Donatello Pisanello, musica con radici ed ali
di Giovanni Panetta
Intervista a Donatello Pisanello sui suoi progetti solisti e la musica degli Officina Zoè. Sonorità tra tradizione e innovazione.
Donatello Pisanello

Donatello Pisanello. Foto di Patrizia Cristaldi.

La musica di Donatello Pisanello, autore e polistrumentista salentino di musica tradizionale e di ricerca, ha un forte legame con la propria terra sia attingendo dalla storia della taranta, la pizzica e la tarantella con il collettivo Officina Zoè, che in forma innovativa con le sue composizioni in cui unisce forme ricorrenti in sostanze contemporanee. Inoltre Pisanello porta avanti il progetto Osimu Art, un festival che si svolge annualmente a Taviano (LE) in cui vengono riunite, per esibizioni dal vivo, personalità internazionali legate al mondo dell’improvvisazione libera, genere legato alla musica dello stesso Pisanello sia in studio di registrazione che nei live set vibranti da un punto di vista emotivo.

Di seguito un’intervista a Donatello Pisanello incentrata maggiormente nella sua versione più sperimentale.

Donatello, sei parte degli Officina Zoè, gruppo che si basa sul recupero sonoro della tradizione salentina, nel quale suoni per lo più l’organetto, la chitarra e la mandola. Ti chiedo come questo tuo excursus si combina con il tuo lato solista più sperimentale ed eclettico.

“Il mio percorso con Officina Zoè e il mio lavoro solista si intrecciano in un equilibrio dinamico che mi permette di esplorare due dimensioni musicali complementari. Con Officina Zoè, sono immerso nelle radici profonde della tradizione salentina viva, che non è solo riproposizione ma anche attualizzazione di un’autentica esperienza comunitaria. Suonare strumenti come l’organetto, la chitarra e la mandola in questo contesto significa entrare in un dialogo costante con una memoria collettiva, rivitalizzando ritmi e melodie antiche proprio attraverso la condivisione di intenti e di esperienze continue.

“D’altra parte, il mio lato solista rappresenta un viaggio più intimo e sperimentale. È il luogo in cui mi concedo di rompere i confini, contaminando suoni e linguaggi musicali diversi, per creare qualcosa che sia profondamente personale e universale al tempo stesso. In questo spazio eclettico, le mie radici salentine non sono mai lontane: sono il terreno fertile in cui coltivo nuove traiettorie sonore nutrite da un humus intriso di tradizione sempre più viva. Questi due mondi non si escludono, ma si nutrono a vicenda. La sperimentazione solista mi dà nuove chiavi per rileggere la tradizione, mentre l’esperienza con Officina Zoè mi ricorda l’importanza della semplicità e del potere collettivo della musica. In definitiva, è proprio questo dialogo tra radici e ali, tra memoria e ricerca continua, che definisce la mia identità artistica.”

La tua recente produzione discografica è stata segnata dall’utilizzo dell’elettronica, attraverso synth e loop machine. In
Stop A Mezzogiorno si esplora maggiormente la capacità di dilatazione, offrendo una versione più rinnovata del tuo suono. L’album Paesaggi Immaginari si delinea un suono più futuristicamente kraut o prog, strizzando l’occhio ai teutonici Kraftwerk, in cui appare la letterale suite ondivaga Paesaggio 2. Parlaci del tuo approccio con questo strumento, come nasce e si sviluppa.

“Il mio rapporto con l’elettronica nasce come una naturale estensione del mio desiderio di esplorare nuovi linguaggi sonori, mantenendo però un legame con la mia identità musicale di matrice tradizionale e di apprendimento orale. È stato un percorso graduale, in cui ho iniziato a vedere strumenti come synth, filtri sonori, loop machine e campionatori non solo come mezzi tecnici, ma come veri e propri strumenti espressivi, capaci di ampliare la percezione sonora e sviscerare la musica in modi inaspettati, spesso turbolenti e il più delle volte imprevedibili.

