo ancora cosa farmene: quando ho avuto l’occasione di presentare il progetto all’edizione #11 dell’Onlyfuckinglabels (festival delle etichette indipendenti che si tiene ogni anno al CSA Sisma di Macerata) a fine 2022 in una forma più digital hardcore, integrando la voce, testi in italiano e chitarre campionate. Il progetto mi diverte moltissimo sia live che in produzione, è una macchina modellabile su cui sto inserendo liberamente gli elementi più disparati, dal metal all’industrial, dall’hardcore punk al noise, ma anche qualche sfumatura hip hop, digital hc, breakbeat e dub. Placenta attualmente è come il doppelganger “malvagio” che si contrappone perfettamente a quello che faccio (o che sto facendo attualmente) col mio nome, o perlomeno mi piace pensarla così.”
Parlando dei tuoi lavori a nome Loris Cericola, Love Is Cruel (As You Let It Be) sembra essere un riadattamento di sonorità krautrock con rimandi a Clic di Franco Battiato (in particolare per quanto riguarda la traccia Self). Elasticità interessante (Rising), in cui dominano suoni lisergici tra nuova elettronica e in parte l’Italian Occult Psychedelia. Parlaci dell’evoluzione del lavoro e dei suddetti elementi.
“Quell’EP è uno dei primi esperimenti più “melodici” ed è stata la scusa principale per ridare vita ad un vecchio Elgam Broadway 300 che mi sono aggiudicato gratuitamente al Riuso: un bellissimo quanto ingombrante organo/ synth di produzione marchigiana dai suoni incredibili e dalle assurde possibilità. Volevo creare qualcosa che sfruttasse le sue qualità e che oscillasse tra soundtrack di pellicole Sci-Fi, l’elettronica di Schulze, la new age di Ariel Kalma e i chord ipnagocici di Oneothrix Point Never, ed è un pò il germe di quello che è uscito poi con “Memory Hole”.”
Distances ha un suono ambient minimale con tracce di field recording, con una frammentaria diversificazione. Il tutto è permeato da un senso di periodicità ma, come accennato, con una organicità che rende il tutto eterogeneo in forma più latente, esprimendo emozioni in maniera contemporanea e in stile urbano. Disco abbastanza breve ma incisivo anche per interessanti tracce di outlier un po’ sparsi. Come avviene la nascita di questo disco, degli elementi citati e il suo contesto?
“In quel periodo (marzo 2019 circa) avevo avuto un pneumotorace spontaneo dopo un lungo periodo di forte tensione e stress quotidiano e avevo bisogno di fare musica che potesse aiutarmi a distendermi e riposare, ho cominciato a comporlo durante il ricovero in chirurgia con una tastiera Casio.
Per questo “Distances” è un pò l’EP di transizione tra Vacuum Templi, che aveva suoni più nervosi, ripetitivi, abrasivi e oscuri, e la linea che sto seguendo attualmente.”
Secondo le linear notes di Metaphysical Graffiti su Bandcamp, il tuo lavoro su Artetetra assomiglia a Biomechanoid di Joel Vandroogenbroeck e al primo James Ferraro, le cui poetiche sono differenti per stile e periodo. In realtà Metaphysical Graffiti ha un’impostazione più oscura e forse sonoramente più rarefatta e plastica, sebbene i suoni citati brillano più in senso “grown-up” (il primo) o di una purezza o ingenuità intelligente, organica e sincera che appare come un valore aggiunto (il secondo). Il disco, il tuo, ha uno stile ricercato, molto adulto ed elastico, anch’esso sincero e dalla consistenza costante ma pieno di outlier. Parlaci del processo creativo di Metaphysical Graffiti attraverso le caratteristiche citate e le effettive influenze.
“Mi piaceva l’idea di creare qualcosa di completamente spontaneo e di cui non avrei avuto il controllo, per questo ho utilizzato una sacchettata di cassette dal mio archivio personale tra registrazioni, campionamenti da film, vecchie idee e stems su 4-piste e le ho “orchestrate” con una serie di multitraccia a cassetta e registrate in presa diretta, senza editare nulla. Non c’è infatti una coerenza (e nemmeno una coscienza di base) sulla riproduzione o semplicemente sul componimento delle tracce: mi piace pensarlo come un “dipinto sonoro” che rappresenta alcune mie elucubrazioni sul rapporto tra materia, tempo e memoria, ovvero gli elementi cardine di questa ricerca che a me piace chiamare “hauntologia pratica”, da cui “Metaphysical Graffiti” nasce.
