L’argomento localismo qui, nella Puglia meridionale, assume diverse sfaccettature; come logico che sia ma sempre con grande sorpresa. In ambito salentino l’altra volta abbiamo trattato dei Bravata, e questa volta spostiamoci da Lecce a Brindisi con un certo cambio d’atmosfera; i colori caldi del gruppo di Sergio Chiari vengono convertiti nelle tonalità gelide che contraddistinguono i Moonoises, il quartetto di Marco Locorotondo (al basso e appena uscito dai Bravata), James Lamarina (chitarra), Tony Gianfreda (voce) e Fabio De Iaco (batteria), e nato dalle ceneri dei Fading Rain, nei quali militavano Locorotondo e Lamarina. A Luglio di quest’anno il gruppo brindisino ha pubblicato una prima uscita, un EP sotto forma di cassetta per la Golden Morning Sounds dal titolo Chasm, costituita dalla title-track e Fail Again, entrambe appartenenti ad un immaginario oscuro e post-punk, più altri tipi di rumorismi, in cui viene eretto un muro sonoro attraverso un suono pieno e riverberato, quasi in pieno stile shoegaze.
Abbiamo rivolto delle domande ai componenti dei Moonoises nelle quali sono stati trattato diversi aspetti della loro musica. Leggiamo cosa hanno da dirci.
Cominciamo a parlare dell’EP. Dopo un paio di ascolti mi ha sorpreso la musica, in particolare il muro sonoro creato dalle linee di basso e chitarra; si percepiscono le evidenti influenze post-punk, in particolare sembra che una certa fisicità del suono sia appresa (almeno da un punto di vista concettuale) dai Cocteau Twins, e giocano un ruolo simile anche i My Bloody Valentine, che però eludono dal genere sopracitato. Inoltre nel timbro e lo stile ritmico ci sono delle venature noise. Sarei curioso di conoscere da chi vi ispirate per quanto riguarda quella “solidità sonora” di cui parlavo prima.
James Lamarina: “Il punto di partenza è sicuramente dark wave. Il percorso chitarristico però devia in direzione post-rock, shoegaze e post-black, ricostruendone i caratteristici muri sonori. Ho provato ad amalgamare le mie principali coordinate musicali, cercando di equilibrarle in un sound che avevo in testa da diverso tempo. Per quanto stilisticamente e rumorosamente differenti nelle loro forme pure, dark wave, post-rock, shoegaze, black metal, e relativa deriva post, condividono una malinconia di fondo che ho sempre trovato evidente. Quindi la loro simbiosi sonora è stata frutto di un processo spontaneo”.
Comunque, per quanto concerne quella fisicità del suono di chitarra e basso, si può percepire un certo schema ordinato. Stesso discorso per quanto riguarda la batteria di Fabio De Iaco, che segue pattern cadenzati ma localmente complessi. Il vostro sembra essere un muro sonoro che viene scolpito dal ritmo di De Iaco, arabescatamente motorik, creando un’ottima miscela di armonia, melodia e ritmo, dove dinamicità e immobilità si incontrano sotto diversi parametri. Vista l’unione di più aspetti, vorrei sapere da voi quanto c’è di spontaneo e quanto di meditato nel vostro processo compositivo.
Fabio De Iaco: “Posso dire con certezza che durante tutto il mio periodo compositivo, dai miei primi gruppi inediti nel 2013 ad adesso, ho sempre cercato di trovare qualcosa mai sentito e che seguisse l’articolazione delle chitarre e del basso, tipica del post rock. Per essere arrivato a comporre quello che scrivo ora ho iniziato ascoltando gruppi come i Giardini di Mirò, Alcest, If These Trees Could Talk, e ispirandomi ai loro ritmi, ho trovato una mia linea ritmica anche in questo gruppo. Ad ogni modo questo progetto non ingloba solo il post rock, per cui basandomi sui miei ascolti, su quello che ho sempre composto e sull’onda ritmica dei riff di chitarra, c’è anche molta spontaneità: infatti la maggior parte delle nostre canzoni vengono lavorate in sala sul momento senza basi già preparate ma solo con un’idea iniziale che maturiamo poi tutti insieme”.
I testi, sintetici ed evocativi, giocano con una poetica sempre post-punk, almeno a livello di stile. C’è una certa oscurità ma anche una nota di lucentezza, più classicamente di quell’immaginario succitato; chi scrive i testi, e quali sono alcuni modelli più specifici?