“In Stop A Mezzogiorno, l’elettronica diventa uno spazio per la dilatazione del tempo e del suono, un mezzo per creare atmosfere sospese che si sviluppano in modo indeterminato. Un’esplorazione spontanea che non è mai statica ma viva e in continua evoluzione, come un eco che risuona e si trasforma.

“Con Paesaggi Immaginari, invece, ho voluto spingermi verso un territorio ancora più sperimentale, ispirandomi a sonorità krautrock e prog si, come quelle dei Kraftwerk o dei Tangerine Dream, ma attraverso uno strumento semplice, una micro-macchina che consente l’intreccio di vari arpeggiatori e non con i mastodontici synth del periodo e dell’ambiente krautrock. È un album più concettuale, in cui l’elettronica mi ha permesso di immaginare e costruire, in modo del tutto imprevedibile e inaspettato, mondi sonori astratti. La suite Paesaggio 2, ad esempio, nasce da un processo di stratificazione sonora: ho lasciato che il sintetizzatore modulasse suoni organici, creando una sorta di “movimento ondulatorio” che rispecchia l’idea di un paesaggio in continuo mutamento, quasi liquido.

“Per me, l’elettronica non è mai fine a sé stessa: nasce dal bisogno di raccontare una storia che ancora non conosco che sviluppa un itinerario narrativo imprevedibile il cui esito si percepisce solo a posteriori, col riascolto. Mi accorgo solo dopo come, anche i suoni più futuristici, hanno un richiamo alle mie radici, vestigia di una tradizione oserei dire primordiale. In questo senso, l’elettronica diventa un ponte tra tradizione e contemporaneità, un modo per rendere il passato un terreno fertile per il futuro e il futuro stesso un’espressione alimentato da un’intensa storia emotiva, fermenti per una strategia utopistica.”

Trattando del tuo contributo con la chitarra, in Minimalooping il suono della sei corde si arricchisce con l’implementazione di loop machine, in cui si generano sonorità improvvisate più meditate, nette e spigolose. Il disco dal titolo futurista Zang Tumb Tumb (espressione che appare nella copertina della raccolta di poesie intitolata ufficialmente “Zang Tumb Tuuum”, ad opera di Filippo Tommaso Marinetti e pubblicata nel 1914, uno dei testi principali nella storia del Futurismo letterario) si anima di divagazioni magmatiche e libertarie, in fede ai cosiddetti poeti incendiari del Primo Novecento a cui il titolo sembrerebbe proprio alludere. Come nasce il tuo rapporto con la chitarra?

“Il mio rapporto con la chitarra nasce da un’esigenza quasi viscerale di esprimere un dialogo intimo con il suono, qualcosa che si è sviluppato nel tempo come una forma di linguaggio personale. È uno strumento che mi ha sempre affascinato per la sua capacità di essere al tempo stesso percussivo, melodico e armonico, un mezzo che può oscillare tra delicatezza e forza, tra tradizione e modernità, storia e tendenza utopistica, appunto.

“Con Minimalooping, ho voluto spingere la chitarra oltre il suo ruolo tradizionale (nel senso di come veniva concepita nella tradizione musicale salentina), servendomi della loop machine per creare strutture sonore che vivono nel qui e ora, ma che si ripetono e si trasformano, quasi come una meditazione sonora. In questo contesto, il suono si fa più asciutto e netto, esplorando i contrasti e le tensioni. Ogni loop aggiunge una dimensione nuova, trasformando la sei corde in un generatore di ambienti sonori stratificati.

“In Zang Tumb Tumb, invece, la chitarra diventa parte di un discorso più libero, magmatico e sperimentale. L’omaggio a Marinetti e al Futurismo non è solo nel titolo, ma anche nell’approccio compositivo: ho cercato di tradurre in musica l’idea di rottura, di dinamicità e di ribellione, così centrale per i poeti incendiari del primo Novecento. Qui la chitarra è usata in modi non convenzionali, generando distorsioni, rumori e texture che riflettono un senso di caos controllato e di libertà creativa. È un lavoro che si muove tra improvvisazione e costruzione, tra l’impulso istintivo e riflessione.