“Per quanto riguarda Vandroogenbroeck e Ferraro, sono sicuramente i due ascolti a cui più mi sono approcciato per avanzare l’idea del disco, prendendo ispirazione dalle ambientazioni sonore della library music più rappresentativa di Joel Vandroogenbroeck e Pietro Grossi e dalla semplice caoticità delle prime produzioni di James Ferraro sulla sua New Age Tapes. “Metaphysical Graffiti” ha comunque raggiunto il suo senso definitivo alla sua pubblicazione con Artetetra nel 2022, una delle label più singolari del sottosuolo italiano e con cui collaboriamo da molti anni, oltre che ad essere amici da altrettanti.”
In Memory Hole il suono ha un’impostazione aphextwiniana, ed è in stile ambient dalle sfumature melodiche ed acide, in cui compaiono tracce di idiosincratica oscurità insieme ad una rarefazione che permea il tutto. C’è l’energia distruttiva dell’altro progetto che ti vede protagonista Placenta, e compare il riadattamento di We Will Fall, pezzo degli Stooges rimaneggiato da John Cale, con i sample dei messaggi in segreteria delle vittime del crollo delle Twin Towers avvenuto 11 Settembre 2001; tale caratteristica appare semanticamente claustrofobica, ed è interessante come l’aspetto nichilista venga messo in risalto dal titolo della traccia. Altro aspetto peculiare è la frammentaria traccia successiva, ovvero Romero, in cui un suono finale, simile ad un verso di una balena, interrompe l’intero album in maniera spettrale ed inquietante sospendendo enigmaticamente l’ascolto. Parlaci del processo creativo dell’album e come avvengono gli elementi citati.
“”Memory Hole” è un altro lavoro nato per necessità più spirituali che prettamente musicali. Durante la pandemia, nonostante abbia “giocato” molto con strumentazione varia, ero abbastanza perduto e senza punti di riferimento, neanche musicali. L’album è quindi innanzitutto il frutto di una serie di elucubrazioni personali, maturato attraverso la ricerca di una libertà musicale ed espressiva (come ho risposto a qualche domanda fa). Le tracce cardine di “Memory Hole” sono nate spontaneamente durante alcune registrazioni notturne nel Cerchio23 Studio (lo studio del collettivo Cerchio23 di cui faccio parte, e in cui organizzavamo eventi privati) con il Korg Sigma e la Casio SK-1, cercando un approccio interamente “suonato”, senza l’uso massivo di campioni e loop. Da queste tracce è nato il primissimo live set con il mio nome adottato per i primi live post-pandemici, integrando anche la cover di “We Will Fall” degli Stooges in chiave drone-elettronica, canzone a me troppo cara da sempre, e vicina a me in quel periodo. La cover di “We Will Fall” dei The Stooges, rinominata “We Will Fall (The Stooges cover, or threnody for the 09/11 jumpers)“, è un gioco concentrico di figure, concetti e metafore che necessiterebbe di essere sviscerato come si deve.
“In riferimento all’hauntologia, citata nella domanda precedente su “Metaphysical Graffiti”, per me l’evento delle torri gemelle del 2001 è una metafora importante di memoria collettiva e condivisa, di una memoria esterna a noi ma che in qualche modo appartiene a tutt_: io sono nato nel 1995 e come me anche la mia generazione ha vissuto quello che poi è diventata un’immagine traumatica all’età di 6 o 7 anni, ossia l’età in cui si creano le memorie più solide (a mio avviso), e chiaramente tutt_ noi ricordiamo ancora oggi che in quel momento eravamo tutti incollati a guardare programmi per bambini in TV. Inoltre mi piaceva l’idea di associare il crollo delle torri e in particolare il caso dei “nine eleven jumpers” (o conosciuto ai più come “the falling man”) con il titolo “We Will Fall”, canzone che tra l’altro vede la partecipazione di John Cale dei The Velvet Underground, questo è un puro caso ma rende bene l’idea. “Romero“, più che il suono di una balena, era il mio gatto, che è tragicamente morto poco prima che uscisse l’album. E’ una sentita dedica ad un essere per me speciale con cui ho condiviso le più importanti parole non dette. La cosa più dolce per me è che il suono di sintetizzatore è letteralmente lui sopra al mio Sigma acceso, che per mia fortuna ho registrato.”
Parliamo anche della tua attività come artista visivo, nel quale sperimenti con video analogici elaborati attraverso supporti obsoleti come processori di regia, monitor e videocamere, grazie ai quali si innesca un meccanismo di feed-back o loop circuitale con cui si generano immagini o filmati astratti, caleidoscopici secondo una struttura stocastica e dall’estetica vintage. Forme geometriche dettate dal caso e da un’interessante divisione dello spettro della luce si creano pattern alieni, da un’inaspettata geometria con una sua armonia, in conformità o opposizione con l’estetica DIY. Parlaci dei tuoi inizi e come nascono queste idee nel campo dell’arte visiva.
