Dalle radici del blues, The Rootworkers
di Giovanni Panetta
Intervista a Enrico Bordoni su The Rootworkers. Viaggio nel loro blues, tradizionale ed eterodosso al contempo.
The Rootworkers

Attack, Blues, Release (2022). Grafica di Greta Papaveri aka Amapolas.

Attack, Blues, Release è l’esordio autoprodotto di The Rootworkers, quartetto della zona di Appignano (MC), formato da Enrico Palazzesi (voce, chitarra ritmica e chitarra slide), Lorenzo Cespi (basso), Andrea Ballante (chitarra solista) e Enrico Bordoni (batteria e piano). Il loro blues, con reminiscenze profondamente black, da spazio ad un’energia quanto più centrifuga, districandosi tra beat sincopati e armonie emblematiche nella comunità afroamericana del primo Novecento, ed evasioni rumoriste (quasi fuzz) non mancano come gli effetti esacerbanti in Lonesome Boy.

Il blues di The Rootworkers assume una dimensione europea, attraverso una potenza e un manierismo diverso che strizza l’occhio – alla lontana ma con un buon raggio di azione – all’energia dell’indie rock marchigiano come Jesus Franco & The Drogas o quello lombardo di Satantango, in cui questa volta si contemplano forme più tradizionali.

The Rootworkers

The Rootworkers, da sinistra a destra: Lorenzo Cespi, Enrico Palazzesi, Andrea Ballante e Enrico Bordoni. Foto di Hevan.

Di seguito l’intervista a Enrico Bordoni su Attack, Blues, Release e le prossime novità di The Rootworkers.

Cominciamo dagli inizi, come nasce il vostro progetto e quali sono le associate intenzioni? Come nasce il vostro blues spesso incentrato sulla melodia e con divagazioni hendrixiane?

“Il progetto nasce intorno al 2020, quando abbiamo iniziato a fare le prove con l’obiettivo di scrivere qualche bel pezzo. Fin da subito il nostro focus era incentrato sul blues, ma di lì a poco è emerso sempre di più il nostro amore per molte altre diramazioni della black music come il soul, il funk, il reggae e anche il jazz. Così nasce quello che suoniamo, prendendo qua e là, ispirandoci sì a Hendrix, ma anche a molti altri musicisti e modi di suonare.”

Dirty Ceiling (in cui collabora Enrico Ballante all’armonica) e Work All Day costituiscono i pezzi cardini, i picchi di energia dell’album, che come accennato si colloca tra Jimi Hendrix e Cream, con elementi più eterodossi. Parlateci se questa capacità di creare queste hit è nata spontaneamente o è stata intenzionale.

“I due brani in questione, come la maggior parte dei nostri pezzi, nascono solitamente da un’idea, da un riff o una melodia che qualcuno porta in sala. Se ci piace iniziamo a suonarlo, lo sviluppiamo cercando di seguire le emozioni che esso ci scaturisce finché non pensiamo che sia pronto. Con “Dirty ceiling” e “Work all day” è stato facile, ce li avevamo nella pelle fin dall’inizio e non abbiamo fatto altro che assecondare e alimentare le sensazioni che avevamo in corpo.”

The Rootworkers

The Rootworkers, Foto di Hevan.

The Woman I Love ha una valenza dub, che strizza a sonorità più fredde e ondivaghe; l’andamento groovoso rimanda al tema del pezzo, ovvero l’elogio alla donna, attraverso bordoni sincopati e oscillanti. Mentre Lonesome Boy, più graffiante, parla di un ragazzo che nella sua solitudine riflette sul rapporto donna-uomo. Musica e testo vivono di una simbiosi che fa emergere tematiche più pop o terree. Come nasce questa spontaneità nei testi che si trasforma in musica empatica?

“Per noi i testi sono parte integrante della musica non solo come melodia, ma anche per il loro carattere sonoro/materico. Tendenzialmente utilizziamo delle parole rispetto ad altre anche per la loro valenza musicale oltre che per volere del testo stesso. Di solito è Enrico Palazzesi ad occuparsi dei testi, che spesso si presentano semplici e diretti, rispecchiando le nostre anime. Le tematiche vanno a braccetto con il mood musicale, si fondono con la melodia e ogni brano ha un suo modo di dire qualcosa. I medesimi temi sono trattati in più canzoni, ma ogni testo, essendo figlio di una sensazione scaturita soprattutto dalla musica, trasmette un messaggio in modo diverso a seconda del contesto in cui viene cantato.”

Attack, Blues, Release ha una sua energia viscerale ma possiede elementi periodici, rispetto il r’n’r puro, che attraverso un meccanismo inverso danno più profondità alla musica. Le linee tendono all’astratto conferendo un espressionismo influenzato dall’alternative o, in modo ancor più latente, dal post-punk (inteso nella sua concezione quanto più eterogenea). Come avvengono questi elementi nell’album che potremmo definire alieni?

“Ci piace molto giocare, improvvisare e sperimentare, non ci accontentiamo di scrivere un blues di 12 battute che per 4 minuti suona sempre uguale. L’idea di stravolgere alcuni brani aggiungendo elementi meno convenzionali o modificando le classiche strutture, viene dalla necessità di lavorare con l’immaginazione, distruggere i cliché e provare a mescolare più mondi insieme nel miglior modo possibile.”

In conclusione, parlateci dei prossimi progetti di Rootworkers per quanto riguarda concerti e la nuova uscita.

“Per l’inizio della bella stagione abbiamo in programma date locali e stiamo lavorando per trovarne altre fuori regione, per riempire tutto il periodo della stagione estiva. Nel frattempo, stiamo scrivendo molta altra musica che non vediamo l’ora di portare live e in streaming. A breve uscirà un nuovo singolo con annesso videoclip, ma ogni cosa a suo tempo.”

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