“Per me, la chitarra è un territorio aperto, che si adatta e si rinnova in base al contesto e al messaggio che voglio trasmettere. È il mio mezzo per raccontare storie, per creare paesaggi sonori e per esplorare il confine tra il conosciuto e l’ignoto. Ogni progetto, da Minimalooping a Zang Tumb Tumb, rappresenta una nuova possibilità di spingere i limiti di quello che la chitarra può essere e significare per il mio modo di esplorare il suono cercando di stabilire un dialogo tra il caso e la necessità.”

Donatello Pisanello

Donatello Pisanello. Foto di Patrizia Cristaldi.

Per quanto riguarda l’utilizzo dell’organetto diatonico, il disco OPS, uscito per Setola di Maiale nel 2020, si basa su un’esecuzione legata all’improvvisazione libera, meditata e consapevole, e allo stesso tempo all’utilizzo tattile dello strumento, in cui sonorità ambient si mescolano ad afflati di melodie più familiari; un suono che a tua testimonianza risulta “più caldo”. Parlaci delle energie che riservi a questo strumento, anche per via della tua militanza nelle Officine Zoè. Inoltre come ti rapporti con questa versatilità tra più strumenti e sonorità?

“L’organetto diatonico è uno strumento che porto nel cuore, non solo per la sua storia e il suo legame con la tradizione, ma anche per il suo potenziale espressivo e la sua fisicità tattile oltre che per la sua essenzialità. Nel disco OPS, mi sono immerso in un approccio libero e sperimentale, lasciando che l’organetto fosse una voce che respirava con me, che traduceva il movimento delle mani e del corpo in un suono caldo, avvolgente, ma anche profondamente intimo. La scelta di mescolare improvvisazione, sonorità ambient e frammenti melodici familiari è stata una ricerca consapevole di un equilibrio tra innovazione e radici: un modo per far dialogare il mio bagaglio tradizionale con il desiderio di esplorare territori sonori inaspettati.

“L’organetto è uno strumento fisico, quasi organico, e questa sua natura è centrale nel mio modo di suonarlo. L’idea di “tattile” in OPS è fondamentale: non si tratta solo di suonare, ma di sentire lo strumento come un’estensione del corpo, dove ogni pressione e ogni movimento del mantice porta un respiro e una tensione che rendono il suono vivo, pulsante. Questo, attraverso un libero approccio improvvisato, mi permette di esplorare emozioni e spazi interiori che vanno oltre il semplice atto musicale.

“La mia esperienza con Officina Zoè ha sicuramente influenzato questo rapporto con l’organetto. Lì, lo strumento è una voce collettiva, che dialoga con la pizzica, con il ritmo e con il contesto comunitario della musica dell’Officina. Questo mi ha insegnato l’importanza della connessione emotiva e della semplicità.

“Tuttavia, nei miei progetti solisti, cerco di spingere l’organetto verso un altro tipo di profondità, dove lo strumento può farsi meditativo, atmosferico e, in molti casi, persino astratto. Con Mementi il tutto si svilupperà attraverso una tensione cosmogonica.
Per quanto riguarda la versatilità tra strumenti e sonorità, non vedo questa varietà come una frammentazione, ma come una rete di connessioni. La chitarra, l’organetto, la mandola o i sintetizzatori non sono compartimenti stagni: sono mezzi che rispondono a diverse esigenze espressive e che mi permettono di raccontare storie diverse ma complementari Ogni strumento ha il suo linguaggio, ma tutti convergono in un unico intento: esplorare il suono come forma d’arte totale ma anche come tensione vibrante verso l’ineffabile, l’incomunicabile . Questa versatilità è, per me, una ricchezza che mi aiuta a evitare ogni tendenza alla complessità e nello stesso tempo ad esprimere spontaneamente il mio percorso vibrazionale.”

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