“Parallelamente e contemporaneamente alla musica ho sempre coltivato la passione per le arti figurative, in particolare la pittura. Ho frequentato l’Istituto d’Arte di Macerata e il Liceo Artistico di Porto S. Giorgio, dove ho fatto pittura murale e illustrazione cercando di incrociare ispirazioni che andavano dal graffitismo di Blu, dall’illustrazione di Burns e Prof. Bad Trip al collage dada. Sono poi passato a lavorare con l’incisione calcografica, la stampa d’arte e la pittura ad olio, appassionandomi perlopiù ai simbolisti. Durante il mio primo approccio con l’elettronica ho però iniziato a sperimentare con il videoregistratore, registrando sonorizzazioni in VHS sopra a vecchi film. L’interesse nella video-arte è nato senza una vera esigenza, ma con il senno di poi ha tradotto perfettamente quello che avevo fatto fino a pochi anni prima in una chiave per me completamente nuova e da scoprire ogni giorno. Infatti non ho mai avuto un’idea di base e né davvero conoscevo le potenzialità della cosa, ma durante la pandemia ho avuto la fortuna di conoscere una persona che mi ha spronato a studiare e a sperimentare senza limiti: da lì ho cominciato a sviluppare su video alcune elucubrazioni, pensieri e connessioni tra i concetti di materia, di tempo e di memoria (che poi ho potuto anche elaborare musicalmente su “Metaphysical Graffiti”), soprattutto dopo aver accumulato molta strumentazione da recupero (come televisori a tubo catodico, video mixer, telecamere e così via) e tanti nastri audio e video di persone sconosciute che per un motivo o per l’altro sono arrivate a me.
“Metaforicamente l’uso del nastro magnetico, media altamente suscettibile ai fenomeni della chimica e della fisica, rappresenta la materia, ma anche il tempo e la memoria per l’utilizzo che ne è stato fatto: è il mezzo attraverso cui abbiamo, volontariamente o no, custodito (o custodiamo) e racchiuso determinati momenti della nostra vita, a creare un “sigillo”, a voler sconfiggere la battaglia contro il tempo; ma restano labili, precari e in balìa di esso, proprio come la nostra memoria (o un “buco nella memoria”) o più in macro, come la nostra esistenza. Sarà una pratica per esorcizzare la paura dello scorrere del tempo? Ancora non lo so, ma ho avuto la fortuna e l’occasione di fare tante cose di cui vado fiero, come la doppia partecipazione nel 2020 e nel 2022 a Intermediale (festival di arti digitali che si tiene ogni anno alla Galeria Ring di Legnica in Polonia), la produzione del videoclip dei Little Pieces Of Marmelade al loro singolo “Canzone 10“, la collaborazione con il sound designer e docente dell’Accademia Albertina Stefano Sasso o il live VJ al musicista tedesco Hainbach e a Davide “Boosta” Dileo dei Subsonica, per citarne alcune.”
So che hai collaborato in The Cosmic Gospel (Gabriel Medina) nella traccia Core Memory Unblocked, dell’album Cosmic Songs for Reptiles In Love. Nel pezzo suoni il Korg Sigma dal suono psichedelico più che mai beatlesiano. Questa tua impostazione risulta essere un outlier rispetto le tue ultime produzioni, maggiormente sperimentali o caustiche. Parlaci di come nasce questa attitudine, momentanea o meno, e la collaborazione con Gabriel.
“Gabriel Medina ed io ci conosciamo da più di una decina d’anni e abbiamo condiviso spesso il palco con le nostre rispettive band, oltre ad aver entrambi gravitato attorno al circuito filo-Homeless (festival, basement ed etichetta indipendente di Macerata che ci ha sempre supportati) tra Spirale, Hapnea, Little Pieces Of Marmelade e tutte le altre band con cui abbiamo collaborato negli anni. In realtà sono parecchio lontano da melodie beatlesiane, un pò per ignoranza e un pò per pregiudizio – quando si parla di rock tra musicist_ dico sempre, provocatoriamente, che per me il rock comincia dai Black Sabbath in poi! (Sto scherzando). Aldilà dell’amicizia e della stima reciproca che abbiamo con Gabriel, è per me sempre stimolante approcciarmi a sonorità a me lontane o lontanissime nel quale posso comunque trovare il mio spazio espressivo.”