Tony Gianfreda: “Ho sempre scritto testi ispirati al mio vissuto, oltre che per esorcizzare i miei demoni, anche per poterli interpretare al meglio delle mie possibilità, naturalmente cercando di evolvere essendo il mio passato musicale più strettamente metallico. Chasm è il ritrovarsi sull’orlo dell’abisso, il decidere se lasciarsi cadere o tuffarsi ed affrontarne le conseguenze, Fail Again è il viaggio che ne consegue, l’affrontare la notte fino alla consapevolezza dell’Es. Questa tuttavia è una chiave di lettura. Mi sono cimentato per la prima volta con una scrittura ermetica ed asciutta ma piena di riferimenti e suggestioni quasi “filmiche”. Sarei curioso di confrontarmi con chiavi di lettura altrui…”
Una domanda per Marco: il tuo stile è molto fluido e fai la tua parte nel dare pienezza e dinamicità ai due pezzi di Chasm. Nei Bravata, da cui sei uscito, hai mostrato anche in quel caso un simile talento, facendo vedere che ti sai districare anche nel power pop; sarei curioso di sapere se ti sei approcciato alla stessa maniera tra le sonorità delle due band; e inoltre se ti andrebbe un domani far parte di un gruppo garage/power pop, vista la tua efficace performance in Pray For Today, esordio full length dei Bravata.
Marco Locortondo: “Il mio stile è influenzato del post-punk e dalla new new. Infatti, tra i miei “maestri” cito Peter Hook, Simon Gallup e Gianni Maroccolo. Ovviamente, essendo quello il mio modo di suonare, è inevitabile riscontare alcune somiglianze di stile nel sound delle band di cui faccio/facevo parte. Come hai detto tu, non suono più con i Bravata, per via dei miei ormai inderogabili impegni lavorativi. Ma è stata una bella esperienza e, in qualche modo, faccio sempre parte della famiglia dei “Bravados”. Per quanto riguarda il mio futuro musicale, non posso darti una risposta precisa… potrebbe accadere di tutto. Durante la mia “carriera musicale”, iniziata nel 2003, ho suonato davvero di tutto: black metal, death metal, ambient noise, psych rock strumentale, grunge, punk, dark wave, ecc… Posso affermare di essermi tolto un bel po’ di soddisfazioni. Al momento, però, tutte le mie forze sono prerogativa dei Moonoises, che spero possano andare avanti ancora per un bel po'”.
Voi siete di Brindisi, e prima abbiamo citato i Bravata che sono del leccese, ma mi verrebbe da chiedervi se per caso rientrate in una scena locale, o vi sentite parte di un insieme di gruppi più ampio, per esempio che abbraccia il Salento? Inoltre, a livello locale, che tipo di entusiasmo percepite per la musica autoctona?
Marco Locorotondo: “Credo di poter affermare, anche a nome dei miei compagni di band, che qui da noi non c’è alcuna “scena”. Esistono molte band valide sparse per tutto il “tacco” d’italia, e con la maggior parte di esse c’è rispetto e stima reciproca, ma non parlerei di una vera e propria scena. Mettici, poi, tutte le difficoltà che si riscontrano quando proponi un genere musicale particolare o, semplicemente, perché siamo del sud. Purtroppo la recente pandemia COVID ha dato la mazzata finale a molte strutture che già faticavano ad andare avanti. Negli ultimi mesi ho visto chiudere molti club che abitualmente frequentavo, negandoci così la possibilità di poterci esibire o assistere a degli spettacoli dal vivo. Lo spirito dei Moonoises infatti è totalmente underground e senza compromessi; facciamo solo ciò che vogliamo, senza preoccuparci del giudizio dei talebani e dei guardiani della moralità, ben consapevoli che questo ci porterà ad essere la nicchia della nicchia”.
Per concludere, parlateci dei vostri futuri progetti; siete al lavoro per un prossimo album d’esordio? In più ci saranno delle future date di esibizioni dal vivo?
James Lamarina: “Sì, stiamo lavorando per completare i brani in ottica LP. Sul fronte live la situazione è ancora incerta. Il periodo che stiamo vivendo rema contro le esibizioni dal vivo, quindi il palco, al momento, dovrà attendere.”