Placenta si muove in pattern oscuri e estremamente caustici, basato su un post-punk/noise pessimisticamente etereo, nel segno dei Throbbing Gristle e di ispirazione al black metal. Spesso si avvicendano sample, elementi di vita “normali”, con evidente distacco da tutto il resto ma su cui sono gettati baluginamenti sonori decadenti, delineando forse il fatto che il male si insinua costantemente nel quotidiano, in maniera spesso latente; Placenta nell’ottica di un malsano realismo scopre le carte e le ribalta, facendole mostrare al giocatore avversario, illuso di un fuorviante e decontestualizzante ottimismo. Ma non è chiaro se Placenta mette in luce questo aspetto in maniera per l’appunto realistica e per un gioco particolarista delle parti (a qualche altro spetterà il ruolo più “positivista”), o è edonismo nichilista. Dov’è la verità? In più parlaci di come nasce questo tuo progetto.
“Placenta è una macchina in mutazione tra austerità ed errore; è un tentativo di trascrizione virtuale di espressioni e moti organici. Come questa cosa è espressa musicalmente attraverso l’esclusivo uso di samples di chitarre, bassi e batterie, lo è anche metaforicamente: Placenta è un sintomo di incoerenza data dalla propria stessa funzione, è un’anomalia: ma non è il pensiero ad essere incoerente, è la sua emissione ad esserlo a seconda delle necessità, o se non incoerente comunque multiforme. È il suo linguaggio ad essere modellabile ma non necessariamente per finalità poetiche. C’è un cinico realismo espresso in maniera austera e “bacchettona” quanto l’immedesimazione con il soggetto o l’oggetto “equivoco” e di cui si sta parlando e quindi, come hai detto tu nella domanda, come il male si insinua nel quotidiano, e aggiungo io, in noi stess_.”
Il tuo album a nome di Placenta di prossima uscita (di cui vi sono delle prime testimonianze nelle tracce live di Quattro Tracce Registrate Dal Vivo), dalle trame corrosive e distorte, è permeato, non solo esprimendo una realistica metafora, dal materializzarsi tridimensionale di interferenze della televisione dovute alla perdita di un eventuale segnale. Metal, punk e harsh noise si fondono nel mostrare la faccia oscura dell’animo umano, tra distopie, guerre in Palestina e abbagli di white trash. Dimensione Zero e Settembre Nero (vago riferimento agli Area di Arbeit Macht Frei) hanno un andamento fluido in quella progressione di parlato ritmato, più neutra rispetto il cantato hip hop, in cui riverberi harsh di synth e drum machine delineano un clima reale ma proiettato in un futuro distopico portato nella suddetta evocazione all’umano parossismo. Parlaci delle idee e concrete atmosfere che vuole emanare il tuo prossimo album a nome di Placenta.
“Proprio come dicevo prima, Placenta è una continua mutazione e un crossover “al silicio” (per questo uso il termine “post-human punk”, per banalmente descrivere la cosa) di diverse forme di musica estrema. Nonostante con gli Spirale scrivevo e cantavo, i testi seppur seguivano la stessa linea d’onda, erano più ermetici e più volti a trattare temi come il rapporto con la religione; Placenta sotto questo punto di vista è più libera e indaga più sfumature liriche, gioca con le parole e con il pensiero, confonde tanto l’ascoltatore “quanto se stessa”. Sicuramente però le tematiche neanche troppo nascondono un grido di reazione, un impulso di totale libertà in un’esorcizzazione psicofisica, quale significa per me produrre e suonare live con Placenta.
“Mentre “Dimensione zero” è una traccia ispirata alla tematica dell’annullamento psicofisico nella logica capitalista del lavoro e dello sfruttamento del corpo (il ritornello recita “e dimentico chi ero – nella dimensione zero”), “Settembre nero” (dal titolo ispirato all’omonima organizzazione palestinese) parla invece generalmente dell’illegittimazione all’esistenza della popolazione palestinese da parte di Israele, dei poteri occidentali e dell’attuale genocidio a cui noi tutt_ stiamo assistendo inermi, ma più nello specifico del terrore e della disperazione vissuta dai palestinesi da 80 anni a questa parte, si fa cenno a Sabra e Shatila e alla lotta armata come risposta disperata per la libertà. È quindi una traccia dedicata alla lotta palestinese e alla loro terra, ma anche di tutt_ coloro abbiano combattuto, che stiano combattendo e che combatteranno per le proprie libertà nel mondo.
“Il prossimo album di Placenta parlerà di varie cose e sarà pieno di sfumature e libertà espressive sotto la guida di un unico approccio. Con i suoi 12 pezzi, sarà letteralmente un “primo album”.”